Verdi alla fine vince tutto, sempre, anche il caldo soffocante che opprimeva gli spettatori (invero non numerosi) giunti per la quarta replica di “Aida” all’Arena di Verona. Menomale che c’era il vento del deserto creato dalla Fura dels Baus e il venticello, stavolta reale, arrivato quando Amneris imprecava furiosamente contro i sacerdoti. Lo spettacolo della Fura ha dei pregi, ma anche molti difetti. Sicuramente il finale del primo atto con la grande processione di sfere luminose (in numero minore rispetto alla prima edizione del 2013) è molto suggestiva, così come il III e il IV atto, coccodrilli a parte. Uno dei problemi di Aida sono sicuramente i ballabili e qui la squadra catalana ci convince parzialmente con la danza dei Moretti del secondo atto, in cui attraverso un divertente gioco di “ombre cinesi” si mette in scena una favola per intrattenere i bimbi del seguito di Amneris, mentre parecchio brutti sono i movimenti coreografici per i ballabili del trionfo. Il grande difetto di questo spettacolo risiede però nei troppi rumori che disturbano la resa musicale, durante “Ritorna Vincitor” e durante il secondo atto.

Si dice spesso che Franco Zeffirelli soffra di “horror vacui”. Bene. Pensiamo che la Fura lo superi, perché non abbiamo mai visto un III atto così pieno di cose da osservare, che non ci fanno concentrare sul centro gravitazionale, che è la vicenda drammaturgica, soprattutto in quell’atto del Nilo tanto intimo, in cui le vere protagoniste sono la nostalgia e la solitudine.
Sul versante musicale ritroviamo Julian Kovatchev sul podio e come per la sua lettura di Rigoletto dobbiamo annotare una certa lentezza dei tempi e monotonia nei colori. Non perde quasi mai di vista i cantanti, ma una maggior concitazione drammatica sarebbe desiderabile. Più che altro perché cercando di sostenere i cantanti con un tempo lento, molto spesso si creano invece per loro maggiori difficoltà.
Nei ruoli del messaggero e della sacerdotessa il veterano Antonello Ceron e la brava Marina Ogii. Il Re e Ramfis avevano le imponenti voci del vigoroso Deyan Vatchkov e del sempre eccellente Giorgio Giuseppini.
Boris Statsenko convince grazie a un volume vocale importante, più votato ad esaltare il lato guerresco del personaggio, che non quello spiccatamente nobile, ben presente.
Anastasia Boldyreva è una Amneris abbastanza solida dal punto di vista vocale e interpretativo. Dovrebbe saper prendere più confidenza con il contesto dell’Arena, in cui bisogna saper giocare sull’attenzione del pubblico con una autorità artistica più marcata.

Yusif Eyvazov è un Radames di grandissimo rilievo, grazie a un timbro assolutamente riconoscibile e a una musicalità eccellente. È un condottiero poetico, che più che con un canto stentoreo, ci convince con fraseggi morbidi e sfumature a tutte le altezze. Già quando attacca “Celeste Aida” senza esitazioni e con quella linearità ci aveva tutti dalla sua parte, e poi il finale, con il recitativo della Fatal Pietra, finalmente restituito con tutti i suoi colori ci ha conquistato definitivamente. Manca forse il tratto più eroico del personaggio verdiano, ma questa è forse una scelta interpretativa che rispettiamo, poiché il risultato è eccellente. L’attore è disinvolto e va di pari passo con il cantante, nel creare un Radames innamorato teneramente.

Sae-Kyung Rim è una Aida di grandissime qualità. Innanzitutto spicca la voce: grandissima come volume, squillante e a fuoco in tutti i registri, da quello grave a quello acuto spavaldissimo; poi è meravigliosa la qualità della voce, da vero soprano lirico-spinto, in grado di disegnare frasi brucianti e drammatiche e di dominare il concertato del II atto. La cosa più bella sono i mille colori che ritroviamo in questa voce, che sa sfumare a dovere. In questo frangente “O patria mia” è stato un momento apicale di questa performance, con un do acuto filato magnificamente. Il personaggio è freschissimo, giovane. Una Aida da tenere bene a mente.
Francesco Lodola
Verona, 9 luglio 2017
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona