Non sembrano passati ventun anni da quel debutto al Festival di Salisburgo. L’entusiasmo è sempre quello di Desy, la ragazza che da Palermo è riuscita a conquistare i pubblici di tutto il mondo, con le sue capacità vocali fenomenali, la solarità e la comunicatività sincera e commossa. Desirée Rancatore è una delle cantanti italiane più rilevanti della sua generazione, capace di seguire la strada della propria voce, incarnando con credibilità e passione tutte le grandi eroine del melodramma belcantista: da Gilda a Lucia, Elvira, fino a Violetta. In questi giorni è una brillantissima Valencienne ne “La Vedova Allegra” al Teatro Filarmonico di Verona, mentre l’inizio del 2018 la vedrà protagonista di un debutto importantissimo: Norma al Teatro Carlo Felice di Genova…
Dobbiamo innanzitutto parlare di Valencienne…
Valencienne è stato diciamo un “capriccio” che mi sono voluta togliere…penso che dopo ventun’anni di carriera prendersi qualche ( capriccio ) fa piacere. Come spiegavo anche alla conferenza stampa, è un ruolo molto legato alla mia infanzia. Quando sono dietro le quinte e ascolto la musica, per esempio il coro maschile “E’ scabroso le donne studiar…” mi catapulto nel mondo di Desirée bambina: ricordo perfettamente me, seduta, al Teatro di Verdura, con il caldo palermitano, a vedere le operette e sognare.
Sognavo questo mondo pieno di lustrini, pailettes, Can-Can e danze sfrenate. Quando mi hanno proposto questo ruolo un po’ ero allettata dall’idea di tornare a Verona, perché è dal 2008 che non cantavo un’opera qui, e mi sembrava un “riavvicinamento” alla città ed al teatro, e poi per questo attaccamento a Valencienne, e all’interpretazione di Daniela Mazzucato, che ho avuto l’onore di conoscere di persona perché è stata la mia Annina ne “La Traviata” a Genova, ed è stato un grande onore umano e artistico.
Hai ricevuto dei consigli da lei?
Mi ha detto di divertirmi, di prendermi in giro, e di sentirmi libera, anche nel momento del Can-Can , dove si può rischiare di risultare un po’ impacciati. E’ vero che noi cantanti facciamo anche parti “brillanti”, ma cantare e ballare non è proprio l’ ideale , come lo può essere per gli artisti del musical, per i quali io nutro un profondo rispetto: quello che loro fanno è incredibile! Ballare, cantare, recitare, senza avere il fiatone!
Come ti relazioni con il genere dell’operetta…con il parlato per esempio…
Ho fatto tante cose che avevano il parlato: Il ratto del Serraglio, Il Flauto magico, La Fille du Regiment che hanno la stessa costruzione. Quindi questo non mi ha messo a disagio: l’unica cosa è che questa volta era in italiano (ride)! Mi diverte moltissimo! Bisogna sostenere con il diaframma come mentre si canta. Si può magari impostare di più per arrivare meglio in sala. Non ho avuto dunque nessuna difficoltà…
Tra un po’ invece arriverà Norma…
Quella è un’altra storia! Norma è un monumento che va rispettato, ma non va temuto, poiché se lo si teme non si può salire in palcoscenico. Mi è stata proposta subito dopo il debutto in “Maria Stuarda” dallo stesso teatro, il Carlo Felice di Genova, avendo sentito la mia comodità nel ruolo di Maria. Norma è un ruolo belcantista, di “fascia” più matura, rispetto ai ruoli che ho affrontato fino ad adesso. Avendo affrontato Stuarda tranquillamente, ho aperto lo spartito di Norma prima di accettare, e ho ascoltato tutto ciò che di belcantista è stato fatto in quel ruolo. Ho ascoltato oltre a Maria Callas, che rimane un punto di riferimento pensando a Norma ( ma da non cercare di emulare o imitare) e tutte quelle cantanti di filone belcantista (e non drammatico), come Beverly Sills, Joan Sutherland, Mariella Devia. A quel punto ho preso la decisione. D’altronde la linea belliniana è regina del belcanto. Se analizzi Norma la vocalità è di soprano lirico d’agilità. La drammaticità è data soprattutto dal personaggio, dalla tragicità di questa sacerdotessa/madre che tradisce il suo Dio e viene tradita a sua volta. E’ una donna che vive un dramma molto forte, e questo la rende drammatica. La vocalità però non lo è. Ci vuole il carattere che rende il coté tragico, questo è quello che cercherò di fare: utilizzare la mia vocalità belcantistica per dare rilievo alla forza di carattere di questa donna.
