
E’ uscito recentemente per Zecchini Editore la traduzione italiana del libro “Canta che ti passa – Talento e bellezza”, dedicato a Virginia Zeani, una delle più grandi cantanti del ‘900. Una conversazione tra la diva romena, che ha compiuto recentemente 90 anni, e il giornalista Sever Voinescu. Ho avuto l’onore di poter parlare direttamente con la signora Zeani di questo libro e dei suoi ricordi, in particolare gli anni in cui ha vissuto in Italia, insieme al marito, il leggendario basso Nicola Rossi Lemeni.
Virginia Zeani è nata nel 1925 a Solovastru, in Transilvania. Nel 1943 si trasferisce in Italia per continuare a studiare canto con un insegnante del calibro di Aureliano Pertile. Calca tutti i più prestigiosi palcoscenici del mondo fino al 1982, anno in cui si ritira dalle scene. Ha cantato con tutti i più prestigiosi partner (da Beniamino Gigli, a Di Stefano, fino a Placido Domingo e Luciano Pavarotti) e sotto la direzione dei più grandi maestri ( Tullio Serfain, Herbert Von Karajan, Zubin Mehta e Carlo Maria Giulini).
Il suo repertorio era sterminato e comprendeva opere da Haendel fino a Francis Poulenc. Una vita fatta anche di amicizie straordinarie con Nino Rota, Roberto Rossellini, Federico Fellini, Giulietta Masina e Tyrone Power. Tra i suoi allievi ricordiamo Elina Garanča, Vivica Genaux e Ailyn Pérez.
Quello che colpisce parlando con lei è la lucidità, la memoria straordinaria, la brillantezza e la giovinezza intellettuale. Inoltre la bellezza che l’ha sempre contraddistinta appare intatta con questi occhi azzurri che brillano di gioia e di amore per la vita e l’arte.
Allora signora Zeani, innanzitutto com’è nato il libro “Canta che ti passa”?

Questo è stato il primo libro che è uscito su di me e a cui ho voluto dare fin dal principio un titolo italiano, perchè la mia vita è stata assolutamente italiana. Ho vissuto per vent’anni in Romania e per quarant’anni in Italia, e dagli anni ’80 sono americana. Quando cinque o sei anni fa sono stata in Romania per parlare nella mia patria della mia vita e della mia carriera, è nata l’idea del libro. Sono partita da lì quando avevo 21 anni e in Italia ho conosciuto i migliori insegnanti e mentori vocali e intellettuali che c’erano allora. Ho conosciuto i pianisti che lavoravano con Arturo Toscanini e Aureliano Pertile che è stato il mio maestro. Ora sono usciti altri due libri, uno in inglese ma ancora non pubblicato negli Stati Uniti, e uno molto bello in tre lingue.
“Canta che ti passa” è un modo dire tipicamente italiano…..qual è il significato che lei attribuisce a questo detto?
Il giornalista che mi ha intervistato – Sever Voinescu- ha dato la spiegazione storica di questo modo di dire, ossia la leggenda di un soldato che durante la prima guerra mondiale, suggerì ad un compagno di cantare per non pensare agli orrori del conflitto. Io da quando ho avuto la voce mi ricordo di aver cantato. Mi rivolgevo alla mia mamma cantando e quando (essendo una bambina molto vivace) venivo sgridata, scappavo in giardino e cantavo sempre. Fino a che a tredici anni ho cominciato a studiare, contro la volontà dei miei. Questo perchè loro erano persone semplici, che non avevano grandi pretese e si sarebbero accontentati che io avessi fatto bene il liceo e basta. Io invece avevo questa grande passione. Loro non avevano i soldi per pagarmi le lezioni e ritenevano che il canto non mi avrebbe offerto la possibilità di avere un lavoro sicuro. Allora ho cominciato a cantare in un coro, dove mi pagavano, e con quei soldi ho pagato le lezioni di canto. Ho iniziato come mezzosoprano. Non bisogna poi dimenticare che in quegli anni c’era la guerra, l’invasione tedesca prima e poi l’invasione russa con il comunismo.

Nel frattempo io sono riuscita a prendere la maturità e mi sono iscritta a lettere e filosofia perchè i miei genitori volevano che io continuassi a studiare. Però io già cantavo e imparavo a memoria le opere. Quando ho avuto la possibilità di uscire dal mio paese per studiare canto, grazie ad una borsa di studio di 500 lire, il governo russo voleva che io andassi a Mosca o in Bulgaria. Io invece ho deciso di andare in Italia. In Italia mi sono presentata da un pianista che aveva lavorato con Toscanini, il quale mi ha presentato ad Aureliano Pertile. Ho studiato con lui e a 22 anni e mezzo ho debuttato ne “La Traviata”. L’Italia per me è stato il paese dell’amore. L’amore per questa terra, per la gente, per la lingua e anche per mio marito che era italiano, il più grande basso di quegli anni e un attore formidabile.
“La Traviata” è sicuramente l’opera della sua vita….ha cantato oltre 600 volte quest’opera….
Sì, diciamo che quest’opera mi ha sempre seguito. Ho avuto in repertorio circa 70 ruoli se contiamo i quattro ruoli de “Les Contes d’Hoffmann”, tre cantati e uno recitato (Fu una delle prime soprano a fare questo tour de force). Ho cantato anche il “Giulio Cesare” di Georg Friedrich Händel, nel 1958, al Teatro alla Scala, e in quell’occasione ho conosciuto mio marito, Nicola Rossi Lemeni.
Come è riuscita a gestire un repertorio così poderoso?
Con coraggio…..e forse un po’ di incoscienza. Ho accettato tutti i ruoli perchè li avevo studiati ancora prima che qualcuno me li chiedesse. E’ successo che dopo Traviata ho cominciato a debuttare tantissimi ruoli, Marguerite nel “Faust”, Micaela in “Carmen”, Nedda in “I Pagliacci”e tanti altri, fino al 1952, quando ho debuttato a Firenze Elvira in “I Puritani”. Tutto quello che mi chiedevano in 2-3 settimane era pronto. Ho una memoria “feroce” ancora oggi ed è una cosa importantissima nella mia vita. L’altra cosa è l’amore, per la voce, per la musica in generale e per l’opera in particolare. Un amore infinito. Ho cantato in Italia e nei teatri di tutto il mondo fino quasi ai 60 anni. Poi mi sono trasferita negli Stati Uniti, dove ho insegnato all’Indiana University School of Music per 30 anni.

