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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Carlos Álvarez è una delle stelle indiscusse della lirica mondiale, conteso dai teatri di tutto il mondo in tutti i più grandi ruoli del repertorio baritonale. Grandissimo artista, che unisce delle qualità vocali di grande livello ad una capacità interpretativa fuori dal comune. Nell’ultima stagione è stato protagonista della serata inaugurale del Teatro alla Scala, nel ruolo di Sharpless in “Madama Butterfly”. Quest’estate è tornato a vestire i panni di Rigoletto all’Arena di Verona, ruolo che nel 2003 aveva segnato il suo debutto nell’anfiteatro veronese. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo durante le prove, per poter parlare con lui del suo percorso e della sua visione della musica e dei ruoli…

Innanzitutto, quando si è accesa la scintilla con il canto lirico?
Ho incontrato il canto per caso, lungo il cammino. Quando avevo sette anni sono stato scelto per far parte del coro della scuola maschile che frequentavo. Mi divertivo tantissimo e anche quando la voce è cambiata nell’età dello sviluppo ho continuato a cantare il repertorio polifonico. Nella mia città, Malaga, c’è una grande tradizione folcloristica e della polifonia. Sono cresciuto immerso in tutto questo. IMG_6191RT_3000Quando avevo ventun anni venne creato a Malaga il coro dell’opera e mi venne data l’opportunità di farne parte. Ero parallelamente iscritto al conservatorio, ma non avrei mai pensato di diventare un cantante professionista. Ad un certo punto ho dovuto decidere tra il cantare e gli studi di medicina. Probabilmente ho fatto la scelta giusta per i miei pazienti (ride). Cantare è diventato la mia professione ed è un privilegio. Pochi possono dire di fare nella vita quello che più gli piace.

Qual è stata la prima opera vista a teatro? 
La mia prima opera a teatro non l’ho vista, ma l’ho vissuta in palcoscenico. A 11 anni ho fatto parte della cantoria in “Tosca” e mi ricordo di questo baritono, mio concittadino, che faceva Scarpia, con una cicatrice che tagliava il viso, per farlo sembrare ancora più cattivo. Mi divertii moltissimo e capii sin dall’inizio come fare un’opera, con il giusto divertimento. Facendo parte del coro hai poca responsabilità, quindi puoi godere di più della condivisione di quel momento e avere una grande e insostituibile gioia. Il mio debutto come professionista è avvenuto a Malaga, nel 1989, come Marchese d’Obigny ne “La Traviata”. Oggi non potrei fare nient’altro se non cantare e fare musica.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Il debutto a Madrid invece è stato sotto il segno della Zarzuela. Come racconteresti questo genere ad un pubblico, quello italiano, che non sempre lo conosce? 
La Zarzuela è un po’ come l’operetta italiana, in cui sono presenti molti dialoghi. La differenza tra l’opera e la Zarzuela sta tutta lì. Io credo sia più difficile fare questo genere, perché è necessario avere dei cantanti che siano anche attori. Bisogna essere credibili nel modo di recitare e quindi saper cambiare registro, dal cantato al parlato, con facilità. I baritoni trovano nella Zarzuela un repertorio eccezionale, perché i compositori hanno sempre impiegato come nodo centrale la vocalità baritonale. È un repertorio straordinario perché puoi trovare tantissimi tipi di Zarzuela, da quella regionalista, ai drammi, fino alle zarzuele comiche e buffe. È un repertorio che anche in Spagna non gode della considerazione che meriterebbe. Deve essere fatto bene come il resto. Non ho avuto tantissime possibilità di cantare zarzuela in palcoscenico, ma quando faccio dei recital o dei concerti, inserisco sempre qualche aria di questo meraviglioso genere.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Il ruolo che stai interpretando all’Arena di Verona è Rigoletto, il padre versiamo per eccellenza…qual è la tua visione di questo personaggio?  
Rigoletto non è secondo me “un buono”. Probabilmente è costretto a non essere buono a causa delle circostanze in cui vive: il suo problema fisico e la società terribile con chi rappresenta il “diverso”. Non c’è pietà per nessuno e Rigoletto sopravvive nel miglior modo possibile. Qualcuno lo ha amato una volta nella vita, gli ha dato una figlia e quindi una responsabilità. Questa è la cosa più grave è terribile, perché la responsabilità paterna non finisce mai. Nel profondo lui prova amore per questa figlia, la quale però appena compie uno sbaglio, viene redarguita. La sua vendetta gli si ritorce contro e a pagarne le spese è sua figlia stessa. La vita non può essere né buona né cattiva, dipende dalle circostanze. Rigoletto non è un uomo che ha saputo sfruttare il suo privilegio di stare alla corte del Duca e la sua cattiveria l’ha pagata a caro prezzo.

