18301066_10154724985553165_1244995092072350396_nRobert Carsen: un nome e tutto un programma. Il sovversivo regista canadese tanto amato nel mondo della lirica, è ritornato alla Scala con il suo Don Giovanni.
Don Giovanni è sempre stato uno dei personaggi più controversi e complicati della storia operistica mondiale e il regista ha saputo eguagliare con innovative tecniche stilistiche sia l’uomo che l’opera. Il primo atto dell’opera si apre con un Don Giovanni in giacca e cravatta che spostando il sipario mostra il riflesso di una Scala gremita di persone esterrefatte. Il regista ha deciso di modernizzare l’opera ambientandola nei tempi più recenti e vicini a noi, aggiungendo però, durante il secondo atto, nella festa in maschera che Don Giovanni organizza, un tocco di puro settecento caratterizzato dalle comparse in vestiti d’epoca.
18486421_10154762816348165_1214072644873456800_nUna recitazione quasi impeccabile ha reso i protagonisti quali Thomas Hampson, Luca Pisaroni, Bernard Richter, Annett Fritsch, Hanne Elisabeth Müller, Giulia Semenzato e Mattia Olivieri, veri interpreti a tutti gli effetti di questo dramma mozartiano.
Una particolare attenzione si pone sulla scelta registica di far interagire i cantanti con il pubblico scaligero, infatti in ben tre occasioni il pubblico diventa parte integrante della narrazione: durante l’intervento del commendatore (Tomasz Konieczny), nella scena del cimitero, che avviene dal palco reale del teatro e l’atmosfera che si crea in quei pochi minuti è intensa e lugubre, proprio come si conviene ad un giusto commendatore; nella scena finale, durante la cena di Don Giovanni, viene ripresa la scenografia iniziale e come da tradizione Thomas Hampson, nei panni del donnaiolo mozartiano, viene trasportato negli inferi da una pedana circondata da fumo e luci rosse soffuse. Tutto il pubblico è stato soddisfatto dell’operato del regista, che in più occasioni è riuscito a non deludere le aspettative.
18519890_10154756339763165_8920590767240261389_nTuttavia riteniamo, dopo aver visto per la seconda volta con piacere, questa produzione di Robert Carsen, che non è da ritenersi una delle sue creazioni più riuscite. Tanto il suo Falstaff quanto i suoi Contes d’Hoffmann sono dei capolavori, mentre questo Don Giovanni vien fuori, alla fin fine, critico: si capisce benissimo che dietro c’è un regista intelligente ma soprattutto brillante, con la voglia quasi capricciosa di rigirare le opere da visuali inaspettate, come cubi di Rubik . Ci sembra che la produzione in questione ecceda troppo in virtuosismo registico, col diventare poi disturbante nei confronti della componente musicale: luci in sala che si accendono continuamente, i cantanti costretti in pose non certo favorevoli all’emissione (sdraiati, dal fondo della scena dove non li sente nessuno), battimani, versi, pannelli che scorrono ruotano scompaiono durante l’esecuzione (con sbalzi e fragori annessi, naturalmente), gente che compare da tutti gli angoli della platea e dei palchi. E’ una prova affascinante nonché una lettura complessa (è scontato dire che c’è dentro Kierkegaard, la vita come rappresentazione e le implicazioni della reiterazione ossessiva dell’opera d’arte e dello spettacolo, che porta a una routine annichilente e stordente), ma che spesso sembra porre in secondo piano la musica.
18425172_10154747089788165_7724677595904855447_nUna sorpresa più che apprezzata è stato il direttore d’orchestra estone Paavo Järvi, che attualmente è il direttore musicale dell’Orchestre de Paris. Il maestro, con la sua impeccabile bacchetta, ha saputo regalare un ritmo incalzante all’Overture e a tutta l’opera. Don Giovanni è un’opera difficile sia vocalmente che musicalmente parlando e Jarvi ha diretto con tempi serrati e larghi ogni scena, a seconda dell’argomento trattato.
Una grande standig ovation a questo grande direttore, che non ci deluderà nel corso della sua carriera, sono certa lunga e piena di successi.
18301435_10154732771138165_1434789754518319445_nIn molti in sala aspettavano il debutto scenico meneghino di Thomas Hampson, un battesimo tardivo ma tutt’altro che mancato. Certo, non si deve nascondere che le qualità vocali appaiono piuttosto stemperate da una carriera ormai compiuta, e anche con grande riscontro. Tuttavia, non guasta questo Don Giovanni nella sua estate di San Martino, dal timbro sempre dolce, mielato e garbato (un po’ meno nella dizione, ma è male piuttosto comune), e una potenza conservata in modo sorprendente. Inoltre, Hampson dimostra una capacità scenica da autentico showman, è abile a gestire il palcoscenico non di certo semplice di Carsen con una allegria, un potere di coinvolgimento notevole.
Luca Pisaroni gli ha tenuto degnamente testa, con il timbro deciso e scuro che lo contraddistingue ma suoni mai ingolati, e una eccellente dote di condurre la linea del canto. Di grande effetto l’aria, dove ha dato prova di saper unire canto e recitazione “in prosa”.
AnettFrischNon convince molto Hanna Elisabeth Müller nel ruolo di Donna Anna. Possiede una vocalità discreta, tutto sommato piena, ma pare che il personaggio non sia adeguato-almeno per il momento-al suo peso vocale. Fatica nell’aria del primo atto, specie negli incisi lunghi che sono stati una prova ardua anche nel pezzo solistico successivo.
Meglio Donna Elvira, Annett Fritsch, che ha sfoggiato un colore denso, pastoso e ben robusto negli acuti, oltre a una pronuncia da sottolineare per accuratezza.
Il migliore della compagnia è senza dubbio Bernard Richter, Don Ottavio dal timbro argenteo, ricorda forse Gösta Winbergh a  chi non ha potuto, per ragioni anagrafiche, sentirlo dal vivo. Voce sempre sostenuta, mai falsettata e omogeneità pressoché perfetta fra i registri. Finalmente questo ruolo in genere bistrattato ha ricevuto  una prova di buon canto, rifinito, che il teatro ha salutato con calorosi applausi e cenni di assenso dopo l’aria del secondo atto.
Mattia Olivieri e Giulia Semenzato sono apparsi dei gradevoli Masetto e Zerlina, lei in particolare ha una voce morbida e dall’emissione avvolgente.
Cornelia Marafante e Stefano de Ceglia
Milano, 9 maggio 2017

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