Parlavamo prima di Violetta, un personaggio mitico, di cui lei ha dato una interpretazione storica e di riferimento per tutti i soprani….Chi è per lei Violetta?
Parlare di Violetta è impossibile in poche parole. E’ un personaggio e una donna di una complessità impossibile da descrivere, ci vorrebbero tantissime pagine e forse non basterebbero. Era una donna malata di un morbo incurabile, lei stessa sapeva che sarebbe morta giovane poichè era consapevole della malattia che aveva addosso. Non riuscì ad ammetterlo a sè stessa. Era una donna che si vendeva agli altri, dai quali non riceveva amore. Con Alfredo provò per la prima volta questo sentimento e lo visse con la spensieratezza della gioventù. Era una donna piena di ideali, che però era pienamente consapevole di non potere raggiungerli. Si è sacrificata, ha lasciato libero Alfredo. Violetta cerca di eliminare dai suoi pensieri la consapevolezza della morte che incombe su di lei e questo fin dal I atto.

Verona è stato uno dei luoghi più importanti per la sua carriera in Italia….Qual’era l’atmosfera dell’Arena di quegli anni?
Verona e Venezia sono state due città che ho amato molto. L’Arena è un luogo magico, c’è un’atmosfera particolare. La mia prima opera all’Arena è stata “Il Barbiere di Siviglia” nel 1956 con Ettore Bastianini e Cesare Valletti (entrambi debuttanti come me a Verona) e Renato Capecchi. Bastianini prima era un basso e con me era stato il dottore in Traviata e poi me lo ritrovai Giorgio Germont in Traviata e infine all’Arena. Nel 1957 ho cantato Gilda in “Rigoletto” con Gianni Raimondi e Ugo Savarese, poi “Lucia di Lammermoor” nel 1961 e Elsa in “Lohengrin” di Wagner nel 1963. Allora la magia dell’arena era la luce e l’acustica che era fantastica (senza i microfoni). La voce rimbalzava contro quelle meravigliose scalinate. Si aveva paura che la voce si perdesse, ma se si tiene una posizione ben alta, nulla va perso e la voce corre perfettamente. Bisogna timbrarla e sostenerla con una buona respirazione. Era un lavoro massacrante che però mi ha dato grandissime soddisfazioni. Sono stata soddisfatta di più, anche perchè io non mi sono mai data delle arie, sono sempre stata modesta e semplice. Io non mi sono mai sentita “La Zeani”, ma solo “Virginia”. Eravamo tutte così: “La Callas” era “Maria” solo per gli intimi e cosi Renata Tebaldi. Eravamo diverse nello stile e nel canto, ma il pubblico ci mitizzava.

Lei ha cantato con tutti i più grandi tenori di tre generazioni diverse….vorrei chiederle in particolare un ricordo di Beniamino Gigli…
L’incontro con Beniamino Gigli è stato uno dei più favolosi della mia vita. Nel 1950 ero invitata al Teatro dell’Opera del Cairo, per cantare “I Pescatori di Perle”, “La Traviata” e infine “L’elisir d’amore” con Beniamino Gigli. Io avevo 24 anni e lui 63 circa. Ero ancora una ragazzina e lui si metteva davanti allo specchio e guardandomi mi diceva:” guarda che vecchio che sono! ho una grossa pancia e non riesco a vedere nient’altro!”. Era carino, intelligente, una persona simpaticissima e piena di verve. Sono stata molto orgogliosa di cantare con lui.

Tra i cantanti di oggi ci sono delle voci interessanti?
Se qualcuno mi chiede consiglio io aiuto molto volentieri i giovani. Però non molti lo fanno. Gli americani hanno le loro fantastiche scuole di musica. Poi c’è il problema della lingua. Non tutti i cantanti di oggi studiano l’italiano che è esso stesso una musica. L’italiano è melodia, intonazione, e anche i suoi dialetti, talvolta esagerati, sono musica. Per esempio l’italiano “Ti amo” è molto più poetico e morbido dell’inglese “I love you”. E’ una lingua in cui puoi esprimere con una sola parola più intenzioni ed emozioni. Pochissimi giovani si interessano al passato, sono quasi tutti proiettati solo verso il futuro, che non è da escludere, ma bisogna viverlo con la consapevolezza di migliorarsi anno dopo anno. Molti però hanno questo attaccamento alla tecnologia che non li lascia intravedere al di là dei propri telefoni. Voi giovani poi non state vivendo un momento facile della storia, dal punto di vista politico e sociale. La gente uccide con grande facilità oggi e non si rende conto della preziosità della vita.

La vita per me è sempre una sorpresa, oggi il mio unico interesse è avere intorno i miei amici, i miei cari, il mio cagnolino (che mi fa compagnia da 12 anni) e sono una donna profondamente appagata. Dio è stato buono con me e se esiste lo sarà ancora. Gli anni hanno maturato i miei pensieri e i miei ideali e non gli hanno mai distrutti…..
Grazie alla grande Virginia Zeani!
Francesco Lodola