14137697_1186674511375892_1039316391_nMario Cassi è uno dei più noti baritoni dell’attualità, paradigmatico Figaro ne “Il Barbiere di Siviglia”, ma ora anche votato a ruoli drammatici come Giorgio Germont ne “La Traviata” e Enrico in “Lucia di Lammermoor”. Quest’estate è stato nuovamente Figaro alle Terme di Caracalla, ottenendo un grande successo. Abbiamo avuto il piacere di poterlo disturbare durante le sue vacanze estive, per potergli fare quest’intervista….

Innanzitutto Mario, come ti sei avvicinato al canto lirico?
Il mio primo approccio con la lirica è stato l’ascolto della Carmen Suite, tratta dall’opera di Bizet. E’ stata una scoperta graduale, non avendo in famiglia musicisti (i miei genitori erano professori), e venendo da una piccola cittadina non avevo un teatro di riferimento. La prima opera che vidi in televisione fu il “Nabucco” dal Teatro alla Scala nel 1986, poi nel 1987 vidi la mia prima opera dal vivo, all’Arena di Verona, Aida. Rimasi impressionato dalla magnificenza di quello spettacolo. Nell’89 andai per la prima volta al Maggio musicale fiorentino, dove vidi “Pelléas et Melisande”, “Idomeneo” e “I Puritani” con le scene di De Chirico , Luciana Serra come Elvira e Chris Merritt come Arturo, e rimasi definitivamente folgorato….
E la voglia di cantare quando è arrivata?
La voglia di cantare arrivò più tardi, verso i sedici anni, quando crebbe in me la voglia di capire quello che ascoltavo e di poter leggere le partiture delle opere che amavo. Allora la mia maestra di pianoforte mi incoraggiò ad incominciare a studiare canto. Così ho cominciato a scoprire la mia voce che piano piano si è sviluppata, fino ad oggi.

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©Brescia Amisano/ Teatro alla Scala

Andiamo subito a parlare del tuo personaggio più emblematico, Figaro de “Il Barbiere di Siviglia”, che hai interpretato in tutti i più importanti teatri italiani ed esteri….chi è Figaro per te?
Figaro è un personaggio che cominciato a fare nel 2008, dopo averlo studiato molto per risolvere tutti gli scogli che trovavo, come le agilità. Ho avuto la fortuna di poterlo cantare in tantissime occasioni, con tanti direttori d’orchestra diversi, ciascuno dei quali mi ha dato ottimi consigli, e con tanti registi che mi hanno stimolato a creare un personaggio sempre più sfaccettato. Posso dire che dopo le recite alle Terme di Caracalla di quest’estate, sento di aver imparato a superare le difficoltà vocali e di potermi quindi concentrare sul rendimento interpretativo. Se penso alla cavatina di Figaro è straordinario come Rossini inserisca una moltitudine di colori, che ti permettono di giocare con la parola e con l’accento. Quindi superate le agilità impervie, che vanno snocciolate con precisione, e una tessitura decisamente acuta, Figaro è un ruolo sempre stimolante, che non ci si annoia mai a mettere in scena. Credo ancora di non aver trovato una definizione definitiva di questo personaggio, sono sempre alla ricerca di elementi nuovi per arricchirlo. Mi piace citare il lavoro fatto a Roma con il direttore Yves Abel, con il quale ogni sera si faceva un lavoro di miglioramento e di crescita insieme, cercando di rafforzare sempre di più la parola cantata con il tessuto orchestrale. Io penso sempre al canto come parole che diventano note, e non viceversa e Rossini è un autore emblematico in questo senso.
Questa attenzione alla parola potrebbe derivare anche dalla tua frequentazione del repertorio barocco….
Sì, ho avuto all’inizio della carriera una certa frequentazione con il repertorio barocco. Sicuramente è un tipo di canto di cui Rossini può essere considerato in qualche modo un erede, seppur con modalità differenti. E’ stato uno studio molto stimolante, soprattutto per la ricerca continua di sfumature e colori e per la grande attenzione alla parola nei recitativi.
14159922_1186674474709229_985602524_nProssimamente sarai alla Wiener Staatsoper, con un altro Figaro, quello mozartiano….un personaggio diverso da quello rossiniano eppure uscito sempre dalla penna di Beaumarchais….
Ho sempre riflettuto molto sulle analogie tra questi due personaggi. “Le nozze di Figaro” nella trilogia di Beaumarchais, sarebbero il prosieguo del Barbiere, tuttavia musicalmente lo precedono, sia dal punto di vista cronologico che stilistico (nonostante Mozart sia assolutamente fuori dal tempo). Il Figaro di Mozart è assolutamente molto diverso da quello del Barbiere: rimane un personaggio mercuriale, ma in Mozart prevale il suo aspetto umano e anche rivoluzionario, dal punto di vista politico. Mentre in Rossini è un uomo più materialista, guidato dall’oro nell’intrecciare le sue burle. In Mozart Figaro soffre per la sua posizione subalterna, lavora al servizio del Conte. Tutto quadra nel momento in cui si osserva che le due opere riflettono i momenti storici completamente differenti dei due autori. Il Figaro di Mozart potrebbe essere un uomo giovane, mentre quello di Rossini può essere un uomo d’esperienza, più abile nel risolvere gli ostacoli della vita. Ho affrontato anche “I due Figaro” di Saverio Mercadante con il maestro Riccardo Muti, e lì c’è un personaggio ancora diverso, cinico, e vendicativo. Quando affronto ravvicinatamente il Figaro di Mozart e quello di Rossini porto alcune cose dell’uno nell’altro e viceversa, trovo che sia molto bello e giusto farlo, poichè sono due personaggi diversi, ma che nel profondo si comunicano. Vocalmente poi, sono pochi i cantanti a poterli affrontare entrambi, poichè sono due vocalità diverse.

