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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

 

Era il 1969 quando un giovane tenore spagnolo debuttava in Italia, all’Arena di Verona, in uno dei titoli dell’opera italiana più amati, Turandot. Accanto al baldo Placido Domingo Gabriella Tucci nei panni della dolce Liù e la monumentale Turandot di Birgit Nilsson. Esattamente quarantotto anni dopo quel debutto sembra che il fanciullo dentro Domingo non voglia smettere di battere (e di far battere) il cuore per la musica. È come se gli anni per Re Placido non passassero mai e come per l’imperatore di quella Turandot del ’69, lo aspettino altri diecimila anni sul palcoscenico. La serata che Domingo ha voluto in Arena era dedicata alla Zarzuela, un genere a cui l’artista è giustamente legato, per motivi patriottici e per motivi musicali, poiché è sicuramente un repertorio dove il buon Placido può mettere in mostra tutte le sue migliori qualità, anche oggi che la voce non è per ovvie ragioni quella di ieri. Siamo stufi di sentire dire che la voce di Domingo è ballante. È una stupidaggine. La voce c’è, con il suo timbro bello di sempre, con l’arte del fraseggio e la sapienza nel creare la magia. Che faccia il tenore, il baritono, il direttore, o qualsiasi cosa voglia fare, Domingo lo fa da fuoriclasse e anche se non vuoi cadi nella sua trappola. Peggio di una sirena. E il pubblico che riempiva totalmente l’Arena lo osannava come poche volte ho sentito in vita mia. E lui ritorna più volte dal suo pubblico e proponeva altri brani, per poi congedarsi con “Amor, vida de mi vida” da “Maravilla” di Federico Moreno Torroba, che ci ha lasciati con le lacrime agli occhi.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Accanto a lui un contorno dello stesso livello, Ana María Martínez e Arturo Chacón-Cruz. Il soprano, che aveva partecipato in Arena ad un altro Gala dominghiano (Operalia 2013), sciorina tutte le sue arie con eleganza e grande fluidità vocale. Un’interpretazione davvero ragguardevole, che ci fa sperare di poter sentire presto la cantante in un’opera completa in Italia, dove non le sono state date praticamente possibilità.

Il tenore invece convince per lo squillo in acuto, il timbro latino affascinante e il canto generoso e denso di passione, oltre che per la qualità dell’interprete, spavaldo e pieno di giovanile ardore. Scenicamente è bravissimo e abbigliato nei panni del Don Josè zeffirelliano (lo spettacolo era in forma semiscenica), ci fa pensare a quanto sarebbe convincente nella Carmen del prossimo anno.
Punta di diamante dell’evento la partecipazione della Compañía Antonio Gades, che con la direzione artistica di Stella Arauzo e le coreografie della stessa Arauzo e dello stesso Gades insieme a Mayte Chico, José Huertas e Carlos Saura. Un ventaglio di danze sulla musica della zarzuela e del flamenco tradizionale, che ha entusiasmato per l’energia e la bellezza quasi primordiale delle emozioni che vibrano in tutti i movimenti. Elettrizzante l’Entr’acte di “Carmen” con il seguente flamenco, in cui le donne mettono in atto una lotta aggressiva di enorme magnetismo visivo ed emozionale.
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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Bellissima la cornice ideata da Stefano Trespidi, che utilizzando la cornice della Plaza de Toros ideata da Zeffirelli, ha saputo creare situazioni sceniche diverse per ogni brano, contribuendo a dare spessore alla serata.

Non ci è possibile utilizzare altre parole, per descrivere una serata unica, che senza esagerazioni, entrerà a far parte della storia dell’Arena. Un successo straordinario, con quaranta minuti di bis e acclamazioni.
Unica pecca un’amplificazione troppo esagerata e fastidiosa in alcuni casi.
Francesco Lodola
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona
Verona, 21 luglio 2017

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