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©Cory Weaver/Metropolitan Opera

Alessandro Corbelli non ha bisogno di presentazioni: è un artista le cui capacità sono riconosciute a livello internazionale. Celebre per i suoi ruoli comici e brillanti mozartiani e rossiniani, ha portato sui palcoscenici di tutto il mondo la grande scuola di canto italiana. Molti dei personaggi affrontati sono rimasti legati alla sua interpretazione di vero signore della scena, diventando un pezzo della storia del canto e della musica. Abbiamo avuto il grande onore e piacere di intervistarlo in occasione della sua partecipazione in “Madama Butterfly” all’Arena di Verona, nel ruolo di Sharpless.  

 

57a9f1930947cCom’è scattata la scintilla d’amore con l’opera lirica e il canto?
Direi grazie a mio padre, che era un grande appassionato di lirica e anche di musica sinfonica e strumentale. In casa mia si è ascoltata sempre molta musica. Mio padre era un affezionato del loggione del Teatro Regio di Torino, prima dell’incendio, e mi raccontava di tutti questi cantanti, che poi ho avuto il piacere di ascoltare in disco: Carlo Galeffi, Giuseppe De Luca, Tito Schipa, Giacomo Lauri-Volpi, Aureliano Pertile e Toti dal Monte. Mi sono appassionato e già verso gli undici anni cominciai ad imitare i cantanti lirici. Successivamente scopersi la mia voce ed ebbi la fortuna di incontrare Giuseppe Valdengo, il quale abitava vicino allo studio di mio padre, che era un pittore. Valdengo mi prese sotto la sua custodia e guida per undici anni. Per varie ragioni dovetti cambiare insegnante e mi rivolsi al maestro trevigiano Claude Thiolas, francese naturalizzato italiano, che da quarant’anni e oltre è il mio maestro e mi ha dato la svolta tecnica e vocale.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Qual è il ricordo che ha più nel cuore di Valdengo e l’insegnamento che tuttora si rammenta?
Valdengo curava in particolare il lato più artistico ed espressivo. Ciò che teneva a sottolineare era il legato e la pronuncia. Questi sono i ricordi che ho di lui, oltre al fatto che per me è diventato un punto di riferimento e parte della mia famiglia.
Sharpless in “Madama Butterfly”, che affronterà all’Arena di Verona nelle recite dell’8 e del 13 luglio, è un ruolo diverso dal suo repertorio abituale….
Diciamo che mi sono specializzato nel repertorio comico e brillante, ma in realtà anche Sharpless offre delle grandi possibilità di recitazione e di canto. Non ha un’aria, ma questo non è importante. E’ “parente” di Michonnet della “Adriana Lecouvreur” e di De Siriex di “Fedora”. E’ un personaggio molto umano, che ha un compito assai ingrato da compiere. E’ spaesato perché si trova in una situazione di grande imbarazzo. Le indicazioni di Puccini indicano che deve commuoversi (“commuovendosi sempre di più” è scritto in partitura) e deve quindi commuovere il pubblico. Giuseppe De Luca (primo Sharpless a Milano, nel 1904), aveva sempre l’applauso dopo il duetto con Butterfly nel secondo atto.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Come si fa a trovare l’equilibrio musicale e stilistico in un repertorio vasto come il suo?
Per cantare c’è solo una via e la voce va trattata in un solo modo. Sono parole forse vuote, ma l’importante è “cantare sul fiato”. Era questo quello che insegnava la scuola italiana, la quale devo dire si è persa nel corso degli anni. Ogni tanto però qualche luce ancora appare e ancora oggi ci sono dei bravi cantanti. Però non c’è più quella linea e quella uniformità, che si trovava in quei cantanti prima della seconda guerra mondiale. Il mio collega Michele Pertusi dice sempre: “ sembrava che avessero studiato tutti con lo stesso maestro”. E ha ragione, perché quella era la scuola italiana. Ogni voce aveva certamente le sue peculiarità, ma non si sentiva sforzo alcuno, neanche nella salita all’acuto. E’ uno studio capillare, che dura tutta la vita, e che si deve concentrare sul deflusso dell’aria e sulla pronuncia su di esso, che deve essere continuo. Su questo si può modellare anche il sillabato veloce. Ma ci deve essere assolutamente questa base, perché le corde vocali funzionano solo in una maniera, ossia sollecitate dalla colonna aerea.