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©Foto Ennevi

Come definiresti la tua vocalità, vista la tua frequentazione sia del repertorio buffo che di quello serio?
Ho avuto sempre una grande naturalità nell’affrontare il sillabato o le agilità rossiniane e donizettiane. Ma La mia voce ha anche una natura “larmoyant”, che ben si sposa al repertorio francese. Infatti il ruolo che mi ha rivelato al grande pubblico è stato Valentin del “Faust” di Gounod, ancora prima di Figaro del Barbiere. Credo di poter dare il meglio nei ruoli brillanti, ma di poter trovare allo stesso tempo, una cavata e delle sonorità che ben si adattano ai ruoli seri. Per esempio quest’anno a Liegi ho portato il mio primo Giorgio Germont de “La Traviata”, in un teatro che mi ha visto in questi anni in tutti i miei ruoli più importanti. Molte persone che mi hanno ascoltato in tanti ruoli li, mi hanno detto che questo è il ruolo in cui ho impressionato di più. Ho sempre pensato che la scuola dell’opera buffa che è quella napoletana del seicento, che arriva fino a Donizetti, ti insegna il canto sulla parola, che è fondamento anche dell’opera seria. Quello su cui mi è capitato di riflettere con Christophe Rousset, un bravissimo direttore, è che una vocalità adatta all’opera seria può dare risultati ottimi anche nel repertorio dell’opera buffa settecentesca. Ho affrontato per esempio con la mia voce il Taddeo de “L’Italiana in Algeri”, con grande soddisfazione, mettendo in risalto con una vocalità diversa, l’aspetto più umano di questo personaggio.
14202790_1186674448042565_387939795_oQuesta stagione è stata per te importante grazie a due debutti di ruoli seri, Enrico in “Lucia di Lammermoor” e Giorgio Germont ne “La Traviata”…..due personaggi anche simili nella loro autorità….
Sono due personaggi che sono anni che aspettavo di affrontare, molto forti ed entrambi manipolatori, l’uno verso Lucia e l’altro verso Violetta. Devo dire che vocalmente mi sono trovato molto più comodo in Germont, che non in Enrico, che ha una vocalità molto impegnativa, anche perchè affrontandola con Stefano Ranzani, ho eseguito un’edizione senza tagli, praticamente integrale. Sicuramente la mia esperienza nel repertorio rossiniano mi ha aiutato a superare tutte le insidie di questi ruoli, dando spazio alla cantabilità. Ho cercato di delineare due personaggi eleganti, lontani dal modello del baryton vilain. Ho cercato di fare tutti i piani e i colori scritti, anche dove l’orchestrazione di Donizetti è molto accesa. Ho avuto una grande soddisfazione, anche perchè entrando in scena mi sentivo nel personaggio. Con Figaro questo è più difficile perchè bisogna rispettare i tempi comici, cosa assolutamente non banale. Germont è un ruolo che mi commuove, perchè credo che oltre all’autorità dell’uomo ci sia anche la sofferenza reale di un padre e questo tutte le sere ho cercato di trasmetterlo nell’aria “Di Provenza, il mar, il suol”. Cercavo di entrare nella mentalità di questo personaggio che causa tanta sofferenza, pun non volendo e pur soffrendo egli stesso. L’eleganza del belcanto deve guidare nel cantare questi ruoli, tenendo a freno il temperamento, per evitare effetti fuori dalla linea musicale.
L’allestimento de “Il Barbiere di Siviglia” delle Terme di Caracalla, con la regia di Lorenzo Mariani e le scene di William Orlani, aveva un’impronta chiaramente cinematografica….come ti trovi a doverti misurare con letture originali e lontane dalla tradizione?

