
L’Arena Opera Festival 2017 sta giungendo in questi giorni alle sue fasi conclusive e con Aida, Tosca e Nabucco si cominciano a tirare le fila di una stagione di ripresa e di rinascita, che ha coinvolto oltre all’Arena anche il territorio, che per tre mesi ha beneficiato di un flusso turistico notevole, che andrà ulteriormente incoraggiato nei prossimi anni, con una politica manageriale e culturale mirata e attenta. La grande regina veronese, Aida, si è ripresentata nella serata del 24 agosto con il sempre affascinante allestimento storico del 1913, curato da Gianfranco de Bosio. Questa Aida rimane sempre la più aderente sia all’opera verdiana, che alla struttura architettonica dell’Arena. Il pubblico ama questo allestimento e i tantissimi applausi a scena aperta (compreso quello ai magnifici cavalli del trionfo) ce lo confermano.

Julian Kovatchev è bacchetta diligente e propone una lettura abbastanza lineare. Il problema sono i tempi che risultano o molto lenti, o frenetici, con il rischio di perdere di vista l’equilibrio tra la buca e il palcoscenico.
Elena Borin era una ottima sacerdotessa, mentre il veterano Antonello Ceron affrontava con esperienza il ruolo del messaggero. Ugo Guagliardo (Il Re) e Deyan Vatchkov (Ramfis) erano ben inseriti nei rispettivi ruoli, soprattutto il secondo.
Carlos Almaguer è un Amonasro di enorme impatto vocale e interpretativo, capace di sciorinare un canto bronzeo, ma anche accenti più intimi nel duetto con Aida. La dizione è ancora una volta praticamente perfetta e il senso di ogni parola è accentato con bella sensibilità interpretativa.
Giovanna Casolla è grande nella sua Amneris, con un’intensità interpretativa enorme. Tanti momenti rimarranno impressi nella nostra memoria di questa interpretazione, dal duetto con Aida, alle frasi durante il concertato del trionfo (l’unica in grado di metterle in rilievo), fino alla scena del giudizio, impressionante per la carica emotiva.
Il ruolo di Radames pone molti problemi oggi: da una parte ci sono i sostenitori delle voci spinte, tutte cannonate vocali e corone interminabili, dall’altra le voci liriche, con mezzevoci e filati. La verità come sempre sta nel mezzo, ci vuole una voce che sappia coniugare l’eroismo al romanticismo, e per questo ci vuole una voce di tenore lirico spinto, dal canto virile, ma capace anche di intimi ripiegamenti. Non abbiamo trovati tutto ciò in Hovhannes Ayvazyan, per cui Radames è ruolo troppo al limite. Il tenore armeno avrebbe una voce di bel timbro, ma per ruoli come Nemorino in “L’Elisir d’amore” o Alfredo ne “La Traviata”. Radames lo costringe a forzare ed allargare nel registro centrale, con il risultato di un registro acuto problematico e senza la possibilità di sfumare.

Hui He è un’Aida da sogno, che si impone fin dalla prima frase e ribadisce di essere una delle migliori interpreti di questo ruolo oggi. Il colore vocale è talmente bello e pieno di calore che è in grado da solo di creare la magia. Oltre alla vocalità preziosa, si aggiunge una presenza scenica magica. Il soprano cinese sa benissimo che non serve dimenarsi sul palcoscenico, ma serve avere una “luce” speciale per essere Aida. Inoltre è una delle poche che non si dimentica che Aida è una principessa.
Il 25 agosto si chiudeva invece la serie di recite di “Tosca”, nella ormai celebre messinscena di Hugo de Ana. Il regista argentino costruisce perfettamente la spettacolarità nell’intimità della vicenda di Floria e Mario. Come abbiamo già detto in altre occasioni, molti dettagli della prima edizione (2006) risultano meno rifiniti o assenti, ma è cosa ovvia. Si tratta comunque di uno spettacolo che continua a piacere, e ad entusiasmare il pubblico, in particolare nello spettacolare “Te Deum”.

Antonino Fogliani dirigeva con grande eleganza e precisione, sostenendo adeguatamente i cantanti, utilizzando sonorità lussureggianti, che non coprivano quasi mai le voci. Benissimo suonava l’orchestra e ottimi gli interventi del coro dell’Arena di Verona, diretto da Vito Lombardi, e di voci bianche A.d’A.Mus diretto da Marco Tonini.
Non sempre convincente il cast vocale. Bene Emma Rodella (Un pastorello), Omar Kamata (Un carceriere), Marco Camastra (Sciarrone), Antonello Ceron (Spoletta). Efficace, anche se talvolta sopra le righe Nicolò Ceriani nei panni del sagrestano, mentre brillante la prova di Romano Dal Zovo (Cesare Angelotti).
Ainhoa Arteta ci convince nuovamente nel ruolo di Tosca, grazie all’affascinante recitazione e alla linea vocale elegante, in grado di sciorinare un canto drammatico e patetico di grande efficacia. Bellissimo “Vissi d’arte”, commosso e emozionante.

Boris Statsenko ci fa rimpiangere in qualche momento l’eleganza di Ambrogio Maestri. La voce è bella, di volume imponente, ma l’interprete si dimentica spesso che Scarpia era un Barone, quindi deve sedurre Tosca con una dialettica melliflua. Questo ritratto di impronta verista ci riporta ad uno stile un po’ sorpassato, che non corrisponde sempre al gusto odierno.
Il vero problema di questa serata risultava però Aleksandrs Antonenko, accorso in sostituzione del previsto Marcelo Alvarez. Speriamo vivamente che si sia trattata di una serata di cattiva forma per Antonenko, perché la linea vocale risultava forzata, con alcuni suoni spoggiati e note acute al limite del grido. Peccato, perché la voce è volumetricamente importante e il timbro avrebbe anche un certo qual fascino, pur essendo scurito artificiosamente.
Grande trionfo al termine di tutte e due le recite.
Francesco Lodola
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona
Verona, 24 e 25 agosto 2017