60-sir-john-falstaff-carlos-alvarez.jpgIl debutto importante di questa stagione è stato Falstaff al Teatro Carlo Felice di Genova….un personaggio diverso, ma che condivide con Rigoletto una certa malinconia..
Assolutamente sì. Soprattutto per quanto riguarda la mia interpretazione. Io non sono fisicamente Falstaff. Quindi nel mio debutto in questo ruolo, ho cercato di tirare fuori l’onestà di questo personaggio prima di tutto dallo spartito. La cosa più moderna che si può fare oggi, dopo quattro secoli di opera è essere onesti con quanto è scritto (ride). Tuttavia io non voglio mai essere Carlos in palcoscenico, dunque ho trovato il “mio” Falstaff. È un personaggio malinconico, che ha avuto l’amicizia dell’aristocrazia, ma è in pieno decadimento. Quel salto dalla “grandeur” della nobiltà alla povertà, lo porta a diventare un uomo fatuo, e tenta ogni strada per ottenere un po’ di bellezza nella sua vita e darla agli altri. Non sempre ci riesce, ma comunque ci prova. Non è un personaggio comico, perché il vero buffo dell’opera è Ford. È un grande capolavoro di un uomo, Verdi, che aveva più di ottant’anni. Credo che il Maestro insieme con Boito abbia fatto anche dell’ironia su questa cosa con un gioco di parole nella frase in cui Falstaff: “ho vissuto tant’anni”. Possiamo dire che Verdi ha scaricato tutto quello che voleva dire in quel personaggio e io mi ci sono trovato molto a mio agio.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Dopo aver affrontato tutti questi ruoli verdiani come ti poni la questione della “voce verdiana“? 
L’ispirazione più grande per un artista che canta Verdi è di arrivare al concetto ideale di “voce verdiana“. Ma cosa vuol dire questa espressione? Basta saper usare il legato o avere un timbro più o meno scuro? No, io non direi. Secondo me si è verdiani quando si riesce a capire tutto quello che Verdi ha messo nella partitura e a sentirsi comodi cantando quella musica. Io ho la possibilità di essere flessibile nel mio repertorio. Ho appena fatto al Liceu di Barcellona Don Giovanni e mi sono sentito a mio agio ancora in quel ruolo. Quello che cerco di fare è avvicinare il repertorio alle mie capacità.

Com’è però tornare a Mozart dopo altri repertori? 
Secondo me dev’essere un’esigenza: stare sempre al limite delle proprie possibilità ti pone la condizione di essere sempre preparato, in qualunque situazione. Non bisogna saltare da un repertorio all’altro. I primi tre mesi di questa stagione li ho dedicati a Verdi, poi mi sono dedicato a Mozart e ora ritorno a Verdi. Sono molto attento a quello che faccio, ma voglio sempre essere pieno di energia e non sempre stabile.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Qual è la sensazione di tornare in Arena con lo stesso titolo del debutto nel 2003?
È una grandissima gioia, soprattutto dopo quel periodo di incertezza nella mia carriera, quando ho avuto un problema alla corda vocale destra. I miei  dottori mi dissero che forse non avrei cantato più e questo è scioccante per una persona che ha già cantato per più di vent’anni. Questo cambia il tuo modo di pensare e di essere. Ritornare dopo 15 anni con quel Rigoletto è una grande emozione. Il 12 agosto compirò cinquantun anni e posso essere sicuro che il mio Rigoletto oggi è migliore rispetto a quello di quindici anni fa.

E l’emozione di cantare in questo luogo…
È sempre meraviglioso. Tre anni fa ho fatto Escamillo in “Carmen” e nel 2015 Don Giovanni, in quell’allestimento di Franco Zeffirelli in cui bisognava quasi fare lo slalom, talmente tanta gente c’era in scena. È sempre emozionante, anche per il mio modo in cui si fa opera all’Arena: non c’è sempre il tempo per provare molto e la sensazione di viva emozione che si prova è fatta per artisti che sono ben preparati. Cantare qui è un “plus” per tutti. Le mie esigenze di lavoro e il modo in cui mi avvicino ad esso non cambia. L’ambiente dell’Arena e il suo pubblico fanno sì che tutto sia più speciale e che ritornare faccia sempre piacere.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Prossimi impegni. 
Dopo questo Rigoletto, farò “Madama Butterfly” al Festival di Peralada in una nuova produzione. Il 9 agosto alla fine di questo impegno andrò in vacanza per tre settimane. Poi tornerò a Vienna per “Le nozze di Figaro”, in cui interpreterò il Conte, dopo aver fatto la scorsa stagione Figaro. Ritornerò poi a Barcellona per sostituire, purtroppo, un grande collega, Dmitri Hvorostovsky, nei panni di Renato in “Un ballo in maschera”. Sarò inoltre in Falstaff al Teatro Regio di Torino e in “Andrea Chénier” all’Opera di Oviedo. Chiuderò infine l’anno con Rigoletto a Genova. Sono felicissimo e non potrei chiedere di più.

Grazie a Carlos Álvarez per la disponibilità e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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