Come ti stai preparando al debutto?
Con tanto, tanto, infinito studio! Sto studiando il libretto, la musica, la psicologia del personaggio e della sua struttura vocale. Bellini era molto maturo quando ha scritto questo ruolo. In questa musica c’è tanto di ciò che ci sarà in puritani . Sto affrontando Norma anche studiando con una grande cantante, di cui non dirò il nome per discrezione, perché lei è una persona molto discreta, che mi sta dando moltissimo in questo ruolo. Affronto Norma con tanto rispetto, serierà e umiltà, però appunto senza timore. Se entro in scena temendo il ruolo e temendo ciò che potranno dire non risolvo nulla. E’ sempre stato così con me: non appena ho rotto i cliché del mio repertorio, mentre il pubblico è sempre stato “aperto” alle mie decisioni e le ha accolte bene , come è successo con il debutto in Traviata nel 2013 o in Stuarda lo scorso anno, accogliendole con dei grandissimi successi, gli altri arrivano un po’ più tardi, perché tendono a inserire i cantanti in delle “scatole” chiuse. Mi è successo quando ho debuttato “Lucia di Lammermoor” nel 2006, staccandomi dalla bambola Olympia. Ci hanno messo un po’ prima di inquadrarmi in Lucia o in Elvira, che erano ruoli che stavano perfettamente alla mia voce. Sono consapevole che anche questa volta succederà la stessa cosa.
Quale sarà l’anima di Norma che privilegerai?
Sarà una Norma amante la mia, perché lei viene profondamente colpita dal tradimento di Pollione, e lo si vede alla fine quando dice che punirà Adalgisa. Quest’ultima è il vero punto nodale di Norma, nonostante lei non le dia nessuna colpa davvero, anche se in un brevissimo recitativo con Clotilde lei accusa Adalgisa di volerla commuovere con il suo dolore. Lei è gelosa. Cerco di trovarle il lato di donna tradita che poi è anche madre, e in ordine di importanza è sacerdotessa. Non si evince quasi mai il suo lato sacerdotale, se non all’inizio, nella sua presentazione. Già nella cabaletta però viene fuori la donna…”Ah bello a me ritorna”….vuol dire che Pollione si è già allontanato. Hanno una crisi e poi lei scopre che c’è un’altra donna. E’ la storia di tutte le donne: non credo che ci sia qualche donna che non sia mai stata tradita. Quindi riverserò anche qualcosa della mia vita personale. E’ un’opera molto più fruibile e attuale di quello che si pensi. Penso che qualsiasi donna che venga a vedere Norma possa riconoscersi in questo personaggio, nella sua rabbia. Poi ovviamente lei si solleva all’apice della spiritualità quando lo perdona e ammette il suo errore, andando al rogo. Questo è il fascino dell’opera, penso a Traviata per esempio.
Per una Norma belcantista è quasi d’obbligo il daccapo variato della cabaletta “Ah bello a me ritorna”….cosa ne pensi?
