img_2548Il Viaggio a Reims è un’opera che richiede uno sforzo sovrumano ad un teatro, a causa di un carnet di personaggi principali vastissimo e ad una drammaturgia molto debole, che deve essere riempita con uno spettacolo, che ne compensi la vuotezza di trama e di intreccio. È un’opera che nasce con un intento celebrativo verso la monarchia francese e ha la struttura di una cantata scenica, senza averne le caratteristiche di contenuto. È una follia di tre ore, che rappresenta l’opera più novecentesca di tutto l’Ottocento. Nella produzione veronese è tutto ben riuscito dal punto di vista registico, grazie alla accoppiata vincente di Pier Francesco Maestrini e Joshua Held, già autori di un geniale Barbiere di Siviglia. La produzione, realizzata in collaborazione con il Theater di Lübeck e il Theater di Kiel, vede protagonista principale le animazioni fumettistiche, con le quali i cantanti interagiscono. A spettacolo non ancora iniziato vediamo la diligenza che corre verso Reims con i bagagli dei nobili viaggiatori, mentre nell’intervallo Rossini in persona trasporta un carretto per vendere bibite, sorbetti e gelati, una concezione dadaista dello spettacolo, che non conosce momenti di interruzione. Divertentissima la trovata per Corinna, che canta la sua lunga cavatina seduta sul water. Realizzata meravigliosamente anche la lunga scena finale con gli inni e le canzoni delle nazioni, con uno strepitoso siparietto sulla brexit. image2 (1)Minimali i pochi elementi scenici e i costumi firmati da Alfredo Troisi. Questi ultimi rimandavano a delle divise calcistiche per gli uomini, mentre le signore erano abbigliate con mutandoni variopinti, in stile Otttocento. Dal punto di vista musicale si tratta di una grande serie di arie e insiemi di enorme difficoltà. Sbaglia chi afferma che è un’opera adatta come saggio finale di un percorso di studio. Sì, è vero, ha un assortimento di personaggi delle più diverse vocalità. Tuttavia richiede cantanti che siano tecnicamente e teatralmente agguerritissimi. A Verona avevamo un cast che ha assolto alle esigenze della partitura con adeguata rispondenza.

Dal podio Francesco Ommassini dirigeva con la sua ormai ben nota eleganza e precisione, guidando la giovane compagnia ad una compattezza ideale. Una lode la merita l’accompagnamento incisivo di Patrizia Quarta e il coro diretto da Vito Lombardi.

image5La palma dei migliori spetta a Lucrezia Drei, Corinna di bel timbro, dalle capacità attoriali spigliate, che ci piacerebbe vedere anche nel ruolo di Folleville. Maestrini e Held le hanno costruito un personaggio diverso dalla sua tradizionale seriosità, rendendola una moderna regina del “friendzoned” ; Xabier Andauaga é un tenore rossiniano di ottima proiezione vocale e con un timbro prezioso. Uno dei pochi tenori belcantistici che non imitano Florez e non sembrano bambini piagnucolosi e dispettosi, ma cantano con limpidezza e timbro virile; Giovanni Romeo, cantante raffinato e interprete di eccellente calibro, capace di incarnare perfettamente lo stile rossiniano, come ci aveva già ben dimostrato nel suo brillante Don Magnifico ne “La Cenerentola” della scorsa stagione (qui la recensione);

Marko Mimica è un eccellente Lord Sidney, confermando dopo il bellissimo Oroveso in “Norma” (qui la recensione), di possedere vocalità importante e alto senso dello stile.

image7Un gradino più sotto Marina Monzó, la cui voce è perfetta per la Folleville e anche la personalità. Tuttavia non abbiamo trovato molto convincenti le variazioni della sua grande aria, non sempre di gusto irreprensibile;Raffaella Lupinacci era una Marchesa Melibea di rigogliosi mezzi vocali, che trovano il loro terreno fertile nel registro centrale, e quindi non sempre a proprio agio nei panni contraltili della polacca, qui raffigurata come una maestra del sadomasochismo.

Pietro Adaini (Il Conte di Libenskof) ha una voce di bellissimo colore ed è anche teatralmente molto maturato. Nelle prossime recite affinerà sicuramente la resa vocale, che necessita di maggior nitidezza, soprattutto nelle puntature acute.

image8Una delle voci più importanti, come volume e proiezione, era Alessio Verna, nel ruolo di Don Alvaro. Anche lui una conferma dopo l’ottima prova ne “I Pagliacci” (Silvio) dello scorso gennaio, capace di entrare con disinvoltura nello stile rossiniano, con agilità ben sgranate e suono sempre a fuoco.

Alessandro Abis è un Don Profondo di verve teatrale e vis comica irresistibile, interpretando questo “adult baby” patito di antichità. Vocalmente è convincente, ma le “Medaglie incomparabili” non brillano come dovrebbero.

Non convince la Madama Cortese di Francesca Sassu. Spiace constatare come la scorsa Norma abbia lasciato i segni, affaticando la vocalità del soprano e rendendola opaca, soprattutto nel sillabato della grande aria (“Di vaghi raggi adorno”).Viaggio_a_Reims_Ennevifoto4333_20170520 La resa teatrale é divertente e spigliatissima. Avendola apprezzata moltissimo in altri ruoli, speriamo presto di risentirla al suo meglio.

Straripante e simpaticissimo il Don Prudenzio di Omar Kamata, che gioca all’allegro chirurgo sul corpo della svampita Folleville.

Bene Alice Marini (Maddalena/Modestina), Stefano Pisani (Zefirino/Don Luigino), Stefano Marchisio (Antonio) e Francesca Micarelli (Delia).

Trionfo per lo spettacolo e per quest’opera che era per la prima volta a Verona.

In teatro era anche presente Cecilia Gasdia, la prima Corinna nella (ormai) storica e leggendaria ripresa del 1984, a Pesaro, con la direzione di Claudio Abbado.

Francesco Lodola

Foto Ennevi per Gentile Concessione Fondazione Arena di Verona

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