Per il penultimo concerto l’associazione musicale VeronaLirica per il suo affezionato pubblico, che come sempre gremiva il Teatro Filarmonico, ha puntato su un quartetto di voci di livello e affermate sui palcoscenici internazionali. Non ci sono ulteriori parole per lodare la maestria e l’eleganza del pianismo di Patrizia Quarta che accompagna i cantanti, cantando e respirando con loro.
Mario Malagnini (tenore), giunto in sostituzione di un collega, è un cantante dalla trentennale carriera e quindi di grande esperienza. Esperienza che fa valere in pagine tratte da “La fanciulla del west” (Ch’ella mi creda libero) e da “L’Africaine” di Meyerbeer (Oh paradiso).
Monica Zanettin è un giovane soprano dalle indubbie qualità e dal notevole talento. Sicuramente dovrà affinare ancora alcune cose, ma la sua prova è stata convincente, in particolare nel duetto de “Il Trovatore” con il baritono e nell’aria di Margherita da “Mefistofele” di Boito (L’altra notte in fondo al mare).
Questi era Claudio Sgura, uno dei pochi baritoni italiani giovani in circolazione. Sgura ci ha conquistati per uno scavo della parola eccellente e per la caratterizzazione sempre precisa dei caratteri interpretati. Le pagine che più ci hanno entusiasmato sono state il “Credo” di Jago dal verdiano Otello, reso con elegante e subdola cattiveria e la nobile drammaticità di Francesco Foscari in “Questa è dunque l’iniqua mercede”.
Elena Gabouri, anche lei giunta all’ultimo minuto, ha ribadito di avere una voce grande, voluminosa, svettante in alto e scura e profonda nel grave. Il mezzosoprano ha avuto il merito di portare in dote una pagina raffinata come “D’amour l’ardente flamme” da “Le damnation de Faust” di Berlioz.
Poi è ritornata ad essere Azucena (“Condotta ell’era in ceppi”) e Amneris (“Già i sacerdoti adunansi” con il tenore). Oltre alla sontuosità del mezzo vocale emergeva una grande forza interpretativa e una presenza scenica (anche in concerto) soggiogante.
Francesco Lodola