RitrattoArchitetto, scenografo, costumista e regista, oltre che autore di oltre 30 testi teatrali: Paolo Baiocco è una delle figure più interessanti del teatro italiano grazie alla sua immensa esperienza nei più disparati campi del mondo dello spettacolo, dalla Tv, al cinema, fino al teatro di prosa e al teatro musicale. Il suo legame con il mondo dell’opera nasce sotto il segno di Franco Zeffirelli e il suo film su “La Traviata”, e continua fino al 1988, quando il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto gli affida la messinscena de “L’Italiana in Algeri”, a cui seguiranno più di dieci produzione per lo stesso teatro. Forte è il suo legame con l’oriente, dove è spesso presente con nuove produzioni operistiche, così come è fortemente legato al nome di Maria Callas, riguardo alla quale ha curato numerose mostre ed eventi/tributo. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in questi giorni e di poter parlare con lui di come avviene la nascita di uno spettacolo teatrale, e come l’opera ancora oggi può essere attuale…

 La sua esperienza nel teatro è cominciata accanto a Grotowski e Barba, due figure fondamentali nel teatro del Novecento e contemporaneo. Ci racconti di questa esperienza formativa.
Prima di incontrare Grotowski avevo letto molto di lui, della sua tecnica attoriale, della sua filosofia; m’aveva conquistato e credevo di aver capito tutto, o quasi. Eugenio Barba ha seguito il maestro polacco per anni ed ha scritto testi fondamentali su di lui. Quando, oltre trent’anni fa, ho avuto la fortuna di essere scelto per entrare nel Laboratorio Europeo Jerzy Grotowski, mi sono trovato di fronte ad un’esperienza che, rispetto ai libri letti, è stato come leggere la descrizione dettagliata di un grande vino d.o.c. e poi, berlo: quell’esperienza incredibile, di rigore assoluto, di dedizione illimitata, che richiede il lavoro teatrale con Grotowski, è qualcosa che porterò sempre dentro di me. Ho imparato che cosa significa non fermarsi di fronte ai limiti che noi stessi ci poniamo, limiti fisici e mentali, rinunciando ad esperienze obiettivamente difficili; spesso diciamo a noi stessi “Non ce la faccio”. Nel laboratorio di Grotowski ho esperimentato la possibilità di estendere i miei stessi limiti molto al di là di quanto potessi immaginare. La pratica del lavoro corporeo, durissimo, qualche volta mi ha portato vicino alla sconfitta ed al rifiuto, ma, quando sono riuscito a superare quella difficoltà, la coscienza conquistata e il non aver rinunciato mi sono stati di grande insegnamento. Il programma di lavoro prevedeva ogni giorno 2 ore di training fisico, ed 1 ora di riposo, ripetuto per 4 volte. É stato faticosissimo, non solo per il corpo, ma soprattutto per la mente, ed ho imparato che non ci sono scorciatoie: per fare un’esperienza teatrale seria e profonda è necessario passare per quella “via stretta”. CAVALLAERIA RUSTICANA 2005M’ha certamente aiutato anche la mia esperienza precedente nel mondo della danza, accademica, moderna e contemporanea. Poi ho incontrato Eugenio Barba durante una sessione dell’I.S.T.A. (International School of Theatre Antropology), nella quale abbiamo lavorato alla regia del FAUST; l’anno seguente sono andato nel Laboratorio dell’Odin Teatret in Danimarca. Il lavoro con Barba, non così estremo ed estenuante come con Grotowski, m’ha fatto maturare e padroneggiare una metodologia ed una tecnica di grande efficacia che, da allora utilizzo ogni volta che affronto una nuova messa in scena.

