Aida è un’opera esigente, perché nonostante la chiave trionfalista e spesso kitsch con cui viene letta, richiede cantanti all’altezza di una scrittura ardua e densa di richieste.
All’Arena di Verona sembra finito il tempo in cui anche nelle repliche si trovavano le star come l’irriducibile Fiorenza Cossotto, le grandi Giovanna Casolla e Bruna Baglioni, le voci miracolose di Franco Bonisolli o Piero Cappuccilli. La replica di ieri sera è sembrata una serata riuscita solo a metà a causa di una mancanza di nervo nell’esecuzione.
La direzione di Julian Kovatchev è sempre elegante, però in questa serata è sopravvenuto più di un problema con il palcoscenico, soprattutto nel III atto.
Nel cast l’unica stella che brilla di luce splendente è Luciana D’Intino.
Sempre ottimi la sacerdotessa di Alice Marini e il messaggero di Francesco Pittari. Nei panni del Re si conferma Carlo Cigni, mentre in quelli di Ramfis il basso russo Sergey Artamonov, recente Conte Rodolfo ne ” La Sonnambula” al Teatro Filarmonico. Amonasro è il veterano Alberto Mastromarino che mette al servizio del personaggio tutta la sua esperienza e maturità.
Stefano La Colla ha voce timbricamente bellissima, probabilmente però il ruolo di Radames non è il più adatto a far risaltare le sue carte migliori che sono la liricità e il cantabile. Il momento migliore è sicuramente la scena della tomba, dove però dimentica alcune frasi trovandosi in anticipo rispetto alla frase musicale.
Monica Zanettin è una voce sostanzialmente lirica, che si avvicina guardinga alla parte di Aida, che riesce a dominare solo in parte. Il soprano delinea un personaggio eccessivamente dolce, che quindi manca in momenti come “Ritorna vincitor”, conclusi però con un bellissimo “numi pietà”, in cui ritroviamo la vera natura di questa voce. Sicuramente non l’ha aiutata il confronto con Hui He, dotata di un’autorevolezza interpretativa maggiore, dovuta all’esperienza.
Luciana D’Intino era la sola (con Mastromarino) a possedere l’elettricità e la sontuosità del canto verdiano, perché lo ha nel DNA. È erede di Simionato, Barbieri e Stignani ed è l’ultimo grande mezzosoprano italiano e in questo si riassume il suo contributo alla storia del canto. Il mezzosoprano friulano dà una lezione a tutti quando entra in scena, domina su tutti, in tutti i concertati e nella scena del giudizio è da pelle d’oca per la quantità di sensazioni che riesce a trasmettere. Ma c’è un gesto che non dimenticheremo in fretta: il modo in cui Amneris/D’Intino si inginocchia ai piedi dei sacerdoti per supplicarlo. L’opera è fatta anche di questo, di piccoli momenti che valgono la pena di aver comprato il biglietto.
Dello spettacolo si è già parlato a lungo, e quindi vi rimandiamo alla recensione della prima, con l’aggiunta che ieri sera per il vento e le condizioni climatiche non del tutto favorevoli, una parte della scena del IV atto (il grande velario) non è stato montato.
Foto Ennevi / Fondazione Arena di Verona
Francesco Lodola