Romeo e Giulietta sono due figure immobili nel tempo, cristallizzate nel loro sentimento amoroso, immortalate come in un dipinto, ma così potenti da rimanere fortemente attuali e per questo emozionanti e per questo il pubblico accorre e si commuove ancora, come è successo il 19 febbraio alla prima de “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini al Teatro Filarmonico di Verona. Si è spesso definita “I Capuleti e i Montecchi” come un’opera anticipatrice dei capolavori successivi, a partire da “La Sonnambula” dell’anno successivo (1831). Un’opera in cui risiedeva il germe della grandezza di Vincenzo Bellini, ancora non perfettamente sviluppato. In tutto questo c’è un errore di valutazione, e lo vediamo dal numero consistente di riprese di questo titolo andate in scena in questi anni. Bellini aveva a disposizione un testo, quello di Felice Romani, che non possedeva grande ritmo teatrale, e drammaturgicamente non era poi così forte, non essendo legato neppure alla tragedia di Shakespeare, ma piuttosto a tutta la letteratura che si era sviluppata intorno ad essa, e che quindi stravolge le vicende che ben conosciamo. La concentrazione è bilanciata tra i due amanti e le lotte fra le due casate veronesi, quindi non è il lungo duetto d’amore che dura tutta un’opera come ci aspettiamo, cosa che invece è “Roméo et Juliette” di Charles Gounod. Eppure Bellini riesce con una debolezza d’insieme a creare un’opera che ispira commozione, per la delicatezza, l’ardore giovanile, il semplice ed ingenuo afflato che scaturisce dalle sue melodie, che Verdi ammirava perchè erano “lunghe, lunghe, lunghe”.
Arnaud Bernard nella sua produzione del 2013 (qui ripresa da Yamala Das-Irmici), realizzata in collaborazione con il Gran Teatro La Fenice e la Greek National Opera di Atene, immagina il mondo dei due amanti veronesi come uscito dalle tele dipinte di un museo in fase di costruzione. Fattorini, lavoranti e tecnici passano con gli attrezzi e i dipinti da appendere, mentre i Montecchi e i Capuleti aspettano immobili che se ne vadano per scatenare la loro guerra. Le scene di Alessandro Camera sono eleganti ed efficaci nel delineare i diversi spazi, anche attraverso sipari che si aprono e chiudono, schiudendoci i vari ambienti di questo silenzioso museo. Il finale è poi particolarmente d’effetto con i Capuleti e i Montecchi che si schierano immobili davanti ai corpi di Romeo e Giulietta e una grande cornice scende su di loro immobilizzandoli nel dipinto da cui erano usciti. Efficaci ed eleganti i costumi di Maria Carla Ricotti. L’unica cosa che possiamo lamentare è una certa monotonia nel far muovere le masse (da sinistra a destra quasi sempre) e una certa esagerazione di movimenti nei confronti di Lorenzo, che viene per tutto il tempo spintonato a destra e a sinistra.
Dal punto di vista musicale è stata un’edizione ben riuscita, grazie alla guida sicura di Fabrizio Maria Carminati, che sa stendere tappeti lirici di languida morbidezza e imprimere quel piglio che pure appartiene a questo stile, e particolarmente ai ruolo di Romeo e Tebaldo. Una loda la merita il coro (e in particolare le voci maschili) diretto da Vito Lombardi.
Luiz-Ottavio Faria è efficace nei panni di Capellio, anche se il suo ruolo è quello che viene maggiormente caricato a livello scenico. Romano dal Zovo, invecchiato dal trucco, interpreta un Lorenzo assai giovanile scenicamente e di voce ben gestita.
Shalva Mukeria è un Tebaldo di ottima qualità, sa dare involo alle sue frasi con un fraseggio che alterna il virilismo degli accenti bellicosi a accenti sfumati di persuasivo effetto, e sembra non temere una tessitura non comodissima, restituendoci un convincente ritratto di un personaggio ingrato per la sua unidimensionalità.
Gli ultimi Romeo di riferimento sono sicuramente state Elina Garanča e Joyce DiDonato, due voci che sicuramente non avevano nel registro grave il loro punto di forza, ma che anzi hanno la possibilità di affrontare tessiture anfibie.
Aya Wakizono è simile a loro, in quanto la sua voce, di timbro molto bello, prende luce nel centro e brillantezza nel registro acuto, mentre il registro grave (ben presente in questo ruolo) viene gestito senza ricorrere a sbagliate (in questo stile) emissioni di petto. Al suo debutto nel ruolo il giovanissimo mezzosoprano è sicurissima sia nel canto d’agilità sempre nitidamente affrontato, che nel canto lirico, con accenti veramente sentiti. Nella parte teatrale è convincente ed è in continua crescita durante la recita. Una bellissima prova.
Quando Irina Lungu si avvicina al belcanto ci dona sempre dei ritratti di grandissimo valore. Era successo con Adina, Norina, Lucia di Lammermoor (tutti debuttati in questo teatro), ed è successo anche con Giulietta. Nel belcanto la vocalità preziosa di questo soprano si unisce all’eleganza dell’interprete, e al fascino delicato che emana. Una Giulietta velata di candore, che con soffici fraseggi e limpidissimo registro acuto (compreso il sovracuto non scritto nel finale del I atto), ci conquista e uscendo dal teatro sospiriamo tutti “Giulietta…” come tanti Romeo.
Alla fine bellissimo successo con punte di entusiasmo per Aya Wakizono e Irina Lungu.
Francesco Lodola
Verona, 19 febbraio 2016
Foto Ennevi per gentile concessione Fondazione Arena di Verona
Un pensiero riguardo “Teatro Filarmonico di Verona: I CAPULETI E I MONTECCHI”