Vassallo 3 hdIl nome di Franco Vassallo è uno dei più celebri tra gli addetti al lavoro e gli appassionati del mondo dell’opera. Milanese di nascita, si è imposto fin da subito come uno dei più interessanti interpreti operistici della sua generazione. Grande interprete del repertorio belcantista, diventa interprete di riferimento di Figaro ne “Il Barbiere di Siviglia”, che canta da Vienna, a Milano e all’Arena di Verona, e di Ford in “Falstaff”, interpretato per la prima volta nel 1997 al Teatro Filarmonico di Verona, accanto a Renato Bruson. Abbiamo avuto il grande piacere di poterlo intervistare in un momento di pausa tra il Don Carlo di Vargas ne “La Forza del destino” ad Amsterdam e nuovamente Ford all’Opéra National de Paris….

Come si è avvicinato al canto lirico?
Fin da bambino, ascoltando dischi d’opera che avevano i miei; le prime due opere furono “Rigoletto” e “Il barbiere di Siviglia” (curioso che fossero proprio le opere con i due, forse più celebri, ruoli titolo del baritono!).
Mi sono sentito da subito attratto da quel modo di esprimersi così nobile, armonioso ed arcano.

macbeth-con-netrebko.jpgLa sua formazione con Carlo Meliciani ha avuto come principale fine il canto sul fiato: quali sono i ricordi della sua formazione e quali sono le parole del suo insegnante che le ritornano in mente durante lo studio?
Di aneddoti e ricordi potrei riempirne un’enciclopedia! Mi disse da subito – avevo 16 anni quando feci con lui la mia prima lezione – che per vedere dei risultati concreti e tangibili avrei dovuto pazientare una decina d’anni e di impegnarmi quindi con costanza e pazienza nello studio. E mi fece l’esempio di una quercia solida e robusta che si sviluppa nell’arco del tempo da un solo, piccolo seme, che va soltanto annaffiato con costanza.
Naturalmente intendeva dieci anni di studio per poter affrontare la grande carriera di cantante d’opera, ma già dopo il primo anno di studio mi giudicò pronto per affrontare il pubblico e mi trovò un concerto di musica sacra in provincia, ‘La Passione di Cristo’ di Perosi con coro e orchestra a Caravaggio; il mio primo concerto come solista! A quel concerto ne seguirono molti altri, sempre procurati dal mio maestro (che in questo fu anche il mio primo impresario!), che mi diedero l’opportunità di ‘farmi le ossa’ gradualmente e senza troppi stress. Il contatto col pubblico è fondamentale, anche per testare la predisposizione di uno studente di canto ad esibirsi. Se di fronte alla sala piena i nervi non ti reggono, puoi avere la più bella voce del mondo, ma non puoi fare questo lavoro.

Vassallo 4 hdDurante gli anni dei suoi studi ha  frequentato a Milano la scuola “Il laboratorio dell’attore”, dove si insegnava il metodo Stanislavskij. Ci racconti questa esperienza e l’utilità nel percorso di creazione di un personaggio?
Ho splendidi ricordi di quel periodo! Eravamo un gruppo di una decina di allievi aspiranti a diversi ambiti professionali che in alcuni casi già avevano iniziato la professione, chi nel teatro di prosa, chi in televisione, chi nel cinema; io nel teatro d’opera. Recitavamo brani di commedie, tragedie, facevamo improvvisazioni guidate dagli insegnanti…Stanislavskij elaborò un metodo che consiste nel prestare se stesso totalmente al personaggio. Egli suggeriva di non pensare: “io interpreto il tal personaggio”, ma di sentire intimamente di ‘essere’ quel personaggio e di muoversi, pensare e agire esattamente come lui, ‘prestandogli’ il tuo corpo. Nel farlo però è importante mantenere vigile il proprio osservatore interno per evitare che l’immedesimazione prenda troppo la mano all’attore. Direi che se per l’80 % riesci ad ‘essere’ il ruolo che interpreti e per il 20% sei cosciente di essere l’attore che lo interpreta, l’equilibrio è raggiunto e si vive una grande soddisfazione interiore di intensa creatività espressiva.