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©Teatro Massimo di Palermo

Questo spettacolo di Roma è stato bellissimo, anche se non facile per questa dialettica scenica molto vivace. Produzioni di questo genere fanno bene all’opera e al pubblico, poichè c’era dentro un profondo rispetto per la musica, la vicenda e i rapporti tra i personaggi. Il lavoro con il regista deve essere di collaborazione e di rispetto. Se si è convinti e c’è uno scambio tra cantanti e regista lo spettacolo nasce sotto una buona stella. Quando invece i cantanti diventano semplici esecutori materiali delle volontà del regista, il risultato non sarà dei più convincenti, perchè i cantanti stessi non avranno lo stesso entusiasmo e calore nell’incarnare i propri personaggi. Quando un regista mi chiede delle cose che mi stimolano, io mi butto a capofitto per farle bene.
Hai avuto l’onore di collaborare più volte con Riccardo Muti…qual è il bagaglio che ti porti da queste esperienze?
Sono state esperienze indimenticabili dal punto di vista artistico. Mi ha insegnato tante di quelle cose, che io utilizzo tutt’oggi. Quando inizi a lavorare con il maestro Muti impari ad avere un approccio alla lettura della musica del tutto particolare, con una grande attenzione alla parola e all’accento dei recitativi. Anche umanamente con lui si crea un clima durante le prove disteso e di profonda serenità, nel quale si fa musica insieme, con piacere reciproco. Sono insegnamenti che valgono per tutta la vita. Certamente lavorare con il maestro Muti ti apre anche tante porte, poiché i teatri iniziano a fare affidamento su di te.

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©Foto Ennevi

Hai cantato in tutti i più importanti teatri all’aperto italiani, Verona, Macerata e Caracalla….quali sono le difficoltà e le emozioni di questi spazi?
Il cantare all’aperto dona delle sensazioni molto belle, ponendoti anche delle difficoltà dovute alle condizioni climatiche. E’ un’esperienza diversa, dove si deve cercare l’emozione. Fare “Il Barbiere di Siviglia” all’Arena o a Caracalla è eccezionale, perchè ti permette di esibirti in questo capolavoro davanti a quindicimila persone (nel caso dell’Arena) e di donare loro delle emozioni e riceverle grazie al loro calore. Tutto questo ti ripaga della fatica che fai sul palcoscenico durante le recite e le prove. Non voglio fare a meno di esibirmi in questi palcoscenici, perchè sono esperienze assolutamente appaganti.
Quali sono i ruoli che sogni di debuttare?
Il prossimo debutto su cui sto lavorando è Don Giovanni, un ruolo che aspetto da tanto tempo. Un personaggio che prima credevo fosse troppo per me e che ora mi sento pronto di cantare. Più che altro voglio tenermi tutti questi ruoli che ho cantato fino ad ora e continuare ad approfondirli. Arriveranno sicuramente i ruoli verdiani come Rodrigo di “Don Carlo, che sento ora di poter affrontare e un ruolo che vorrei debuttare da tanto, che è Riccardo de “I Puritani”.

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©Opéra Royal de Wallonie/Lorraine Wauters

Per Don Giovanni serve indubbiamente un grande attore…quanto conta oggi essere interpreti interessanti sulla scena?
Credo che essere coinvolti sulla scena fosse necessario anche cinquant’anni fa: pensiamo a Tito Gobbi e Maria Callas, che se non avessero avuto anche quella forza in scena, non sarebbero i miti che oggi adoriamo. Verdi parlava nelle sue lettere di attori, non di cantanti, esigeva degli attori che cantassero. Diceva spesso di servire prima la parola che la musica . Questa secondo me è la base di tutto il melodramma da Monteverdi fino ad oggi. Dobbiamo ricordarci che è teatro musicale: quindi una messa in scena teatrale con la musica. Capita che il grande cantante, il grande interprete si riveli proprio quando non canta, nei momenti di silenzio, nei quali l’espressione e il magnetismo è tutto. Il grande interprete è quello che cattura il tuo sguardo e ti magnetizza.

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©Foto Ennevi

Da artista italiano cosa ne pensi della crisi dei teatri italiani e soprattutto del calo di affezione del pubblico verso i teatri delle proprie città?
Questa è una questione molto triste. Avendo molti impegni all’estero, vedo nei teatri, per esempio l’Opera di Vienna, un riempimento della sala per tutte le serate del 98 %, in cui sono inclusi anche molti giovani. Quello che è ancora più importante, oltre i dati anagrafici, è che il pubblico sia reattivo e coinvolto con lo spettacolo che sta vedendo. Non credo sia un calo di affezione nei confronti dei nostri teatri (ho fatto Lucia nel circuito lombardo quest’anno e le sale erano sempre piene), ma piuttosto un affievolimento della reattività del nostro pubblico. Il maestro Muti dice sempre che il concerto si fa con il pubblico, non per il pubblico. Alcune volte dipende da noi esecutori, che non riusciamo ad accendere la curiosità, ma altre volte c’è una mancanza di affetto verso la nostra musica e la nostra cultura da parte del pubblico. Quello che possiamo fare noi cantanti è di portare sempre al pubblico esecuzioni di qualità, frutto di una grande ricerca e volontà di comunicare.
Prossimi impegni….
“Le nozze di Figaro” a Vienna, il debutto di “Don Giovanni” a Liegi, un teatro a cui sono molto affezionato e dove tornerò anche nei prossimi anni. Poi sarò Enrico in “Lucia di Lammermoor” a Tel Aviv, città che adoro e teatro dove si lavora benissimo, “Il Barbiere di Siviglia” a Montecarlo, e “Così fan tutte” con Omer Meir Wellber a Dresda, con la Sächsische Staatskapelle Dresden.

In bocca al lupo a Mario Cassi e Grazie!

Francesco Lodola

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