
Il Tristano e Isotta di Richard Wagner, col quale il Teatro Regio di Torino ha inaugurato la stagione 2017/2018, rappresenta una scelta che si distacca fortemente dai titoli “rassicuranti” dei compositori mediterranei, una scelta che difficilmente può garantire un sold out in teatri frequentati da un pubblico per la maggior parte ancora ostico a Wagner, a quel compositore che, con ampia dose di pregiudizi e luoghi comuni, viene associato in primis alla durata delle sue composizioni.
Nella capitale sabauda il compositore tedesco ha però sempre goduto di una certa luce, fin da quel Tristan und Isolde del lontano 1897, diretto dal Maestro Toscanini, che a tal proposito scriveva alla fidanzata Carla De Martini “Questo benedetto Tristano è molto ma molto difficile, farlo entrare nel sangue poi alla massa cretina, fatte le debite eccezioni […] ti garantisco che ci vuole una pazienza superiore alla mia…”

Da quel dì il Tristano e Isotta è stato rappresentato con regolarità fino all’ultimo del 2007, mentre Wagner mancava dal 2012, con “Der fliegende Holländer”, in cui il Maestro Gianandrea Noseda ebbe il suo primo approcio al compositore di Lipsia.
Proprio alla sua seconda esperienza Wagneriana, Noseda, reduce dall’Aida che il Regio ha portato in tournée a Muscat, dimostra e conferma ampiamente con la sua lettura di essere uno dei direttori italiani più intelligenti e interessanti sul piano internazionale.
Nel suo Tristano vengono posti in evidenza la linea melodica, la passionalità ed il calore della partitura, con un esaltazione forse menò nordica quanto più italica, ma soprattutto prevale quel senso di brama e desiderio impagabile, il cui simbolo si individua nel “Tristan-Akkord”, che costituisce il Leitmotiv del protagonista, e che segna la scintilla iniziale dell’opera, per poi culminare nella sua fine, ossia l’ “Isoldes liebestod”, in cui il vagheggiamento d’amore ed il vagheggiamento di morte si fondono in un unico potente sentimento.
L’orchestra segue perfettamente e con grande maestria Noseda, nella ricerca dei colori, delle passioni, ed in un cesellamento continuo, incessante, sempre presente e mai distratto di ogni frase.

L’allestimento, monumentale nella sua complessità scenica, originario della Opernhaus di Zurigo, firmato dal “Theaterregisseu” Claus Guth e ripreso da Arturo Gama, è reso spettacolare soprattutto grazie alla presenza di un grande girevole (realizzato col finanziamento da parte di Lavazza) che con questa inaugurazione di stagione entrerà ufficialmente a far parte del patrimonio scenotecnico del Teatro, e che per questo spettacolo viene sapientemente utilizzato per dar vita ad una resa cinematografica in cui i personaggi si muovono tra i vari sequenziali ambienti interni ed esterni di una elegante villa di metà ottocento.
Con un’ambientazione simile è palese fin da subito che ci saranno delle oggettive incongruenze col libretto. Dunque nessuna nave, nessun marinaio o vedetta, e nessun sbarco in Cornovaglia; pur non essendovi espliciti riferimenti, come viene spiegato nel libretto, sul sito e nel c. s. del Teatro, i protagonisti visti sotto la lente di Guth danno vita ad un triangolo nel quale Tristano, Isotta e Re Marke diventato Wagner, Mathilde e Wesendonck, il tutto proprio nella villa zurighese di quest’ultimo.