Il suo percorso è poi approdato all’opera lirica. Cosa spinge un uomo di teatro ad avvicinarsi ad una forma teatrale così diversa e “speciale”? Il melodramma è ancora attuale?
Il melodramma è ancora assolutamente vitale ed attuale; quando non lo è dipende soprattutto dal lavoro del regista, che non è in grado di trovare la chiave di lettura dell’opera. È stato semplice e facile per me avvicinarmi all’opera lirica, che non sento così diversa dal teatro cosiddetto di prosa; l’opera è teatro, grande teatro, ed è nata dalla volontà di uno sparuto gruppo di letterati e musicisti della fine del ‘500 di ridare vita alla tragedia greca. È vero che hanno in realtà creato un nuovo genere teatrale, ma quella loro geniale ed originale creazione resta teatro, e la sua messa in scena va costruita non così diversamente da quello che si fa nel teatro di prosa; è chiaro che vanno assolutamente rispettate le esigenze della musica, ed è chiaro che i cantanti sono “attori” diversi dagli attori di prosa, ma il processo per arrivare a dare vita teatrale e verità all’opera lirica è assolutamente simile. madama-butterfly-2004.pngIn questo caso il regista di opera ha una responsabilità probabilmente superiore rispetto al regista di prosa, e deve fare maggior attenzione alle esigenze dell’autore, se non altro perché nell’opera lirica i ritmi, i colori sono scritti nella partitura, mentre nella prosa vanno creati dal lavoro degli attori e del regista. Anche nell’opera lirica il capolavoro scritto va interpretato, ma con un’attenzione ed un rispetto maggiore, che deve anche significare il rinunciare alla libertà assoluta che ti puoi concedere in una regia di prosa. Mi è accaduto di fare regie di opera con un taglio molto moderno, oppure più tradizionale; per me la differenza non è in questo, ma nell’esser capace ogni volta di restituire il significato profondo del capolavoro che mi è stato affidato, e nel non voler a tutti i costi far risaltare l’originalità della mia regia; il valore di una regia d’opera sta nel far sentire allo spettatore la freschezza, la novità, la modernità e la verità del messaggio artistico originale che l’autore, e non il regista, ha voluto affidare alla sua opera.

una delle sue prime avventure nel mondo del teatro musicale è stato il film de “La Traviata” con la regia di Franco Zeffirelli. Cosa si ricorda di quel set, e di quell’esperienza?
La primissima sensazione ed il primo ricordo sono paragonabili ad un’ubriacatura; ero giovane e mi sono trovato a lavorare al fianco di cantanti del calibro di Placido Domingo, Teresa Stratas, un danzatore straordinario come Vladimir Vassiliev, uno scenografo come Gianni Quaranta, un costumista come Piero Tosi e Franco Zeffirelli. Io avevo un piccolissimo ruolo, di danzatore-attore, ma per me era un sogno essere entrato in una produzione così importante, diretta da un regista come Franco Zeffirelli. I ricordi sono tanti, alcuni magici come, ad esempio, l’aver realizzato con sorpresa che le pareti del ricchissimo e lussuoso appartamento di Violetta, costruito nello studio 5 di Cinecittà, era stato in plexiglass trasparente decorato come fosse carta da parati, con lo scopo di avere una illuminazione più morbida e pittorica.
LA TRAVIATA Spoleto 2003Non potrò dimenticare la bellezza, la fragilità e l’interpretazione toccante della Violetta di Teresa Stratas, o quei brevi ed esaltanti minuti dell’intervento danzato di Vladimir Vassiliev, la sua eleganza, la sua tecnica prodigiosa, ed il suo disappunto quando, durante la ripresa del mirabolante tour en manège, cadde, perché un danzatore aveva fatto volteggiare malamente la sua muleta da toreador, e l’aveva fatto inciampare. Mi ricordo Piero Tosi che veniva vicino ad ognuno di noi per controllare il nostro costume, e ci spiegava, dolce e paziente, il perché di ogni sua scelta, di ogni dettaglio.
Mi ricordo anche la sveglia all’alba e le lunghe sedute nella sala trucco, e le ancora più lunghe attese prima di ogni ciack; ricordo la maschera da toro, in lattice, pesante e scomodissima, che, insieme ad altri quattro colleghi, indossavo per la scena dei “Toreador”; Franco Zeffirelli dava la pausa ogni 20 minuti, per farci respirare! In quel momento ci siamo sentiti tutti e 5 i veri protagonisti del film, ma l’estate romana a Cinecittà ci ha fatto morire dal caldo. Ricordo la Prima mondiale al Teatro dell’Opera di Roma; non avevo invito, ma, quando fuori del teatro, Franco Zeffirelli vide me ed altri giovani attori, senza invito al pari di me, ci sorrise dicendoci: “Voi entrate con me!”.

