
Complessivamente passabile ma non entusiasmante sul piano vocale, Tosca, di Giacomo Puccini, chiude la Stagione 2017 del Comunale di Bologna.
E’ Tosca, il titolo conclusivo della Stagione 2017 del Teatro Comunale di Bologna. L’opera, tra le più celebri e amate dal pubblico di tutto il mondo, è andata in scena dopo un percorso alquanto travagliato che ha visto il susseguirsi di diverse sostituzioni sia sul piano degli interpreti quanto su quello della direzione, inizialmente annunciata alla bacchetta di Aziz Shokhakimov, poi virata su una giovane certezza, il M° Valerio Galli.
Ed è stato proprio il direttore toscano a dare l’impronta decisiva a uno spettacolo che in sua mancanza non avrebbe forse reso degnamente omaggio (come si è scelto di fare con un annuncio iniziale) all’ultima nipote di Puccini, scomparsa pochi giorni fa.

Va detto, non è una Tosca che rimarrà alla Storia, specialmente se si dà un’occhiata alla cronologia delle precedenti edizioni ospitate nel corso del Novecento dal teatro felsineo, dettagliatamente riportata nel libretto di sala. Ma si sa, i confronti non vanno mai fatti.
Galli, come detto, non ha però affatto sfigurato, confermando una particolare predilezione per il conterraneo compositore. La sua è una guida sopraffina, attentissima ad ogni dettaglio espressivo, al rispetto di ogni equilibrio ritmico e timbrico, sempre volta a far quadrare i conti e il giusto amalgama con le voci. Una direzione capace anche di regalare emozioni con momenti quasi sinfonici e con una costante e spiccata valorizzazione di ogni elemento.
Un terreno fertile su cui però non sono state piantate le migliori colture a disposizione.
Già, perché è proprio sul piano degli interpreti principali che questa Tosca non ha dato il meglio di sé.

Rudy Park, Cavaradossi, è conosciuto per il tonnellaggio vocale a cui ci ha abituati negli anni. I mezzi vocali da soli però non servono a molto se lasciati a sé stessi. Il timbro è di per sé scuro, privo di squillo, ampio e robusto. Il tenore è parso del tutto sconnesso dalla caratterizzazione vocale e scenica del personaggio, musicalmente inespressivo e monotono nel fraseggio, teso costantemente ad un canto non molto elegante, con acuti stentorei ma ringhiati, precario talvolta nel controllo dell’intonazione (il finale del duetto con Tosca nel terzo atto, “Trionfal, di nuova speme […]” era vistosamente crescente, ad esempio). Anche dal punto di vista registico la sua è una prova alquanto raffazzonata e goffa con tratti “gigioneschi”. Sia chiaro, la prova è stata superata ma in modo asettico e senza particolari meriti.

Svetla Vassileva è, dal canto suo, una Tosca purtroppo non soddisfacente. Il soprano è sembrato sicuramente più “nella parte” rispetto al compagno; tuttavia sotto il profilo musicale la sua è una voce (forse un po’ usurata dagli anni) che si perde nel registro medio-basso, altalenando nei passaggi tra parlato e cantato ed esplode invece in fastidiosi acuti urlati e striduli nella drammatica scena di Palazzo Farnese. Può bastare come riscatto un “Vissi d’Arte” eseguito, a onro del vero, molto bene? E’ un po’ poco, specie se dopo aver pugnalato Scarpia ci si lascia andare ad un “è morto” dal tono stupito e leggero che non ottiene l’effetto che si vorrebbe. Gabor Bretz non è lo Scarpia sfacciatamente spregevole cui taluni interpreti ci hanno abituati. Il suo è un barone che mantiene sempre un certo aplomb austero e serioso ma che al tempo stesso emana perfidia, potere, fredda spregiudicatezza, senza tradire le proprie pulsioni. Accanto alla grande presenza scenica anche vocalmente queste caratteristiche si riversano in una voce non particolarmente bella ma adatta al ruolo, ben controllata e sapientemente dosata in quantità e qualità.

Godibilissimi, tra i migliori, il Sagrestano (distinto attore, mai stereotipato e sicuro musicalmente) di Nicolò Ceriani, lo Spoletta davvero convincente di Nicola Pamio, e il Pastorello di Pietro Bolognini, dalla voce bianca assai bella, ben udibile e sicura nel canto. Bene anche i restanti comprimari: Luca Gallo (Angelotti), Tommaso Caramia (Sciarrone), Michele Castagnaro (Carceriere).
Sempre positivo è stato l’apporto del Coro diretto dal M° Andrea Faidutti e del Coro di voci bianche, diretto da Alhambra Superchi.
La spettacolo di Daniele Abbado (ripreso da Boris Stetka) ha complessivamente convinto se si prende atto della sostanziale difficoltà da parte dei due interpreti principali di comporre una coppia registicamente convincente. E’ ormai raro vedere Tosca gettarsi da Castel Sant’Angelo dato che i registi amano spesso utilizzare il finale di quest’opera per sbizzarrirsi liberamente in morti fantasiose e talvolta ridicole. Qui la scelta di variare i canoni tradizionali pare invece funzionare: la cantante si accascia su sé stessa mentre le luci su di lei puntate si spengono e sullo sfondo è proiettato l’incedere di una giovane donna che poi si arresta voltandosi di lato. Simbolico, forse non chiarissimo, ma non fuori luogo.

Le scene (di Luigi Perego), tradizionali, non particolarmente sfarzose ma suggestive, prevedevano alcuni elementi stabili come l’altare rialzato e rotante in cui ogni scena si è svolta, bianche colonne laterali e altri elementi a caratterizzare invece le differenti ambientazioni degli atti, con il supporto, efficace e mai invasivo, di alcune proiezioni (di Luca Scarzella) sullo sfondo. Belli ma non sempre coerenti storicamente i costumi (dello stesso Perego). Efficaci le luci di Valerio Alfieri.
Al termine un discreto successo di pubblico ha accolto l’intero cast.
Grigorij Filippo Calcagno
Bologna, 17 dicembre 2017