asdfbgh1.pngNell’affrontare l’interpretazione di Maria Callas della Leonora de “La Forza del destino”, dobbiamo aprire alcune questioni spinose. Prima di tutto si apre la questione della Callas in sede discografica. Maria Callas è una delle cantanti più prolifiche in studio, soprattutto per quanto riguarda le opere complete, pratica oggi sicuramente meno diffusa, grazie al DVD e al perfezionamento delle incisioni live, che hanno trasformato il modo di ascoltare e di vedere l’opera. Molti critici, penne e voci anche autorevoli, hanno spesso messo in discussione il valore delle registrazioni discografiche callassiane, soprattutto per la scelta dei titoli. Infatti alcuni ruoli che hanno segnato la parabola luminosissima della carriera di Maria Callas non sono mai arrivati in sede di incisione: parliamo della Vestale, Ifigenia in Tauride, Alceste o Anna Bolena.

fddLa Callas spesso inciso ruoli che non ha portato quasi mai in scena, realizzando interpretazioni paradigmatiche come quella di Bohème o Manon Lescaut. Si è discusso molto anche del rendimento stesso di Maria Callas in nello studio discografico, poiché molto spesso le registrazioni non hanno la stessa vibrazione dell’esecuzione dal vivo. Si è spesso imputato ciò al fatto che le registrazioni venissero fatte in periodi estivi, in un’atmosfera piuttosto vacanziera e spesso in location acusticamente non adatte, come la Basilica di S. Eufemia a Milano, o il Cinema Metropole. Tuttavia l’eroina della maturità verdiana non è tra i ruoli non interpretati in palcoscenico della Divina, infatti Maria Callas interpretò Leonora solo in due occasioni, a Trieste nel 1948 e a Ravenna nel 1954. La questione che si apre è il perché incidere questo ruolo di così poco rilievo per la carriera, anche seguente: la ragione va ricercata nelle logiche del marketing discografico, allora nascenti, oggi imperanti. vvxQual era la Leonora più attiva dell’epoca? Renata Tebaldi. Quindi è più che lecito pensare che Walter Legge (il produttore EMI) volesse accostare la Leonora della voce d’angelo e quella della voce demoniaca, accrescendo lo scontro tra le due cantanti. Uno scontro che non si placherà mai. Sicuramente la Tebaldi ha offerto un interpretazione completa, testimoniata da incisioni discografiche e live, e addirittura un video, del 1958, ormai storico. Peccato che La Maria rispetto a “Miss Sold Out” è attorniata da una compagnia non all’altezza, il pessimo Carlo Tagliabue e Nicola Rossi-Lemeni che pur interpretando con indubbio fascino il ruolo di Padre Guardiano, non è vocalmente a suo agio. Richard Tucker è stato partner della Callas sia in esecuzioni dal vivo (a partire dalla Gioconda areniana del 1947), che in disco (Aida). La voce non era un prodigio di bellezza e probabilmente neppure molto fonogenica. Inoltre lasciano perplessi alcuni effetti, come i singhiozzi, che forse live avevano tutt’altro impatto. gffbnbf1.jpgIl problema che sorge ogni qual volta si affronta qualsiasi titolo di Verdi, è quello della voce verdiana. Se intendiamo per voce verdiana un timbro brunito e morbido, la Callas non può essere contemplata. Se per voce verdiana intendiamo la levigatura del fraseggio, la scolpitura della parola come strumento drammaturgico, la Callas è la più grande cantante verdiana esistita. La verità come sempre sta nel mezzo e dunque è il caso di analizzare l’interpretazione callassiana nel profondo. Nel primo atto la Callas sa abbracciare la malinconia dell’aria “Me, pellegrina ed orfana” e successivamente essere travolgente nel duetto con Alvaro, innamorata e ardente.

È bellissimo sentire l’intensità del fraseggio, il pianto nella voce. Nel secondo atto giganteggia nel recitativo “Sono giunta! Grazie o Dio!” dove è talmente grande che basterebbe solo questo momento per chiudere il nostro ascolto. Ma in quell’aria massacrante (Madre, pietosa Vergine”) è dolcissima. Si anche la Callas può esserlo.

xadghjhnb-v1.pngSembra impossibile che sia ancora più enorme nel duetto con Padre Guardiano. Il modo in cui dice “Una donna son io”, tutta la prima frase di “Infelice, delusa, reietta”. Ogni accento è perfetto, ma non studiato. Tutto sembra spontaneo e sembra di vedere le scene, i volti. Si sente finalmente l’anima di Leonora, la sua dannazione e la lacerazione della sua anima. È una donna che ha un trauma interiore grande quanto il mondo. Poi si capisce finalmente come la Callas era in grado di creare un capolavoro in una frase sola: “Un chiostro?..no! Se voi scacciate questa pentita, andrò per balze gridando aita, ricovro ai monti, cibo alla selve, e fin le belve ne avran pietà…”. Questo è teatro. Questo è Verdi. Per “La vergine degli angeli” forse ci vorrebbe una voce più smaltata, ma la Callas sa cercare dentro alla sua voce un suono aereo, intriso di spiritualità. “Pace, pace mio Dio!” è parimenti efficace, anche se non troviamo quelle filature superbe che saranno della Price e della Caballé.

Il finale vede la Callas svettare per la suprema intelligenza, con un fraseggio che ancora una volta risulta insuperabile. Quell’Alvaro finale, ammantato dal suono della morte. Menzione d’onore merita Tullio Serafin, che realizza una delle più grandi interpretazioni direttoriali di quest’opera verdiani. Resta solo da immaginarsi con dei partner diversi cosa sarebbe stata questa edizione. Ma è già storica così. E forse basterebbe da sola per tramandare ai posteri cosa è stato il fenomeno Maria Callas.

Nel 1977, a pochi giorni dalla sua morte Maria Callas prova nella sua abitazione parigina la seconda aria di Leonora:

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Francesco Lodola d93b0ceec0697dab4a0bbba0f1141261.jpg

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