Particolarmente forte è il suo legame con l’Oriente. Cosa rende così forte l’attrazione tra l’Asia e l’Opera lirica?
Me lo sono chiesto tante volte e fatico a trovare una motivazione; è indubitabile che questa fortissima attrazione tra l’Asia e l’Opera lirica esista, in Giappone ed in Corea per primi, ai quali si aggiunge, in tempi più recenti, la Cina. Sono stato in Giappone per 3 anni consecutivi, con 3 produzioni diverse, presentate, oltre che nella capitale, in altre 12 città importanti, ed in Corea per 2 anni, a Seoul ed altre 4 città dotate di bellissimi teatri d’opera. Sono stato anche nella lontana e mitica Mongolia, ad Ulaanbator, dove esiste un teatro d’opera di stampo sovietico. Quello che m’ha piacevolmente sorpreso ogni volta è l’aver trovato, in Giappone e Corea, teatri costruiti con grande intelligenza e conoscenza: palcoscenici dotati della più moderna tecnologia, sale ampie, contenenti da 2000 a 4000 posti, con un’acustica ottima, personale tecnico molto preparato, e personale artistico di buon livello, orchestra, coro e cantanti. Ho anche apprezzato moltissimo lo scrupolo e la precisione nel realizzare quello che il regista e lo scenografo chiedono.

ELISIR D'AMORE Corea 2009
L’elisir d’amore – Corea 2009

Perché amano l’opera lirica? È piuttosto lontana dalla loro tradizione teatrale e musicale, e la loro esperienza nel settore l’hanno costruita nel secondo dopoguerra. Credo che il segreto, se segreto esiste, è nell’amore che nutrono nei confronti di questa forma teatrale, e nell’ammirazione enorme per la “creatività” occidentale, italiana soprattutto; da questo deriva lo studio meticoloso del nostro melodramma, della struttura dei nostri teatri d’opera, e la capacità invidiabile che hanno sviluppato nel costruire nuovi ed efficientissimi teatri d’opera. Spesso mi è accaduto di provare un leggero imbarazzo quando divenivo l’oggetto della loro ammirazione semplicemente perché venivo da un paese per loro “magico”, l’Italia, dove l’opera lirica è nata. Naturalmente non ho avuto il coraggio di distruggere l’immagine che questi popoli hanno dell’Italia, raccontando come proprio l’opera lirica non sia così fortemente sostenuta nel nostro paese; basti pensare che non è presente l’insegnamento del Melodramma in nessun istituto scolastico italiano, e, dove esiste, nei Conservatori di Stato, è, a dir poco, superficiale.

C’è un titolo operistico a cui è particolarmente legato, o un titolo che le piacerebbe molto mettere in scena?
La risposta più immediata è che vorrei mettere in scena tutte le opere che non ho ancora diretto. Ma ci sono almeno 2 titoli verdiani ai quali desidero fortemente lavorare come regista: il primo è il MACBETH, un’opera che m’ha affascinato sin dalla prima volta che l’ho ascoltata, diretta da De Sabata ed interpretata da un’indimenticabile Callas. È una delle opere di Verdi che, confrontata con l’originale shakespeariano, non perde nulla della forza, della magia e della drammaticità incandescente del modello, anzi, la musica aggiunge colori e atmosfere che il dramma non è stato in grado di dipingere.
L’altro titolo del repertorio verdiano è un’opera che non viene mai messa in scena, e che, per questo motivo, non riesce a sviluppare il fascino enorme e la forza di cui è dotata: parlo del REQUIEM. stabat-mater-1998.pngSo bene che non è definibile un’opera in senso proprio, ma per me il vederla solo come un oratorio è una limitazione; l’ho sempre vista come una grande opera, moderna come poche altre, la cui messa in scena aggiungerebbe significati e suggestioni che la semplice esecuzione oratoriale non può dare. Non so se c’è un teatro che se la sentirebbe di rischiare un’operazione come quella che io sogno e propongo; so che esistono rischi oggettivi di incomprensione e di critica, ma sarei prontissimo ad affrontare il rischio, e sento che il pubblico comprenderebbe ed apprezzerebbe.
Un’operazione analoga l’ho già esperimentata, quando ho costruito, come un’opera vera e propria, lo STABAT MATER di Pergolesi. L’ho fatto vent’anni fa a Spoleto, due anni fa a Tolentino e quest’anno a Cipro, con grande successo e consenso di pubblico; gli spettatori erano veramente emozionati, e la loro reazione ed il racconto dell’esperienza vissuta è stata la migliore risposta ai dubbi di chi non era convinto della giustezza della scelta. Con REQUIEM credo, senza presunzione, che potrei fare anche meglio; sono anche sicuro che farei un buon servizio all’arte del grande Verdi.

