
Riccardo Frizza è una delle bacchette italiane più note nel mondo. Bresciano di nascita e milanese per formazione (avvenuta al Conservatorio “G. Verdi” di Milano, ha saputo ritagliarsi un suo ampio spazio, come eccellente concertatore sia del repertorio sinfonico, che del repertorio operistico, con l’autorevolezza e l’intelligenza dei grandi. Recentemente ha trionfato al Teatro alla Fenice con “Lucia di Lammermoor” e a Budapest con “I Puritani”. Proprio alla Fenice ritornerà stasera (5 giugno 2017) per un concerto con l’Orchestra Filarmonica della Fenice e Benedetto Lupo al pianoforte. Abbiamo avuto il piacere di poterlo intervistare a pochi giorni da questo evento, per parlare del suo percorso, e anche dei traguardi futuri e desideri ancora non realizzati….
Io ho studiato pianoforte al conservatorio, conoscevo bene il repertorio pianistico, la musica che suonavo. Tuttavia durante la mia adolescenza devo ammettere che non conoscevo lo strumento “orchestra”. Mentre ero in vacanza con i miei genitori, quando avevo 13-14 anni, a Vienna, ho sentito per la prima volta un’orchestra dal vivo. Da quel momento ho deciso che avrei fatto il direttore d’orchestra. Dunque ho proseguito i miei studi, frequentando i corsi di composizione al Conservatorio di Milano. Con l’orchestra ho scoperto uno strumento dalle mille possibilità, con il quale non avevo familiarità.

Direzione d’orchestra: una scelta o una vocazione?
Probabilmente è una vocazione. La musica ha accompagnato tutta la mia vita: ho cominciato a suonare il pianoforte a cinque anni. L’orchestra è comparsa nel momento giusto, forse se fosse comparsa più tardi nella mia vita non sarebbe stata la stessa cosa. Oggi molti strumentisti considerano la direzione d’orchestra un piano alternativo. Per me non è stato mai così, e quando è cominciato il mio percorso con l’orchestra mi sentivo molto stimolato. Ho iniziato a quindici anni a fare le mie prime trascrizioni e arrangiamenti di preludi organistici per orchestra.
Anche questa è una questione molto interessante. Quando ho iniziato mi sono dedicato essenzialmente al repertorio sinfonico. L’opera non la conoscevo e non la consideravo e l’ho approcciata molto tardi. Nella mia gioventù (17-18 anni) ho visto qualche opera, tra cui ricordo “I Puritani” con l’insegnante di Storia della Musica del Conservatorio. In quel momento l’ho odiata. Questo perchè non sempre se sei uno studente del conservatorio capisci quella forma artistica e quello stile. Si cerca di fartelo accettare, ma spesso si arriva ad odiarlo. Il mio amore per l’opera è nato molto dopo, quando ho cominciato a fare i miei primi concerti con i cantanti e con arie d’opera. In quel momento ho approcciato il teatro e mi sono innamorato.
Non so spiegare perchè io sia associato soprattutto a questi autori. Ho diretto un variegato repertorio operistico: Tosca al MET, quasi tutto il repertorio verdiano, tranne praticamente “Alzira”. Non sono specializzato nel belcanto, ma è un repertorio che frequento molto. Mi interessano questi titoli, perchè molto spesso si fanno poco, e male. Quello cerco di fare è capire questo linguaggio….