La sua carriera è iniziata nel segno del Belcanto, quanto è importante la scuola di questo repertorio nell’affrontare la musica successiva?
Lo dice la parola stessa! ‘Bel canto’, il miglior repertorio per affinare il legato e la ricerca del suono bello, limpido, timbrato e scevro da forzature. Le partiture belcantiste sono la scuola ideale per sviluppare la voce di un giovane artista. Poi si vede se la voce si sviluppa verso altri repertori o rimane ideale per quel repertorio. Ma ritengo che anche a voci robuste di natura e già predisposte nella giovane età a repertori più drammatici sia propedeutica e salutare la frequentazione questo repertorio, almeno in fase di studio se non sul palcoscenico.

berbiere-metropolitan.jpgIl ruolo che ha segnato di più la prima parte della tua carriera è stato Figaro: come sarebbe il Barbiere di Franco Vassallo nel 2017?
Erano diversi anni che non mi capitava un bel Barbiere (quando ti appiccicano l’etichetta di ‘verdiano’ è più difficile essere chiamati per Figaro) e l’anno scorso ho avuto l’occasione di ricantarlo in forma semiscenica a Parma. Sono stato felicissimo nel constatare che l’elasticità, la brillantezza del suono e le agilità erano tutte al loro posto! Spero proprio mi ricapiti presto di ricantare questo magnifico ruolo in qualche bella produzione!

Il suo percorso è oggi orientato verso il repertorio verdiano, nonostante il Belcanto sia sempre presente. Come si pone verso la questione della presunta voce verdiana? 
Penso che la voce verdiana debba avere le qualità della terra, quella terra della bassa che Verdi adorava, da uomo con profonde radici nella nobilissima ed arcaica civiltà contadina. La terra è stabile, franca, intensa e forte. Densa e fluida al contempo. L’energia della ‘madre’ terra impregna di sé e della sua grande onestà tutta la scrittura e la produzione verdiana, che per questo ritengo sia così amata nel mondo. C’è in essa una naturalezza che ci è più intima dei nostri più intimi palpiti. E la voce verdiana deve essere della medesima pasta; ampia, estesa, scura, malleabile, scintillante e forte – ma nella naturalezza, senza mai forzare – generosa e…onesta, come appunto è la terra.

con-ritratti-antenati.jpgIl personaggio di Carlo della Forza del destino è monumentale per richiesta vocale. Ci racconti questo personaggio, la costruzione della sua interpretazione (alla luce delle sue nobili origini) e l’esperienza nella produzione di Amsterdam. 
Don Carlo di Vargas è uno dei ruoli più intensi e drammatici nella galleria dei grandi baritoni verdiani. Rigoletto e Macbeth lo sopravanzano come richiesta vocale, ma solo perché sono sempre presenti in scena, mentre Don Carlo può contare su maggiori pause tra le sue apparizioni in scena. Se non avesse questi riposi, Don Carlo sarebbe forse il più arduo ruolo verdiano insieme al Conte di Luna del Trovatore. Scenicamente ho curato molto l’intensità dell’ossessione del personaggio. Il ricordo del disonore subìto si riaffaccia di continuo ed è per lui intollerabile. Il dovere cavalleresco gli impone di vendicare il padre ucciso e tutta la sua vita è dedicata e sacrificata a questo scopo da un senso dell’onore assurto ad ideale. Oggi tutto questo ci può sembrare assurdo e può far sorridere, ma l’educazione che si riceveva un tempo nelle famiglie nobili metteva l’onore al di sopra di tutto. Ancora i miei nonni, pur molto affettuosi, erano stati educati con questi parametri di dignità e senso dell’onore e mi raccontavano diversi aneddoti in proposito relativi agli avi e alle loro imprese. Molti di loro morirono o furono gravemente feriti durante imprese militari rischiosissime, venendo spesso decorati per il valore o per l’eroismo dimostrato nel salvare più vite possibile tra i loro compagni prima di sacrificare se stessi. Erano realtà di un mondo davvero molto lontano dalla nostra sensibilità attuale…e, come sempre, in ogni epoca ci sono i rovesci della medaglia, positivi e negativi.

