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©Rocco Casaluci

Una buona Traviata, ricca di giovani interpreti, convince il pubblico del Comunale di Bologna, nell’ultima produzione prima della pausa estiva.
La Traviata: probabilmente il più celebre tra i tanti titoli musicati dal Maestro Verdi e ai primi posti in assoluto nel panorama dell’intera Storia del Melodramma. Un’opera unica per il fascino che le tristi vicende di Violetta hanno saputo nei secoli esercitare tra il pubblico e per le sue melodie, così popolari nel mondo intero.
Tanto si è detto e scritto delle sicurezze, delle insidie, delle opportunità che si hanno quando si sceglie di mettere in scena l’amore, la malattia e la morte dell’eroina verdiana più cantata, discussa, raccontata che ci sia (una statistica a cura di operabase.com ci parla di 2,29 Violette morte ogni giorno nel globo negli ultimi 5 anni!) e chi vi scrive preferirà non farlo, raccontandovi invece della versione estiva proposta nel teatro emiliano.

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E’ una Traviata caratterizzata da un cast che mescola una nutrita presenza di giovani cantanti formatisi presso la Scuola dell’Opera del Teatro Comunale di Bologna con altri già avviati da più o meno tempo alla carriera. Un mix che nell’insieme pare funzionare senza eccessive disparità.
Da una prima generica valutazione si può affermare che lo spettacolo non abbia funzionato troppo bene nel primo atto, avviandosi poi ad un crescendo in quelli successivi, sotto quasi tutti i punti di vista.
E’ noto come il difficile ruolo della protagonista richieda, nelle tre parti che compongono l’Opera, molteplici e poliedriche qualità vocali, aspetto che porta talvolta a parlare per assurdo della necessità di tre soprani differenti, uno per ogni atto. La progressiva mutazione delle condizioni del personaggio si riflette infatti con grande evidenza anche nel canto e nella musica, in un’inesorabile acuirsi dei toni drammatici a discapito di quelli leggeri e frivoli dell’atmosfera festosa iniziale.

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Marta Torbidoni, della Scuola dell’Opera, risulta certamente più adatta alla “seconda Violetta”, quella dalle tinte liriche e drammatiche. Dopo un primo atto piuttosto rigido sia dal punto vocale (emissione non sempre pulitissima e durezze in acuto e nelle agilità) che da quello recitativo, la giovane pare trovarsi maggiormente a suo agio nel duetto con Germont e nelle successive scene fino al tragico epilogo, preceduto da un Addio del Passato molto ben cantato.
Marco Ciaponi, Alfredo, si conferma un tenore dalla voce bella, chiara libera e adamantina. I mezzi sono dunque perfetti, la tecnica c’è tutta, la dizione è di rara chiarezza e anche l’interpretazione scenica è complessivamente buona. Una maggiore esperienza nel tempo saprà certamente donare una padronanza del fraseggio e del solfeggio in alcuni passaggi tale da renderlo un interprete del tutto completo.
Maurizio Leoni nel ruolo dell’“anziano” padre Giorgio Germont (e dell’intero gruppo di interpreti è anche l’unico di ormai lunga esperienza) possiede indubbia sicurezza e padronanza della parte ma non brilla di freschezza nel timbro, non adattissimo a questo genere di ruoli e caratterizzato da un vibrato abbastanza fastidioso all’orecchio.
Aloisa Aisemberg ed Erika Tanaka anch’esse della Scuola dell’Opera, si disimpegnano con buoni mezzi e solidità vocale e interpretativa rispettivamente come Flora e come Annina.

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Positiva la resa del personaggio di Gastone da parte di Giovanni Maria Palmia (Scuola dell’Opera) e quella di Paolo Porfiri (barone Douphol). Corretti nel complesso anche Tommaso Caramia (marchese d’Obigny), Nicolò Donini (dottor Grenvil), Enrico Picinni Leopardi (Giuseppe), Raffaele Costantini (Domestico di Flora), Sandro Pucci (commissionario).
La direzione del M° Hirofumi Yoshida non è purtroppo delle migliori. Spicca l’incomprensibile e assai irritante scelta di tagliare in maniera aggressiva e senza molto senso diverse parti d’Opera come la cabaletta “Ah non udrai rimproveri” di Giorgio Germont che segue la celebre “Di Provenza” o l’intera seconda strofa in “Addio del Passato”, come tante altre. Per il resto non pare esservi un particolare approfondimento nello studio della partitura e nella resa di dinamiche e colori eccezion fatta per alcuni momenti di inusuale frastuono. Il rapporto buca-palcoscenico regge bene anche nei passaggi più delicati (si pensi ad alcuni momenti del coro, la cui prova è ottima sotto la guida del M° Faidutti) ma di tanto in tanto i tempi scelti non aiutano i cantanti.
La regia, già vista ma rivisitata di Alfonso Antoniozzi, si conferma complessivamente efficace nella sua idea originaria, specie nell’originale ma interessante interpretazione del terzo atto come un sogno di Violetta. L’ambientazione posticipata di circa un secolo non è tale da disturbare o stravolgere il senso dell’Opera. Le scene e i costumi risultano funzionali. Va però detto che spicca una tendenza, specie nel primo atto, da parte di molti degli interpreti a muoversi sulla scena in maniera rigida, statica, convenzionale. Brillantezza e naturalezza sembrano insomma mancare.
La sala, piuttosto piena nonostante si tratti dell’ultima recita e di un sabato di metà luglio, risponde con entusiasmo e applausi scroscianti per uno spettacolo che con i suoi pregi e i suoi limiti rappresenta in ogni caso un riuscito trampolino di lancio per diverse voci che con un adeguato percorso promettono senz’altro bene.

Bologna,15 luglio 2017

Grigorij Filippo Calcagno

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