Come nasce uno spettacolo teatrale/operistico?
Nasce negli occhi e nella mente; prima ancora di studiarlo, analizzarlo e costruirlo, lo vedo già in scena, magari per flash incompleti e parziali, ma lo vedo! Prima del lavoro razionale ho bisogno di sentire l’emozione, il profumo, le luci e le ombre della storia alla quale lavorerò: devo innanzitutto entusiasmarmi, sognare e, letteralmente, innamorarmi! Poi passo alla fase, lunga e, qualche volta faticosa, dello studio e dell’analisi; successivamente sento il dovere di verificare se le prime intuizioni, i sogni della fase dell’innamoramento, hanno un forte e necessario legame con l’analisi: non mi piace seguire solo e sempre il mio istinto, senza la doverosa e rigorosa verifica, data da uno studio meticoloso ed onesto. Ritratto bisQualche volta noi registi ci innamoriamo troppo delle nostre belle intuizioni che, se non sono crudelmente verificate, e, quasi, analizzate al microscopio, possono risultare pretestuose e stupide; dico sempre a me stesso di fare grande attenzione a non cadere nella tentazione di “riscrivere” l’opera come piacerebbe a me; c’è già chi l’ha scritta magistralmente e con grande arte. A noi esecutori, registi, cantanti, direttori, attori spetta il grande compito di dare vita e verità all’opera dei veri artisti creatori, gli scrittori ed i compositori. Altrimenti, io mi dico: “Scrivilo tu un dramma tuo, o componila tu un’opera tua, oppure sii felice di essere un bravo ed onesto servitore del grande artista, compito di grande responsabilità e di grande soddisfazione”. Ho fatto più volte, nel corso di oltre trent’anni, anche questa esperienza: scrivere un dramma originale e metterlo in scena. Ma si tratta di una storia completamente diversa.

Lei partecipa anche a vari masterclass, concentrandosi soprattutto sulle arti sceniche. Quali sono le caratteristiche necessarie per essere un cantante lirico moderno? Quanto è importante la “scenica scienza”?
Un cantante lirico non dovrebbe mai dimenticare che la prima, originale definizione di opera lirica fu data, oltre quattro secoli fa, dai creatori di questa forma teatrale nuova: “Recitar cantando”. In queste due parole c’è il cuore della questione; un cantante deve essere cantante ed attore insieme, perché l’Opera lirica è teatro, grande teatro, al livello della tragedia greca, del teatro shakespeariano e del grande teatro spagnolo del Secolo d’Oro. Troppo spesso assistiamo a opere nelle quali cantanti, pur dotati di buona voce, sono scenicamente inattendibili. Abbiamo ed abbiamo avuto nel passato esempi preziosi di grandi cantanti-attori, ma sono state eccezioni in una prassi comune che metteva in secondo piano la cosiddetta “scenica scienza”. Ritengo che sia importantissimo che i giovani cantanti arrivino in palcoscenico preparati anche da questo punto di vista, e, purtroppo, non ci sono Scuole o Accademie o Conservatori che prevedano un training specifico. Ma, a colmare questa lacuna, si organizzano da tempo, in Italia, in Europa e in USA buone master-class che curano tutti gli aspetti del cantante, la preparazione tecnico-vocale e la preparazione tecnico-attoriale.

NORMA Seoul 2009
Norma – Seoul 2009

Ho partecipato e partecipo volentieri a queste master-class perché credo di poter fare un buon lavoro con giovani cantanti che hanno voglia di imparare; ho avuto la fortuna di avere grandi Maestri che mi hanno trasmesso una tecnica solida per la formazione dell’attore. Per diventare attori, come per diventare cantanti, è necessario studiare ed approfondire una tecnica specifica; il talento e l’intuizione personale non sono sufficienti. C’è un grosso equivoco su questo punto; tutti concordano che per diventare cantanti bisogna studiare e padroneggiare una tecnica specifica, mentre per la parte attoriale ci si aspetta che il cantante possa acquisirla con l’istinto e con il calarsi emotivamente nel ruolo. Non è soltanto un equivoco ed una grossa banalità, ma è assolutamente pericoloso perché convince il cantante che potrà diventare bravo interprete contando solo sul proprio talento. Per diventare bravi cantanti-attori bisogna innanzitutto partire da questa consapevolezza.