Falstaff MetropolitanProssimamente interpreterà Ford in “Falstaff” a Parigi, l’unico personaggio dell’opera che ha una vera e propria aria chiusa. Si sente più vicino a Ford o a Sir John?
Sir John l’ho già debuttato con ottimo esito al Grand Theatre de Genève lo scorso anno ed è stato un grande piacere ed una splendida esperienza entrare per la prima volta nei panni di quel personaggio colossale! Ma per adesso il mio personaggio in quest’opera è Ford, la cui tessitura e scrittura vocale è quella del classico baritono verdiano, virile, possente e svettante. Falstaff invece richiede una tessitura più grave, quasi da basso-baritono e sento che sarà un ruolo ideale per me, ma tra diversi anni, nella terza fase della carriera. Il monologo di Ford, effettivamente l’unica aria chiusa vera e propria dell’opera, nonostante appaia come un’aria comica, è di grande drammaticità vocale e richiede la vera voce di baritono verdiano, ampia, scura e squillante; non a caso era ruolo affidato nel passato a grandi baritoni quali Aldo Protti o Robert Merrill.

borgia-con-gruberova-bayerische.jpgNei prossimi impegni ci sarà anche Scarpia ad Amburgo. Come è il suo approccio a questo personaggio stilisticamente diverso da quelli che ha interpretato in precedenza?
Il barone Vitellio Scarpia è un altro personaggio colossale. Forse il più perfido dei grandi cattivi del repertorio operistico e senz’altro il più odioso. Da quando appare in scena occupa incontrastato il palcoscenico e non ne esce più fino alla morte, per l’inaspettata pugnalata di Tosca, unica e fatale falla nella sua ragnatela perfetta di tirannico predatore. Si tratta di un ‘cattivissimo’, ma assolutamente agli antipodi del classico ‘vilain’ da melodramma. È un aristocratico raffinato e di gran gusto, che di rado dimentica le buone maniere e che non perde mai il suo distinto aplomb, tranne in alcuni momenti del secondo atto dove la sua ferocia promana; ma si ricompone subito, quasi godendo nel raffrenare forzatamente e subitaneamente le sue brame belluine, reprimendole con la severità e la crudeltà che lo contraddistingue. Il suo fraseggio deve risultare elegante, nobile e sostenuto, persino dolce a momenti, ma emanare al contempo qualcosa di impalpabilmente perverso, deviato e pericoloso. È un personaggio molto complesso e tale è anche la scrittura di Puccini, che lo tratteggia in modo unico, diverso da qualunque altra figura baritonale, anche dello stesso repertorio pucciniano. Sono anni che gli gironzolo intorno, ma sempre rimandando il momento di indossarne i panni. Ora mi sento pronto ad iniziare quest’avventura. Penso di non esagerare nel definire il secondo atto di quest’opera il più grande miracolo del teatro in musica.

Vassallo 5 hdProssimi impegni.
Dopo Ford nel Falstaff parigino mi aspetta l’amato Rigoletto a Francoforte e poi un terzetto di malvagissimi personaggi; il debutto in Scarpia nella Tosca di Amburgo, il perfido Don Alfonso, Duca di Ferrara nella Borgia a Monaco di Baviera e di nuovo ad Amburgo con lo scellerato Jago nell’Otello verdiano (…quanto amo fare il cattivo in scena!!)

Grazie a Franco Vassallo per la disponibilità e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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