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©Cory Weaver/Metropolitan Opera

Rossini può essere considerato una scuola per il canto e una base stilistica da cui partire nella sua esperienza?
Rossini va considerato come un punto di arrivo. Mi dispiace andare controcorrente rispetto a coloro che dicono che con Mozart e Rossini si impara a cantare: forse per i soprani e i tenori la questione è diversa, ma i baritoni quando si accostano a questi autori devono già saper cantare. Il mio modo di studiare il sillabato è quello di studiarlo lentamente. Qualunque strumentista, davanti ad un passo veloce, lo studia lentamente e poi gradualmente aumenta la velocità. Così otterrà un buon risultato. Così avviene nel canto quando si usa l’espressione del “mettere in gola”.
C’è un ruolo serio che le piacerebbe affrontare, ma che nessuno finora le ha proposto?
Ho pensato spesso a Wolfram del “Tannhäuser” di Wagner, il ruolo forse più cantabile per baritono wagneriano, di cui ho cantato spesso in concerto la celebre aria (“O du mein holder Abendstern”). Un altro ruolo è Guglielmo Tell.

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©Marty Sohl/Metropolitan Opera

Ruoli verdiani….
Di Verdi ho fatto qualcosa come Ford e Falstaff in “Falstaff”, il Cavalier Belfiore in “Un giorno di regno”, anche qui a Verona, e Giorgio Germont ne “La Traviata”. Prossimamente debutterò Fra Melitone ne “La Forza del destino” ad Amsterdam, un ruolo bellissimo e difficile, perché molto acuto. Mi piacerebbe riprendere Germont, perché l’ho fatto da giovanissimo, con la mia voce di allore, e oggi lo rifarei diversamente.
E Rigoletto….
Rigoletto per il momento lo canto per me, come esercizio. Non so se lo affronterò mai. La gente si aspetta qualcosa da Rigoletto che forse io non poteri dare. Potrei fare un gobbo alla maniera di De Luca, o “alla Muti”, ossia come lo scrive Verdi, senza le puntature di tradizione. Ma quello che mi preoccupa è la tenuta per tutta l’opera. Invece Iago in “Otello” è un ruolo che mi affascina. Non so chi penserebbe a me per Iago, ma avendo fatto Falstaff, e pensando ai baritoni che hanno interpretato tutti e due i ruoli, da Victor Maurel, (primo interprete di Iago e Falstaff), Mariano Stabile a Giuseppe Valdengo, lo sento più vicino a me. L’idea di affidarmelo la ebbe il dottor Maier del Teatro Regio di Torino, che purtroppo si spostò a Napoli, e quindi il progetto non si realizzò.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Da cittadino veronese, ormai da molti anni, qual è l’emozione di cantare nella cornice dell’Arena, dopo ventitré anni dal debutto, nel 1994, con “La Bohème”?
E’ suggestivo ed emozionante per la grandezza di questo posto. E’ tutto molto bello. C’è un’acustica eccezionale, con un “ritorno” della voce ideale. Si canta nella stessa maniera in cui si canta in un teatro al chiuso. Non si deve sforzare nulla. Cambiano soltanto le dimensioni. A dispetto di coloro che sostenevano (tra cui Toscanini, artista per cui nutro una ammirazione sconfinata) e sostengono (forse in alcuni casi anche con cognizione di causa) che all’aperto si gioca solo a bocce, devo dire che è affascinante. Se l’acustica è come quella dell’Arena non c’è alcun problema nel cantare all’aperto.
Il ruolo che forse ha frequentato maggiormente negli ultimi anni è Michonnet in “Adriana Lecouvreur”…….un personaggio ricco di emozioni…
E’ un ruolo bellissimo. E’ patetico, ma è pieno di autoironia. Conosce la sua situazione e si sa rassegnare. E’ scritto benissimo e ne ho già cantati molti in diverse produzioni, tra le quali quella londinese, con lo spettacolo fantastico di David McVicar, di cui esiste il DVD.

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©Catherine Ashmore/ROH

Prossimi impegni…
Subito dopo le due recite all’Arena di Verona debutterò Melitone ad Amsterdam e lo riprenderò poi nel 2019 al Covent Garden di Londra. Fino alla fine del 2017 sarò Don Geronio ne “Il Turco in Italia” a Monaco, poi “Don Pasquale” a Vienna, Dulcamara ne “L’Elisir d’amore” a Oviedo. Nel 2018 sarò Don Alfonso in “Così fan tutte” a Chicago e Taddeo ne “L’italiana in Algeri” con Cecilia Bartoli a Salisburgo.

In bocca al lupo a Alessandro Corbelli e Grazie per la disponibilità!

Francesco Lodola e Stefano de Ceglia

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