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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

“La Vedova Allegra“ ha riaperto le porte del Teatro Filarmonico, dopo i tre mesi di pausa, per festeggiare con il pubblico veronese le prossime festività natalizie, aspettando l’inaugurazione ufficiale della stagione prevista per febbraio con “Otello“ di Giuseppe Verdi (prima il 4 febbraio). L’operetta di Lehar tornava ieri, dopo la riproposta del 2014, nella produzione del 2005 con la regia di Gino Landi e le scene di Ivan Stefanutti e i magnifici costumi di William Orlandi. Lo spettacolo si è confermato ancora una volta una vera perla, per la capacità di essere teatralmente spigliato e divertente e allo stesso tempo romantico e malinconico, come deve essere. I magici involi melodici sono preziose oasi, all’interno di una messinscena in cui il ritmo comico è irrefrenabile. Le scene di Stefanutti sono capaci di creare un’atmosfera magica, preziosamente decadente, con alcuni “tableaux vivants” degni dell’età d’oro della lirica. Quando il pubblico esplode in un applauso, quando le statue marmoree del giardino parigino di Hanna cominciano a danzare, vuol dire che lo spettacolo ha veramente centrato il punto. La regia di Landi (ripresa da Federico Bertolani) si muove continuamente “a danza”:  un mondo che decade a “ritmo di valzer“, con una risata dall’inizio alla fine.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Complice di questo è anche la presenza di Marisa Laurito, personaggio senza il quale crediamo che questo spettacolo non possa esistere. la Laurito crea una “Signorina” Njegus travolgente, e se qualcuno la definisce una “macchietta”, non ha capito per nulla il suo ruolo. L’artista napoletana porta la sua cifra distintiva, la comicità leggera, con un tocco partenopeo, senza cadere mai nella volgarità, rimanendo sempre nella più grande tradizione del cabaret all’italiana. Giustamente per lei è stato un trionfo durante la serata e nel finale, al quale ci associamo convinti e divertiti.

Sul podio Sergio Alapont è stato molto bravo nel saper equilibrare le esigenze più popolari dell’operetta, all’esigenza malinconica della melodia, utilizzando con maestria gli effetti del “rubato” e delle sonorità languide tipici di questo genere.

 

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Nel nutrito stulo delle parti di fianco emergevano Francesco Paolo Vultaggio (Visconte Cascada) e Andrea Cortese (Kromow), mentre gli altri, soprattutto il cotè femminile, sembrava piuttosto debole, soprattutto negli importantissimi dialoghi. Comunque tutti risultavano funzionali: Stefano Consolini (Raoul de St. Brioche), Daniele Piscopo (Bogdanowitsch), Serena Muscariello (Sylvaine), Lara Rotili (Olga), Nicola Ebau (Pritschitsch) e Francesca Paola Geretto (Praskowia).

 

Giovanni Romeo si imponeva con il suo Barone Zeta grazie ad un carisma irresistibile e ad una vocalità di importante timbratura, creando un personaggio che con la Laurito creava un’accoppiata comica eccellente, e accanto a lei non è affatto facile. Invece Romeo le teneva testa, con un “tempo” comico magnifico.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Non gli è da meno la sua baronessa, Desirèe Rancatore, al debutto come Valencienne, la quale non ha deluso le attese tratteggiando un personaggio divertente, frivolo, ma anche teneramente innamorato: bravissima nel canto (con puntature fuori ordinanza brillanti e canto spianato di linea elegante) e molto disinvolta nella recitazione.

Giorgio Misseri metteva in luce il suo bellissimo timbro di tenore all’italiana e una spontaneità e sincerità di espressione lodevoli, in un ruolo che vocalmente è abbastanza difficile, perché giocato sul “passaggio”.

Enrico Maria Marabelli non poteva forse rivaleggiare con il carisma di Markus Werba, precedente interprete, nel 2014, del Conte Danilo. Tuttavia grazie ad una voce ben timbrata e ad un fraseggio ben delineato, convinceva ampiamente, pur non conquistando.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Già da quando Mihaela Marcu scendeva il grande scalone conquistava il pubblico grazie ad una presenza scenica e vocale piena di fascino. L’aristocratica eleganza del gesto, la vocalità luminosa e la morbidezza di ogni sfumatura, ne fanno una Hanna Glavari impagabile, “glamour” e profondamente magnetica. Anche per lei nel finale toni del trionfo, così come dopo l’aria della Vilja, superbamente eseguita e chiusa con un filato delicatissimo, che ha fatto “venire giù” il teatro.

Una lode sperticata va al coro dell’Arena di Verona, istruito da Vito Lombardi, teatralmente e musicalmente inappuntabile, così come il corpo di ballo coordinato da Gaetano Petrosino, trascinante nella parte tratta dal balletto “Gaité Parisienne” di Jacques Offenbach e Manuel Rosenthal, con le coreografie di Cristina Arrò.

Alla fine come si è detto grande trionfo per tutti.

Francesco Lodola

Verona, 17 dicembre 2017

QUI UNA SELEZIONE DELL’OPERA:

Si ringrazia FONDAZIONE ARENA DI VERONA per la gentile concessione delle immagini.

Un pensiero riguardo “TEATRO FILARMONICO DI VERONA: “LA VEDOVA ALLEGRA”

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