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©Foto Ennevi

Norma è un’opera che mette alla prova tutti i teatri, poiché oltre a trattarsi di un titolo avvolto da miti e mitologie varie, dalle più fondate alle più fasulle, è un’opera di estrema difficoltà, poiché oltre a coinvolgere intensamente il coro e l’orchestra, e anche le maestranze scenotecniche (che devono assicurare la grandiosità a Norma), si devono avere a disposizione quattro solisti che devono avere la giusta caratura per i propri ruoli. Nell’occasione di questa ripresa al Teatro Filarmonico non sempre tutto è andato per il verso giusto. La perla della serata era lo spettacolo ripreso personalmente da Hugo de Ana il quale cura interamente la produzione: dalle scene ai costumi, fino alla regia. L’ambientazione è di ispirazione neoclassica, con evidenti citazioni dell’epoca napoleonica (i ritratti del generale francese che scorrono durante la Sinfonia) e del gusto di quel periodo nel rileggere il mito della romanità. Come sempre negli spettacoli del regista argentino tutto è curato nel minimo dettaglio e alla maestria nel muovere le masse corrisponde anche l’attenzione nel muovere i solisti, che non vengono mai abbandonati a se stessi e che sono teatralmente molto preparati. Belle le proiezioni che scorrono all’apertura di ogni atto e che creano anche gli ambienti diversi della vicenda.

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©Foto Ennevi

Efficace l’idea delle colonne moventi che spostandosi creano il movimento teatrale, in un’opera come questa essenziale per dare vita alla drammaturgia. Ben realizzato anche il rogo con un adeguato colpo di teatro, così come quando Norma suona il bronzo del tempio per richiamare il suo popolo. Magica la soluzione adottata con “Casta Diva”, in cui una pioggia delle “sacre antiche piante” cade sul capo della protagonista immobile al proscenio.

Dal punto di vista musicale le cose procedono in maniera non sempre eccellente. La bacchetta di Francesco Ivan Ciampa assicura una tenuta teatrale di notevole presa, dimostrando capacità di accompagnamento veramente eccellenti, e anche una capacità di mettere adeguatamente in rilievo le voci a disposizione. Non si capisce la scelta di alcuni tagli, come quello del finale primo atto, dove la stretta del terzetto tra Norma, Adalgisa e Pollione viene sacrificato, per permettere probabilmente alla primadonna un sovracuto non scritto e peraltro non molto ben riuscito in quest’occasione. Un peccato poiché si tratta di uno dei pezzi più esaltanti di Norma. Brillante la prova del coro diretto da Vito Lombardi. 
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©Foto Ennevi

Nei panni di Flavio e Clotilde efficaci le prove di Antonello Ceron e Madina Karbeli. Rubens Pelizzari è un Pollione di robusta vocalità, dal colore di voce baritonale e dal volume molto consistente. Probabilmente questo non è il ruolo che mette in rilievo le caratteristiche migliori del suo strumento che sono appunto la robustezza e il canto muscolare, che trovano più spazio in altro repertorio. Tuttavia disegna un personaggio abbastanza convincente anche se non molto interessante, soprattutto non equilibrato con la protagonista (ovviamente non per colpa sua).

 La sfida per ogni soprano è quella di essere Norma e non di cantare semplicemente Norma. Questo personaggio che ha alle spalle mille fantasmi, che non nomineremo neppure, Richiede una forza vocale, ma soprattutto psicologica per affrontare un personaggio che deve passare da molti molteplici facce. Essere a Norma é una responsabilità, perché praticamente lo spettacolo si regge solo su di lei, sulla sua psicologia tormentata e sulla sua personalità multipolare. Csilla Boross era la protagonista prevista, ma era sfortunatamente indisposta e si faceva sostituire da Francesca Sassu (prevista per la recita del 25 aprile). Il soprano debuttava nella parte, ma non è uscita vittoriosa da questo confronto. Le note ci sono tutte (tranne gli acuti che spesso non sono a fuoco), ma il problema è che non c’è il peso per essere una Norma credibile.

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©Foto Ennevi

Abbiamo immaginato la Sassu, abbigliata come Paolina Borghese, come una magnifica Giulietta dei Capuleti e Montecchi o Beatrice di Tenda, ma Norma non le calza, forse Adalgisa. La sardotessa non calza alla voce, che non ha la pletoricitá adeguata per “Sediziose voci” o per il duetto con Pollione (“In mia man alfin tu sei”), ma non calza neanche al temperamento. Non si può parlare di addolcimento del personaggio, come faceva la Caballé. Si, Montsy era dolce, ma quando l’ira di Norma esplodeva, la superba catalana non si tirava certo indietro, perché poteva sfoggiare ben altri mezzi vocali. La Sassu si difende da Norma, ma non può sfidarla. Speriamo si sia trattato di un esperimento mal riuscito, perché veramente si tratta di un soprano lirico di grande pregio.  

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©Foto Ennevi

I migliori della serata risultavano essere gli interpreti di Adalgisa e Oroveso. Anna Maria Chiuri è una cantante esperta e disegna la sua Adalgisa con ricchezza di accenti e verità espressiva. Il colore di voce è scuro e non si amalgama bene con quello della protagonista. Il personaggio è forse quello teatralmente più autorevole e la presenza scenica imponente (forse troppo matronale) risalta nei nei costumi di de Ana, mettendo in ombra la grande sacerdotessa. 

Marko Mimica è un Oroveso energico, giovane, di voce bellissima e perfettamente nello stile. Una voce di basso che non conosce cavernosità e forzature. Una bellissima prova, di grande valore. 
 
Alla fine caloroso successo.  

Francesco Lodola

Verona, 23 aprile 2017

Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona

 

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