Ho inserito qualche piccola variazione nella seconda parte della cabaletta. Non è un ruolo che ti dà la possibilità di grandi variazioni, c’è qualcosa come il sovracuto opzionale di fine primo atto, o il Do di passaggio nel finale. Rispetto ad altre opere belliniane non c’è molto spazio per le variazioni, perché il compositore tende a scrivere tutto nel dettaglio, per esempio nei duetti con Adalgisa. C’è per quest’ultima la possibilità di cantare il Do nel secondo duetto, ma non si può cambiare e stravolgere quasi nulla. La cabaletta è l’unico punto che si presta e inserirò variazioni abbastanza tradizionali, perché è già molto difficile come è scritta. Norma è l’opera dei Do, ce ne sono un’infinità. Sono tutti espressivi, un sintomo di una disperazione. Non esiste il virtuosismo fine a sé stesso, anzi penso che non esista, forse solo nella bambola, dove però c’era lo stesso una funzionalità. Nel mio repertorio, che spesso viene associato ai “coccodé”, ho sempre cercato di non levare l’anima alle colorature o alle variazioni, penso alla cadenza di Lucia….
La cabaletta è un punto cruciale di questo ruolo: è un ostacolo per i soprani drammatici e uno sfogo per le voci più leggere…
Certamente per un soprano drammatico tutta quella lunga parte di agilità è abbastanza difficile, perché richiede di arrivare ad un Do con grande slancio. Arriva poi dopo un cantabile estremo come è quello di “Casta Diva”, pieno di filati e con quella parte centrale con quei vocalismi. Quindi posso capire la difficoltà….ma ci impegneremo a farle bene entrambe (ride)!
C’è qualche altro ruolo belliniano che ti piacerebbe fare?
Penso soprattutto a “La Straniera”, un’opera stupenda, di cui mi sono innamorata attraverso la voce di Mariella Devia, che è per me l’emblema del Belcanto Assoluto. Non sono opere che si fanno spesso…però chissà….magari a Catania, in quel teatro che io adoro, con un’acustica stupenda, che purtroppo vive un momento non facile…come purtroppo tanti altri teatri del resto…
E ritornare a “La Sonnambula”, che hai interpretato una volta sola?
Ogni tanto mi fermo e penso che è veramente assurdo che io abbia fatto una sola volta quest’opera, soprattutto dal momento che quando avevo diciotto anni vincevo tutti i concorsi cantandone l’aria, e pensando che sarebbe stato uno dei ruoli che avrei fatto di più. Ho un ricordo comunque eccezionale dell’unica produzione che ho fatto a Las Palmas, con il mio “sorello” Celso Albelo, in cui veniva giù il teatro per gli applausi. Ho delle registrazioni di quelle serate e sembra una serata dell’Italiani degli anni ’50. Non saprei dire perché dopo non ci sia più stata occasione per me di cantare questo titolo, forse si pensavano ad altri nomi quando si metteva in scena questo titolo. Mi è dispiaciuto non averla potuta cantare in Italia…
Quindi se te la offrissero ora accetteresti…
Perché no? Sicuramente la mia voce oggi è diversa, si è sviluppata e va anche verso altre cose, ma perché non affrontare anche Amina con un altra maturità? La natura belcantista è sempre quella…
L’anno scorso hai affrontato un altro grande ruolo belcantistico Maria Stuarda: un personaggio che nell’opera sembra la vittima, ma che storicamente non era affatto una “santa”…
Nell’opera va al martirio e dunque si redime. Però le parole che lei rivolge ad Elisabetta e le stesse parole che usa quest’ultima per parlare di lei hanno un fondamento. Anche i libri che ho letto per prepararmi sulla figura della Stuarda, e si percepisce da ciò che si legge come una donna piena di passione, anche se per alcune cose è profondamente ingenua: per esempio la passione per il secondo marito, che andava nascosta, poiché lui era l’uomo che aveva organizzato l’ omicidio del primo marito. Tanta era la passione fisica per quest’uomo, che non ha avuto problema nel mostrarla sposandolo subito , e di conseguenza far pensare che la congiura era probabilmente partita da lei stessa. Non è né un agnellino ne un diavolo, forse un po’ arrogante in alcuni atteggiamenti. Musicalmente è un ruolo meraviglioso, incredibile….
Per Maria c’è una sorta di “accumulo” di tensione, che sfoga nello scontro con Elisabetta: come ci si controlla per non sbracare?
