“I Pagliacci” sono in queste settimane da tutte le parti: a Torino con la regia del noto Gabriele Lavia
e a Verona, dove ritorna nell’allestimento storico di Franco Zeffirelli. Non è un mistero che questa sia opera non sempre amata dalla critica, ma sicuramente lo è dal pubblico, dai cantanti (in particolare i tenori) e anche dai registi provenienti dal cinema o dalla prosa. Questo per la riflessione metateatrale contenuta nell’opera, che la fa assurgere a unica, vera creatura verista. L’unica opera che non cade in convenzioni melodrammatiche banali e che è per ricchezza intellettuale un vero capolavoro del Novecento e vero manifesto della cultura naturalista e verista.
Franco Zeffirelli lo sa bene e questo allestimento nato anni or sono si è aggiornato nel corso degli anni e ancora oggi è attualissimo e modernissimo. La storia è immersa in una periferia del Sud degradata, in cui le famiglie con numerosa figliolanza si mescolano alle prostitute, ai transessuali e ai tossici. C’è il tipico ritmo Zeffirelliano del pieno/vuoto, in cui il pieno è così caotico che non sai veramente dove guardare, talmente tante sono le cose che succedono in palcoscenico. Rimane un capolavoro è uno dei migliori spettacoli del teatro zeffirelliano. Ottima la ripresa registica curata da Stefano Trespidi.
Musicalmente le cose andavano per il meglio sotto la direzione di Valerio Galli, concertatore ottimo, che evidente ama il canto e lo fa risaltare. Ma non si limita a questo: Galli sa disegnare tutti i dettagli melodici e armonici che fanno di Pagliacci un’opera di grande raffinatezza musicale e di orchestrazione. Bene gli risponde la compagine strumentale veronese, il coro diretto da Vito Lombardi e il sempre preparatissimo coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani.
Efficace la compagnia di canto che aveva in Francesco Pittari un brillante Beppe/Arlecchino. Devid Cecconi é accorso in sostituzione del previsto Sebastian Catana ed era un buon Tonio, con voce di bel timbro che prende più luce nel registro
acuto. Forse lo avremmo preferito in ruolo più lirico, dove potesse mettere in gioco le sue carte migliori, che risiedono nel canto morbido e sfumato.
Federico Longhi è un Silvio che sa prendersi il suo spazio, sfoggiando una vocalità che sa farsi appassionata, ma anche morbida e tenera. L’interprete è padrone della scena ed unito al cantante crea un’oasi di meraviglia nel duetto con Nedda, complice Donata D’Annunzio Lombardi. Probabilmente il momento migliore di tutta la recita.
Walter Fraccaro è un grande professionista e un cantante di solidissima vocalità. L’esperienza lo aiuta a disegnare un personaggio convincente, che non cade nel tranello di essere sguaiato e verista (nel senso negativo del termine). La voce gioca la sua zona nel registro
acuto, gagliardamente esibito.
Donata D’Annunzio Lombardi è cantante ed attrice sopraffina. Nedda non è un personaggio simpatico, non è una donna dai forti ideali come le donne pucciniane. Non è un’eroina e neanche una vittima. Eppure grazie a questa interpretazione ce ne siamo innamorati. Ci ha sedotto attraverso la perfezione vocale, la tecnica agguerrita, il fascino profondo dell’interprete che sa essere dolcissima, drammatica (senza cadere nel volgare), profumando tutto di una femminilità delicata. Una donna colpevole, ma per la prima volta ingenuamente innamorata. Grande successo con entusiasmo per Donata D’Annunzio Lombardi.
La recita era dedicata giustamente a Maurizio Magnini, artista del coro, prematuramente scomparso. Ci uniamo al cordoglio del teatro per questa perdita.
Francesco Lodola
Verona, 22 gennaio 2017
FotoEnnevi per gentile concessione Fondazione Arena di Verona