Non sempre i nomi blasonati del podio si avvicinano a queste opere….per l’idea che il punto centrale siano le voci, più che l’orchestra…
Nel concetto moderno il ruolo del direttore è quello di dirigere l’orchestra. Tuttavia nell’opera italiana il direttore dovrebbe avere il ruolo di concertatore. Una parte di responsabilità di questo errore lo ha anche la critica musicale, che affida al direttore poche righe, in cui si parla di come fa suonare l’orchestra. Non è solo questo. Il direttore è il sostegno di tutto lo spettacolo, sostiene i cantanti. Non si pensa che per esempio un cantante che debutta un ruolo viene aiutato tantissimo dal direttore che ha davanti, che ha la responsabilità di guidarlo, grazie ad una quantità di informazioni musicali che mette a disposizione di tutti coloro che partecipano allo spettacolo. Nel repertorio del belcanto non si può capire del tutto il lavoro del direttore vedendo una sola recita: si dovrebbe assistere alle prove, per capire il percorso di creazione.
Il mio approccio con la parte scenica si sviluppa in due modi: se c’è un regista con il quale è facile collaborare per unità di intenti e di idee, lavoro insieme a lui sui due binari paralleli dello spettacolo; Se vedo che la visione del regista è lontana dal mio approccio musicale, mi concentro sulla partitura e evito discussioni inutili. Logicamente se lo spettacolo va contro la musica e lo spirito dell’opera, mi impunto. Finora non mi è mai successo di affrontare questioni difficili che sono degenerate.

La questione dei tagli di una partitura è abbastanza spinosa. Non si taglia della musica per noia, ma per questioni tecniche, amministrative, burocratiche e anche musicali delle volte. Magari non si ha il cantante che riesce ad affrontare il ruolo interamente. Quindi il ruolo del direttore musicale deve tenere in considerazione che il cast che ha davanti deve sostenere l’opera per sei o più recite in pochi giorni. Sarebbe sempre bellissimo eseguire la partitura integralmente, ma non si può, perchè bisogna tenere in considerazione tanti fattori. In molti teatri dipende anche dalla durata (oltre le tre ore), che porterebbe i lavoratori a fare degli straordinari e quindi ad un costo più elevato per il teatro. La questione musicale è importante, ma nei teatri (soprattutto italiani) è importante anche la questione della gestione dei finanziamenti.
Se guardassimo a tutti i titoli del belcanto, tutti sarebbero da analizzare sotto la luce della psicoanalisi. Penso che Lucia contenga moltissimi elementi del romanticismo. Tutti i titoli del melodramma hanno giustamente dei risvolti psicologici, perché non avrebbero senso teatralmente, se non lo avessero. Ultimamente ho diretto “I Puritani” e la grande differenza con Lucia sta proprio nell’anima dei compositori. La musica di Donizetti è più cruda, più franca e più diretta, rispetto al personaggio. Anche Elvira diventa pazza, ma la musica è più aleatoria ed è più distante emotivamente dal pubblico.

Un altro titolo che lei frequenta spessissimo è “Norma”…..un’altra opera che viaggia sulla dualità della protagonista….neoclassicismo e romanticismo…
L’azione che si svolge nell’epoca romana, la presenza di guerrieri come Pollione, influenza sicuramente la musica, diversamente da quanto accadeva allo stesso Bellini con “I Puritani”, dove l’ambientazione in epoca tudor aveva un ruolo di contorno nella drammaturgia musicale. Norma essendo una sacerdotessa ha questo aspetto mistico che si esalta in “Casta Diva”, per poi anche lei avere un lato materno e un lato bellico. Per questo Norma è così diversa da tutti gli altri titoli belliniani.
Tantissimi. Probabilmente dal punto di vista interpretativo quello che mi ha influenzato di più è stato Riccardo Muti, perchè nel periodo in cui io studiavo al Conservatorio di Milano lui era direttore musicale alla Scala. Mi ricordo il suo Verdi, Nabucco, e quell’imprinting che lui ha dato ad un certo repertorio. Ha tracciato una delimitazione da cui non ci si può discostare: nel taglio interpretativo, stilistico e proprio nella visione di alcuni titoli. Questo ha marcato sicuramente la mia crescita musicale. Dal punto di vista sinfonico ho tantissimi modelli e idoli. Da piccolo adoravo Bernstein, poi ho scoperto Abbado, Kleiber……Ne ammiro tantissimi. Ovviamente dopo bisogna trovare una propria cifra distintiva musicale e quindi li guardo con ammirazione, sapendo di dover trovare un mio percorso personale.
Ultimamente ho fatto “I Puritani” a Budapest con una bellissima orchestra, la Pannon Philarmonic Orchestra, di qualità notevole. L’unica cosa che mancava era la potenza del suono. Viaggiando con il primo violino, una signora, mi diceva che il motivo è perchè sono troppe donne. L’orchestra infatti nella sezione degli archi (50 elementi) ben quaranta erano donne. Lei diceva che manca la forza. Nella nostra concezione femminilità, associamo la donna alla delicatezza, alla raffinatezza e alla dolcezza, contrapponendola alla forza. Così non è, ma questa nostra convinzione non ha portato all’affermarsi di donne in questo campo.