Quello sì che è uno sfogo! Un momento stupendo, in cui mi sono sfogata tantissimo anche io, essendo io una passionale. In quel momento ero un vulcano. Non ci si deve controllare, bisogna lasciarsi andare. Quello che bisogna mantenere è un controllo vocale, poiché la parte scende verso il basso e c’è il rischio di cadere troppo nel parlato. Emotivamente però bisogna buttare fuori tutta l’energia e farsi prendere da questa rabbia, montandola piano, piano, mentre Elisabetta canta, per poi esplodere. La cosa bella è che Maria non si pente. Di questo io ho parlato molto con il regista della produzione di Genova, Alfonso Antoniozzi. Lei non si pente affatto, anzi è fiera e sollevata. Anche nel concertato dice proprio di essere contenta per essere riuscita almeno ad avere un momento di rivalsa. Maria è convinta anche nel momento in cui va a morire. E’ oltraggiata come regina, ma nella confessione con Talbot (che è un duetto meraviglioso), ammette di non essere stata uno stinco di santo. La preghiera e il finale dell’opera sono magici, e non sembrano finire mai (ride)…..E’ una musica talmente sublime! E’ uno di quei ruoli che se me li chiedessero li rifarei domani!
E le altre regine di Donizetti…
Con calma…Anna Bolena è quella più raggiungibile a breve termine, Roberto Devereux come anche Lucrezia Borgia no. Sono delle vocalità che richiedono una maturità ancora più avanzata…ma sicuramente arriveranno. Su Bolena ho già fatto alcune riflessioni, ma credo che ci siano anche tanti altri ruoli che potrei affrontare: Manon di Massnet, Marguerite in”Faust”, Juliette….quest’ultima la sento molto “mia” e canto spesso il valzer in concerto, e vorrei cantare presto anche l’altra bellissima aria, quella del veleno…Questi sono dei ruoli perfetti per me. Poi ho altri due capricci da togliermi: uno è Micaela di “Carmen”, un ruolo che io amo molto, con quella purezza dell’animo, con però un grande coraggio. Non mi piace come di solito viene rappresentata Micaela, una ragazza sciocca che viene dal paesello: lei va da sola nella montagna, nel covo dei contrabbandieri….è una donna con gli attributi. Nell’aria bisognerebbe rendere questa “sostanza”, non è solo elegiaca. Micaela vuole affrontare Carmen, non ha paura di lei. Anche nel terzetto questo emerge. All’inizio è ingenua, perché non sa come comportarsi. L’altro ruolo/capriccio è Liù, un’altra donna di carattere. Ho tanti sogni. Norma farò due recite come ho fatto con Stuarda, perché avendo la testa sulle spalle voglio provare a vedere come mi sta e come mi potrò misurare con questo ruolo. Il cast poi era ottimo, il direttore sarà Andrea Battistoni e poi avrò la possibilità di vedere Mariella Devia, che farà il primo cast, e dunque di continuare a studiare anche alle prove, guardando il mio grande mito.
Gilda è stato un personaggio del quale sei diventata un’interprete di riferimento: com’è la tua Gilda oggi?
Gilda è un altro personaggio che spesso viene associato ai bamboleggiamenti, ma anche lei non è per nulla una debole, soprattutto se si va a leggere i tratti caratteriali di Blanche de “Le Roi s’amuse”. E’ un ruolo che ho cantato fino allo scorso marzo al Liceu, e oggi è una Gilda molto più matura anche vocalmente. Potrei anche riscoprirla filologicamente, togliendole magari tutti gli ornamenti. Chissà che in un prossimo futuro io non la affronti in questo modo. Ora è in stand by, ma non è né messa da parte, né abbandonata. Semplicemente sto andando alla scoperta di un belcanto più maturo, che è un repertorio che mi interessa particolarmente in questo momento, insieme al repertorio francese. Ho fatto più di cento recite di Gilda ed è un ruolo che mi ha dato tantissimo, tra cui l’opportunità di conoscere per esempio Leo Nucci, e stare accanto a lui è una scuola di teatro grandissima. Sono riconoscente per questo alla mia Gilda. E’ lì a “cuocere”, a migliorare attraverso altri ruoli e altre esperienze.
