Ci sono spettacoli tradizionali che nella loro classicità sono più moderni delle tante trasposizioni di oggi. È il caso de “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini che sta andando in scena in questi giorni al Teatro La Fenice di Venezia. La regia di Bepi Morassi coadiuvata dalle belle scene e dai bei costumi di Lauro Crisman e dal disegno luci di Vilmo Furian è una macchina teatrale di scintillante brillantezza e incessante ritmo. La recitazione richiesta ai solisti è sobria, elegante e ricca di divertenti e irrinunciabili trovate comiche. Spiritosissime le movenze da dance anni ’80 di Rosina durante il duetto con Figaro nel I atto. Bella la costruzione dell’impianto scenico, anch’esso semplice ma efficace e ben realizzato il “coup de théâtre” nel finale, con una immensa cornice dorata che discende dall’alto con delle stelle filanti colorate per celebrare il sospirato matrimonio tra Rosina e Almaviva. Insomma uno spettacolo di irresistibile vis umoristica che ha divertito e incantato per la sincerità emozionale che traspariva.
Musicalmente era tutto una vera festa. Ed è quello che succede molto spesso quando dirige Stefano Montanari, autore, ancora una volta, di una prova superba. Ci siamo innamorati della sua lettura del Barbiere un anno fa a Verona e poi ci ha entusiasmati con il”Don Giovanni” all’Arena (podio tutt’altro che facile, soprattutto con un’opera del genere). Ebbene, di nuovo, questa sua direzione pare praticamente perfetta. Pazzesca la ricerca dei colori e delle sonorità e straordinaria la sua capacità di respirare con i cantanti e di indicare loro la via giusta anche nei recitativi. In alcuni momenti sembrava di trovarsi ad un concerto rock per l’esuberanza e il dinamismo di un’esecuzione priva di momenti piatti, ma ricca di continua tensione musicale e interpretativa. Il belcanto, lo ribadiamo sempre, è difficile perché si deve trovare la misura giusta e riempire di vita il tessuto orchestrale . Complice al fianco di Montanari l’eccellente Alberto Boischio al fortepiano e la magnifica orchestra e il coro diretto da Claudio Marino Moretti.
Grazie a Giovanna Donadini ci siamo innamorati di Berta. La cantante ci ha offerto una prova (in un ruolo solitamente trascurato) entusiasmante, con la maestria di un’attrice di prosa e la sapienza del fraseggio di una vera caratterista. Un vero animale da palcoscenico.
Roberto Scandiuzzi è uno dei più importanti bassi italiani sulle scene e ha ribadito la sua autorevolezza vocale e teatrale nel ruolo dello stralunato Don Basilio. Ne è venuto fuori un personaggio nobile, snob, che non resiste al profumo del denaro.
Omar Montanari è il miglior Don Bartolo su piazza perché la sua interpretazione è unica e moderna. Non si sentono effetti di cattivo gusto, ma una linea di canto di grande eleganza che gioca con gli accenti e così la sua aria “A un dottor della mia sorte” diviene una lezione di tecnica vocale e di espressività. Poi ciò che ci piace ancor di più è la costruzione teatrale del personaggio e l’adesione ad essa da consumato attore. Il Bartolo di Montanari è un vecchio brontolone esasperato, che diviene vittima delle sue stesse calunnie e che quindi non ci può non ispirare simpatia. Esilarante quando si mette a discutere con il direttore d’orchestra sulla qualità dell’aria di Caffariello e sulle sue varianti testuali.
Anicio Zorzi Giustiniani è un Conte Almaviva d’altri tempi, poiché possiede uno strumento di notevole peso e timbro rotondo, diverso da quello dei tenori che oggi affrontano questa parte, e più in linea con una tradizione di tenori spiccatamente lirici che affrontavano il ruolo nel passato.La voce affronta la coloratura con nitore e adeguata sicurezza, ma i momenti che ci hanno colpito di più sono appunto quelli più spiccatamente lirici e patetici dove il cantante mostra le sue carte migliori, come un’attenta ricerca dei colori. Scenicamente è poi elegantissimo e divertente nelle caratterizzazioni del soldato e di Don Alonso.
Abbiamo lasciato a dicembre Chiara Amarù battagliera e mercuriale Preziosilla in “La Forza del destino” a Verona e la ritroviamo una scatenata Rosina. Diciamo che la sua protagonista è siciliana, energica, vitale, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Una Rosina di un calore e di un’umanità incredibile, che alla fine ci faceva sentire innamorati come tanti Lindoro. Vocalmente poi è incredibile: le agilità sembrano facilissime, sgranate alla perfezione (le note si sentono tutte), il fraseggio scaltrito alla perfezione e poi il timbro brillante che sovrasta tutti anche nei concertati e che sa trovare affascinanti bruniture nel registro centrale.Un vero Sole.
Julian Kim nel ruolo di Figaro è stato veramente padrone della scena. Non è facile per un orientale trovare la quadratura, soprattutto nel repertorio comico rossiniano, che necessità di cura non indifferente della parola, nei recitativi in special modo. Eppure Kim è stato formidabile e ha dimostrato una verve da vero factotum. Ultimamente sentiamo Figaro con voci leggere, che hanno timbro meno corposo, ma più facilità nelle agilità. Il baritono coreano invece si inserisce sulla scia di Nucci e delinea un protagonista che vocalmente non teme le insidie della tessitura acuta e mette al servizio della coloratura un fiume vocale controllato con assoluta maestria.
Buono il contributo di William Corrò (Fiorello) e Emanuele Pedrini (Un ufficiale).
Uscendo da teatro tutti canticchiavano ed erano sorridenti, segno di uno spettacolo di grande successo segnato da un trionfo di pubblico.
Venezia, 22 maggio 2016
Francesco Lodola