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©Brescia-Amisano/Teatro alla Scala 

Una pioggia di fiori e coriandoli da parte di una sala festante hanno coronato la quarta recita di Traviata, sicuramente uno dei risultati più alti sotto il profilo tecnico che si siano sentiti in Scala.
Debuttava e contemporaneamente dava l’addio al ruolo alla Scala (prima di abbandonarlo definitivamente a Parigi nella prossima stagione), Anna Netrebko ha fornito una prova eccellente e di grande professionalità. Come la cometa di Halley, ogni tanto passa per Milano, e si presenta sempre in ottima forma, preparata e seria. La voce è potente, si percepisce subito la differenza rispetto agli standard cui si è abituati. Proiettata con estensione incredibile in tutta la sala, è anche dotata di centri caldi e un registro basso pieno, alla maniera russa. Curato anche il fraseggio, con astuzie che confermano uno studio attento e consapevole, e migliorata la dizione. L’interpretazione è poi magnetica, coinvolgente e autentica.

 

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©Brescia-Amisano/Teatro alla Scala

L’Alfredo di Francesco Meli è parso del pari soddisfacente. Meli è calato nuovamente nel suo terreno d’elezione, dove la convenzionalità della scrittura vocale del personaggio gli consente di sfoggiare la precisione della frase e la limpidezza adamantina di un timbro baciato da una naturale qualità. Un Alfredo quasi donizettiano, in controtendenza con una linea generale che solitamente lo associa al Verdi più scuro.
Memorabile anche la prestazione di Leo Nucci, sulla cui intelligenza di uomo di teatro e classe di attore si è già detto in proposito del suo scorso Rigoletto. Qualche piccola defaillance nell’aria non ha deperito l’interpretazione appassionata e una potenza vocale ancora notevole.
Si devono pure segnalare la piacevole sorpresa di Chiara Tirotta come Annina, dal timbro luminoso e dall’emissione ben calibrata e anche la felice riuscita di Alessandro Spina come Grenvil.

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©Brescia-Amisano/Teatro alla Scala 

Il parterre di artisti era guidato dalla bacchetta di Nello Santi, che non risulta né più né meno “battisolfa” (si dice con la totale positività di uomo di mestiere) di tanti altri nomi spacciati per novelli Toscanini. I tempi lenti e i tagli rinfacciatigli (peraltro incontestabilmente) fanno parte del bagaglio culturale di un uomo di ottantacinque anni; e anche qualora si volesse appiccicargli l’etichetta di routiner, si dovrà ammettere un mestiere che almeno conosce e gestisce con sorvegliata attenzione gli equilibri fra sezioni, che sa scovare purezze interessanti (duetto atto II, scena finale atto III) e colori adeguati (belle le luminosità quasi belliniane dell’atto campestre, contrapposte al violaceo della festa di Flora), nonché tenere a tempo buca e palco. Tutte qualità ignote a molti.

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©Brescia-Amisano/Teatro alla Scala 

L’allestimento di Liliana Cavani è di una raffinatezza visiva straordinaria, incantano le scenografie di Dante Ferretti, forse un poco meno i costumi, e le luci di Marco Filibeck, quasi parte a sé stante della scena, sono un saggio di suggestione e finezza. Spiace personalmente (e lo dico da persona nient’affatto ostile ad allestimenti moderni , si vedano anche solo il poetico Rosenkavalier di Kupfer o il bel Falstaff di Michieletto) leggere di alcuni Aggiornatissimi che si avventano su questa produzione come simbolo dell’ancien regime operistico. Tuttalpiù, si è dimostrato che la dirompenza sociale di Traviata è nel taglio drammatico-musicale realista, nelle parole di Violetta e Giorgio Germont, nel monologo di Alfredo, nel doppiogiochismo degli invitati da Flora, nella potenza di un sacrificio. Non c’è alcun bisogno di minigonne in lurex e bordelli, tantomeno di Alfredo che rigira la pasta di pane.

Stefano de Ceglia

Milano, 9 marzo 2017

Un pensiero riguardo “NOTTI MILANESI: LA TRAVIATA ALLA SCALA

  1. Che invidia! Io invece ho visto al cine quella del 14 dal Met (che è la produzione minimal col mega orologio che troviamo sul tubo con la Netrebko e Villazòn). Imbarazzante, sia le scelte di regia che la prestazione di Hampson, e io su Germont punto molto quando vedo La Traviata 😦

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