Terzultimo titolo operistico della stagione 2015/2016 per il Regio di Torino è la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, che mancava in questo teatro solamente dal giugno del 2011.
Opera belcantistica per eccellenza, debuttò al teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835 (otto mesi dopo il debutto parigino di un’altra opera simbolo del belcanto, ossia i Puritani di Vincenzo Bellini) con enorme successo, da allora è entrata in repertorio in tutti i teatri lirici del mondo per mai più uscirne, diventando così uno dei melodrammi più amati dal pubblico.
Per questa produzione con nove recite, dall’11 al 22 maggio, il Regio ha affidato il ruolo del titolo a tre stelle del belcanto quali Jessica Pratt (11, 13, 15, 18), Elena Mosuc (14, 17, 19, 21) e Diana Damrau (22). Quest’ultima (oserei dire la più attesa a Torino) sarà poi impegnata nella turnée del Regio al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi e alla Philharmonie di Essen, rispettivamente il 27 e 29 maggio, nella quale verrà eseguita la stessa opera, in forma di concerto, con il medesimo cast dell’ultima recita eseguita in “patria”.
La seguente recensione si riferisce dunque alla recita del 22.
Inizio dal solo grande punto, a mio avviso (e di molti altri in sala), negativo di questa produzione, ossia dalla regia firmata da Damiano Michieletto, ideata originariamente per l’Opernhaus di Zurigo nel 2009, e ripresa lo scorso gennaio al Liceu di Barcellona, e ora, a Torino, da Roberto Pizzuto, e dalle scene di Paolo Fantin.
Cito ora alcune frasi dal blog “Il gatto mannaro” in un post dedicato proprio a questa regia e che condivido perfettamente ed in toto. La regia è ambientata in un tempo moderno non precisato e la scenografia si sbriga (come vedete dalle immagini) con l’onnipresenza di una “inutile e dannosa torre…” inclinata, che dovrebbe rappresentare il palazzo in rovina degli Ashton; “… ancora demenziale l’onnipresenza della figura vestita di bianco, fantasma in guanti e cappellino, che entra in scena portando ora un secchio zincato facente funzioni di fonte, ora una rosa che lascia cadere a terra con un sonoro tonfo (…). Non solo demenziale, ma anche vergognosa, è poi la scena in cui il coro festeggia con “immenso giubilo” le nozze di Lucia, ballando nella torre illuminata di luci colorate con movimenti tipici da discoteca, più qualche accenno di twist, e si permette anche di intervenire sulla musica battendo le mani (…). Conclusa la scena della pazzia, troviamo in mezzo al palcoscenico due tizi che scavano una fossa (…), poco dopo arriva la bara bianca. Solo che in quel momento, nell’opera, Lucia non è ancora morta affatto, come lungamente specifica il coro, che ne descrive l’agonia al disperato Edgardo”.
Per quanto riguarda i costumi di Carla Teti (che spaziano da uno stile ottocentesco a uno militare tipicamente tedesco) non si può di certo dire che siano brutti, ma quando la regia ha già fatto il grosso, non possono essere gli abiti a sollevare il tutto; lo stesso discorso può essere fatto per le curate luci di Martin Gebhardt, riprese da Alessandro Carletti.
Questo dunque è ciò che possiamo dire dal punto di vista scenico. Qui potete leggere la recensione del blog “Il gatto mannaro”).
Passiamo ora al lato musicale di questa performance, iniziando dalla sempre eccellente orchestra del Regio, diretta dal maestro Gianandrea Noseda, recentemente vincitore del premio come Direttore dell’Anno 2016 agli International Opera Awards. Noseda ha però suscitato alcune perplessità sulla sua direzione, in primis per la scelta di tempi eccessivamente veloci, e secondariamente per la scelta di dinamiche eccessivamente forti e pesanti a discapito dell’udibilità di alcuni cantanti, anche se quest’ultimo punto ha avuto un minor peso. Viene da chiedersi se il belcanto sia effettivamente un repertorio che Noseda possieda nella bacchetta…
Come sempre eccellente il coro diretto dal Maestro Claudio Fenoglio.
Per quanto riguarda il cast vocale inizio dalla protagonista, il soprano tedesco Diana Damrau, una Miss Lucia eccellente, immensa, rara, sulla quale si potrebbero scrivere un tripudio di aggettivi; la resa e l’interpretazione che ha dato del personaggio sono state sensazionali, dalla tecnica, alla ricercatezza dei passaggi e delle dinamiche, alla dizione, all’emotività che riusciva a trasmettere. L’unica cosa che si può trovare da ridire è che i sovracuti, pur mantenendo chiaramente l’intonazione corretta, non erano più così limpidi e lunghi come quelli di qualche anno fa, ma di fronte ad un’interpretazione di livello così alto, anche se i sovracuti non erano proprio perfetti, si fa volentieri a meno di questa perfezione. Calorosi e lunghissimi consensi le sono stati attribuiti dal pubblico, sia terminato “Regnava nel silenzio”, sia terminata la scena della pazzia (nella versione con l’accompagnamento della Glassarmonica). Torno brevemente sulla regia trattata all’inizio della recensione aggiungendo che finita la famosa scena appena citata, Lucia si getta dalla torre pendente (ben inteso, non è la cantante a gettarsi, ma una controfigura) esplicitando così la morte attraverso il suicidio e andando quindi nuovamente in inevitabile contrasto con il libretto di Salvadore Cammarano, secondo cui la protagonista morirà (senza sapere esattamente come, sicuramente non suicida) poco più avanti nel proseguimento dell’opera.
Il tenore Piero Pretti ha interpretato con grande consenso il personaggio di Sir Edgardo di Ravenswood. Dotato di un timbro più scuro di quello che si immagina tradizionalmente per la voce maschile più acuta nel belcanto, è riuscito a rendere molto bene i vari caratteri del personaggio, dalla decisione e sfrontatezza di fronte agli affronti contro di lui, fino alla tenerezza del “verranno a te sull’aure”. Commuove nel finale ultimo, con uno dei brani tenorili più belli nella storia dell’opera “Tu che a Dio spiegasti l’ali”.
Lord Enrico Ashton è invece interpretato dal baritono Gabriele Viviani, che riesce a rendere molto bene sul piano scenico la figura dello spietato fratello di Lucia, purtroppo non convince altrettanto sul piano vocale, in quanto se nel registro medio-grave non sembra avere alcuna difficoltà, sono le note più acute ad essere quasi urlate e l’intera performance risulta priva di dinamiche.
Nicolas Testé è il basso scelto per interpretare Raimondo Bidebent, il confidente ed educatore di Lucia in scena, (e consorte della Damrau nella vita), secondo Michieletto, nelle vesti di un prete o vescovo non meglio specificato. Comunque di notevole presenza scenica e con un bel timbro, curato nella proiezione e nelle dinamiche, ma non molto potente.
Lord Arturo Bucklaw è Francesco Marsiglia, tenore dal timbro leggero, che bene ha reso il ruolo del marito di Lucia.
Completano correttamente il cast la damigella di Lucia, Alisa, interpretata dal mezzosoprano Daniela Valdenassi e il capo degli armigeri di Ravenswood, Normanno, il tenore Luca Casalin.
Nel complesso questa produzione della Lucia di Lammermoor, dal punto di vista musicale, merita veramente di essere ricordata e sicuramente ha lasciato un bellissimo ricordo tra il pubblico torinese, che lo ha dimostrato alzandosi in piedi per una lunga standing ovation finale che, bisogna sottolineare, al Regio è rara.
Stefano Gazzera