Forte è anche il suo legame con Maria Callas, di cui recentemente è stato il 40mo anniversario della morte. Cosa rende Maria Callas ancora così mitica e unica?
Sono tante le cose che rendono Maria Callas ancora unica e, quasi, inimitabile. Per sintetizzare il mio parere su questa grande artista del 20° secolo, direi che la Callas è stata una delle più grandi cantanti-attrici nella storia del melodramma, avvicinabile alle mitiche cantanti dell’800 quali furono Maria Malibran e Giuditta Pasta. Ha studiato la tecnica vocale con un impegno ed una dedizione rari, ed ha studiato ed elaborato una tecnica attoriale magistrale che le ha permesso di non essere solo e sempre Maria Callas, ma, volta per volta, di trasformarsi in Lucia di Lammermoor, Medea, Gioconda, Violetta, Armida, Anna Bolena, ecc. 738_traviataÈ una questione di grande talento? Certamente, ma il solo talento non giustificherebbe il livello altissimo raggiunto da questa artista. Si è detto che la collaborazione con altri grandi artisti, quali il Maestro Serafin, o De Sabata, Bernstein o Von Karajan, o registi come Luchino Visconti l’ha formata e plasmata quale l’abbiamo conosciuta nel momento del successo. Mi sono occupato di lei diverse volte, soprattutto nel curare la Mostra “MARIA CALLAS alla SCALA” realizzata dal Teatro alla Scala nel 1997, a vent’anni dalla sua scomparsa; ho dovuto utilizzare, per realizzare i video delle sue 25 interpretazioni scaligere, migliaia di foto di scena, dal 1950 al 1962. Con mia grande sorpresa ho scoperto che anche la Callas dei primi anni ’50, con i suoi 100 chili di peso, aveva una presenza scenica ed un’energia da grande tragediènne. Le poche riprese filmate che vanno dal ’57 al ’62 sono ancora più chiare: Maria Callas cantante-attrice non trascura una battuta musicale, un breve istante della sua presenza scenica, riesce a dare ad ogni nota cantata, ad ogni battuta musicale non cantata, un colore, un significato ed una pregnanza che pochi altri hanno saputo e sanno dare. Tutto questo è il risultato di uno studio serio ed approfondito e di una tecnica magistrale acquisite e padroneggiate con grande consapevolezza. Maria Callas non va imitata per la sua voce particolare, inimitabile e assolutamente personale, ma va compresa e presa come fonte di riferimento da tutti i giovani cantanti.

Prossimi impegni.
Ho appena iniziato le riprese di un docu-film che racconterà la nascita di “Stella”: la fulminea ed incredibile carriera di una giovane baritono italiano, Simone Piazzola, che ho avuto il piacere di tenere a battesimo come interprete di Rigoletto quando aveva poco più di diciotto anni. Sono sicuro che sarà di grande esempio per giovani artisti, ma anche per un pubblico giovane che, spero, venga affascinato da questa sorta di favola che vede un ragazzo arrivare ai massimi livelli poco più che ventenne. Ho iniziato a lavorare con un bravissimo musicista, anch’esso italiano, Giuseppe Vaccaro, ad una nuova Opera, impresa ambiziosissima e pericolosa, ma che ci ha conquistati entrambi e ci ha entusiasmati; non voglio fare il misterioso, ma per ora non scenderò nei dettagli; quando l’opera sarà più matura nella sua stesura, e, soprattutto, quando avremo ricevuto segnali di interesse da parte di qualche teatro, sarò felice di raccontarla in ogni dettaglio.

AIDA Narni 2006
Aida – Narni 2006

A novembre andrò a Los Angeles per una master-class con giovani cantanti d’opera americani, e subito dopo inizierò le prove per la messa in scena de l’AMINTA di Torquato Tasso per la Festa del Rinascimento di Acquasparta. Ad aprile del 2018 curerò un evento speciale nel Teatro Nazionale di Belgrado, un Gala dedicato ancora a Simone Piazzola, che ha appena ricevuto il premio “Bastianini”; il Gala avrà come titolo “A STAR IS BORN”. A giugno curerò la regia dell’evento TELETHON-CYPRUS nel Palazzo Presidenziale di Nicosia, facendo lavorare insieme cantanti ed attori italiani e greci. Tra fine giugno e fine agosto sarò impegnato in due Master-class, ancora con giovani cantanti d’opera, in Austria, a Payerbach, ed in Italia, a Novafeltria. Nel frattempo aspetto con ansia che un teatro, in qualunque parte del mondo, mi proponga la regia di MACBETH e del REQUIEM di Verdi.

Grazie a Paolo Baiocco per la disponibilità e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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