Quest’estate ritornerà al Macerata Opera Festival con “Aida” e negli anni passati ha anche diretto “Rigoletto” e “Nabucco” all’Arena di Verona……Qual è la difficoltà di fare musica e teatro negli spazi aperti?
L’opera è già di per sè un grande compromesso e in questi spazi lo è ancora di più. In un’opera come “Nabucco” dove hai tantissime persone sul palcoscenico e tantissimi cambi scena, mantenere il filo della drammaturgia diventa difficile: l’azione si ferma e non c’è quella velocità che è possibile in un teatro. Questi sono gli aspetti di difficoltà. Ma bisogna pensare anche allo spettacolo dell’Arena, di notte, nella magia di questo luogo. Solo l’atmosfera ti ricompensa.
Vorrei dirigere “Lohengrin” o “Die Walküre”. Una volta erano tantissimi i direttori italiani che dirigevano Wagner e lui stesso li amava. Oggi i direttori stranieri dirigono tutto, se sei italiano sei destinato a fare solo il repertorio italiano. Possiamo fare anche dell’altro come tutti gli altri. La musica non ha mai avuto, e non deve avere confini. In Italia c’è come un blocco per quello che viene da fuori. Probabilmente è un limite anche dei nostri manager musicali. Oggi l’unico italiano che dirige a Bayreuth è Daniele Gatti, ma è un caso isolato, un’eccezione alla regola che vige oggi.

Come avvicinerebbe le giovani generazioni, soprattutto italiane, alla “musica d’arte”?
Bisogna fare un distinguo tra l’opera e la musica sinfonica/strumentale. Se vogliamo avvicinare i giovani al melodramma, non si deve puntare alla musica, quanto ad interessarli al teatro in generale. Se si trasmette loro l’amore per il teatro, quello per l’opera diventa consequenziale. Dopo li si avvierà all’amore per la voce, e alla straordinarietà di questo strumento umano. Tutto questo deve avere come punto di partenza la scuola e un insegnante di lettere che appassioni i ragazzi al teatro. Io ricordo sempre la mia insegnante della scuola superiore, che mi ha fatto innamorare della letteratura. Da quel mondo mi sono approcciato al teatro.
I teatri dovrebbero spiegare ai ragazzi che cos’è il teatro. Portare i ragazzi a visitare semplicemente un teatro è solo una gioia per loro nel perdere delle ore di scuola. Bisogna creare l’interesse. Dovrebbero mostrare loro come funziona un teatro, la macchina scenica, far calpestare loro il palcoscenico, stando vicino ai cantanti o agli attori. Oggi molto spesso quando i giovani vanno a teatro a vedere uno spettacolo, non si rendono conto di ciò che stanno vedendo, che magari è inerente a quello che stanno studiando.

Bisogna presentare il teatro come un gioco, dando loro lo stimolo per innamorarsi del teatro, e quindi di riflesso innamorarsi della letteratura, e viceversa.
L’impegno più vicino è il concerto che farò al Teatro La Fenice di Venezia con l’Orchestra Filarmonica della Fenice e Benedetto Lupo al pianoforte (stasera, 5 giugno 2017). Poi Macerata per “Aida” e al Festival Verdi a Parma, con “Falstaff”. Poi l’anno prossimo ritornerò al Teatro alla Scala con “Il Pirata” di Vincenzo Bellini.