I due amanti finiranno così per iniziare il celebre duetto d’amore del secondo atto tra un’elegante folla festante di persone e finiranno per morire nella stessa sala da pranzo dell’atto precedente.
L’atmosfera, pur non propria al Tristano, ma ugualmente con un che di sognante, viene resa ancor più magica dalle abili e curate luci di Jürgen Hoffmann e dagli eleganti e sobri costumi di Christian Schmidt, che ha realizzato anche le scene dello spettacolo.
Tornardo al versante musicale si è delineata un’altissima qualità vocale tra tutti i membri della compagnia, con un unico spiacevole (per la diretta interessata, s’intenda) imprevisto, prontamente risolto: Ricarda Merbeth, soprano scritturato per il ruolo di Isolde nel primo cast, dopo aver comunque sostenuto tutte le recite, ha accusato una parziale ed improvvisa afonia, che non le ha ugualmente impedito di sostenere la scena della maledizione in maniera più che dignitosa, ma col proseguire del primo atto le difficoltà son diventate sempre più evidenti e con l’ingresso in scena di Tristano, prima che i due bevessero il filtro, si è appostata sul lato destro del palcoscenico una signora in “borghese” che ha doppiato fino alla fine dell’atto la Merbeth, la quale ha continuato a recitare.
Ad atto terminato è stato annunciato che, per un’improvvisa indisposizione e per il suo perdurare, la Merbeth sarebbe stata sostituita dal soprano inglese Rachel Nicholls, già impegnata in questa produzione nel secondo cast.
La Nicholls delinea una Isolde sicura, negli acuti come nelle note gravi, reggendo a testa alta le difficoltà della partitura anche in potenza e squillo; unico punto a sfavore un timbro non particolarmente bello, tagliente e tal volta aspro, ed un vibrato stretto.
Tristan è Peter Seiffert, heldentenor acclamato in tutto il mondo come tra i migliori interpreti wagneriani del mondo, e la ragione di questa nomina non tarda ad essere compresa.

Nonostante la voce sia evidentemente appesantita da una carriera lunga e da un repertorio tra i più pesanti e logoranti, conserva ancora una freschezza invidiabile, ed una sicurezza nell’emissione che evidenzia una tecnica pressoché impeccabile, mantenuta fino alla fine del lungo monologo del terzo atto; e salvo alcuni momenti in cui l’emissione si fa più spinta, la qualità del fraseggio e le emozioni che traspaiono sono altissime.
Steven Humes, già impegnato al Regio come Daland nell’Olandese volante sopra citato, interpreta Il Re di Cornovaglia, Marke.
Il basso americano è un eccellente interprete, profondo, saggio, ed elegante e, personalmente, poco importa se il timbro sia più chiaro di quanto uno possa aspettarsi dal ruolo: credo sia assai più piacevole godersi un’emissione lineare e pulita, rispetto ad altri interpreti dal timbro scuro che facilmente fanno apparire Marke più come un orco che come un re.
Michelle Breedt interpreta la damigella di Isolde Brangäne. Il mezzosoprano è scenicamente molto valido, e vocalmente il timbro è scuro, ma manca di continuità nella linea di canto.

Notevole il Kurwenal del baritono Martin Gantner sia sul piano scenico che vocale.
Completano correttamente il cast il Melot del tenore Jan Vacík; un pastore del tenore Joshua Sanders; un timoniere del baritono Franco Rizzo ed un giovane marinaio del tenore Patrick Reiter.
Ottimo anche il coro nella sua breve parte, diretto dal Maestro Claudio Fenoglio.
Come era facile immaginare, per un’opera come questa, così fuori dal comune in Italia, in cui il pubblico non può barare fingendo un interesse che non è scaturito, si delineano principalmente tre fazioni all’interno della sala: una costituita da veri e propri appassionati wagneriani, che non potevano mancare a questo appuntamento; un’altra costituita da semplici appassionati d’opera che, sicuramente grazie anche ad un’esecuzione di alto livello, sono rimasti stregati, intossicati dalla musica di Wagner, alla quale è difficile rimanere indifferenti; ed un’ultima che, non potendo fingere quell’interesse che probabilmente speravano di trovare, hanno abbandonato la sala durante i due intervalli.
Stefano Gazzera
Un pensiero riguardo “TEATRO REGIO DI TORINO: TRISTANO E ISOTTA”