Turandot pare essere stato il titolo che più ha attratto il pubblico, quest’anno all’Arena di Verona. Lo spettacolo di Zeffirelli rimane un caposaldo, per l’incanto e la magia che riesce a creare. E’ uno spettacolo intelligente, che non ha momenti morti e che garantisce una scorrevolezza, spesso negata agli spettacoli areniani, è il caso dell’Aida del 1913. Bellissimi i costumi di Emi Wada, dai colori brillanti e vivaci.
Però non siamo sicuri che lo splendore della reggia dorata di Turandot sarebbe stata così luminosa se non ci fosse stata la direzione di Andrea Battistoni. Il direttore veronese è ormai un esperto di questo titolo e ne conosce tutte le pieghe e i dettagli più infinitesimali e lì fa risaltare, con sonorità piene, ma che non ostacolano e travolgono il canto. L’orchestra dell’Arena suona con lussuosa ricchezza di armonici e eleganza.
Benissimo il coro diretto da Vito Lombardi, in una prova ancora una volta sorprendente. Il coro di voci bianche A.d’A.Mus era diretto da Marco Tonini.
Nel ruolo dell’imperatore Altoum e del mandarino si sono distinti Cristiano Olivieri e Paolo Battaglia. Bravi i tre ministri Ping, Pong e Pang, interpretati da Marcello Rosiello, Francesco Pittari e Giorgio Trucco. Carlo Cigni era un’ottimo Timur che sapeva ben cogliere quelle bellissime frasi che Puccini gli affida dopo la morte di Liù.
Donata D’Annunzio Lombardi tornava in Arena dopo una lunga assenza e si può che è stato un ritorno felicissimo. Il bravissimo soprano incarnava una Liù delicatissima, capace di filati infiniti e ben sostenuti e anche di canto rotondo. Una schiava che sa commuovere con eleganza e raffinatezza.
Walter Fraccaro è un tenore solido, e un veterano del palcoscenico dell’Arena, come ci ha dimostrato in alcune recite di Aida quest’anno. Tuttavia la sua prova non può dirsi del tutto superata, poiché la voce era molto spesso forzata, per trovare delle sonorità che non possiede. Le due arie “Non piangere Liù” e “Nessun dorma” sono i momenti meglio riusciti, pur tuttavia anche in queste si nota una certa propensione ad effetti veristi e a suoni schiacciati nell’acuto.
Oksana Dyka è una Turandot molto convincente. Possiamo dire che questa è la sua migliore prova areniana dopo il suo debutto come splendida Tosca. La voce è di bellissimo smalto, anche nella regione acuta, nella quale le sonorità taglienti e metalliche, vengono usate vantaggiosamente per creare un personaggio interessante. Turandot è per la Dyka una ragazzina capricciosa, che usa la violenza come arma di difesa per la sua fragilità. Ricordiamo che queste recite rappresentavano il suo debutto nel ruolo, per cui nelle prossime recite il personaggio diventerà ancora più scaltrito.
Un’Arena piena festeggiava con grande calore la principessa Turandot e la sua corte.
Francesco Lodola
Foto Ennevi