E parlando del repertorio verdiano c’è qualche altro ruolo che ti piacerebbe aggiungere?
Penso a Desdemona di “Otello” un giorno…mi piacere fare Medora de “Il Corsaro”, un ruolo breve ma con musica stupenda. Potrebbe esserci “Luisa Miller” o “I Masnadieri”: i ruoli del primo Verdi di agilità…
E Leonora de “Il Trovatore”?
In tanti mi chiedono di questo ruolo! Molti quando mi ascoltavano nei miei ruoli di coloratura, mi suggerivano questo e altri ruoli. Per esempio mi ricordo Ruggero Raimondi che mi disse: “un giorno sarai una Mimì stupenda”. All’epoca quasi ci rimasi male, poi capii che lui già leggeva nella mia voce quello che poi è stato: c’erano degli armonici e un corpo che lui vedeva in prospettiva. La stessa cosa per Leonora. Però lo cantano voci imponenti. E’ vero che è uno dei ruoli più belcantisti e ha delle somiglianze con Lucia, ma anche delle profonde diversità, e quando si pensa ad un ruolo bisogna pensare prima tutto a quest’ultime. Una cosa è Norma che rimane circoscritta nel belcanto e in un’orchestrazione belliniana, un altro è “Il Trovatore”….Ci sono tanti ruoli “miei” che voglio fare prima, senza mai ovviamente confondere chi mi ascolta. Il mio pubblico va rispettato e deve capire che io ho un percorso ben delineato nella mia testa, che sto seguendo e studiando, con tanto rispetto per loro e per me. Sono sempre molto critica, quasi “cattiva”, con me stessa. E’ la stessa “cattiveria” che ho con le mie allieve…Da qualche anno insegno ed è un’esperienza che mi ha dato e mi dà tantissimo. Non avrei mai immaginato di iniziare ad insegnare così giovane.
Mi trovavo in Giappone per fare “La Traviata” e all’Università di Tokyo mi hanno chiesto di fare una masterclass con quattro allieve e duecento uditori….sono arrivata all’insegnamento direttamente “in grande” (ride). Quel giorno uscii dall’università pensando a quanto mi era piaciuto e quanto ero soddisfatta di vedere che le cose che dicevo avevano un risultato subito, nell’immediato. Vedevo le espressioni degli uditori e capii che avrei potuto dedicare un po’ di tempo a questa attività. Non avendo molto tempo a disposizione ho dovuto ovviamente fare una cernita delle persone da poter seguire. La mia prima allieva è stata Francesca Benitez, che sta vincendo tantissimi concorsi, facendo cose stupende e che ha cantato al Concerto “Fuoco di gioia” al Teatro Regio di Parma, grazie alla fiducia che Paolo Zoppi ha avuto in quello che io gli avevo detto, e il suo “Caro nome” ha avuto un grandissimo successo, e io piangevo dietro le quinte come se lo avessi cantato io. Tra le altre allieve ricordo Adelaide Minnone, un mezzosoprano di ventidue anni, che ha già partecipato e vinto a due concorsi. Sono soddisfazioni, che condivido con mia madre, la quale le segue costantemente quando io sono impegnata: la scuola e la tecnica sono le stesse, essendo mia madre la mia insegnante.
Com’è Desirée insegnante?
Bisognerebbe chiederlo alle ragazze! Cerco di essere molto “umana”, di rivedermi in loro. Non voglio essere Desirée Rancatore, che ha fatto ventun anni di carriera e che si “erge”, ma cerco di ricordarmi com’era Desirée ventuno anni fa, quando andavo a Roma da Margaret Baker-Genovesi, o quando studiavo con la mamma a casa. Cerco di essere una linea guida per queste ragazze, prima di tutto dal punto di vista umano e poi da quello artistico. Sono severa, ma perchè lo sono anche con me stessa, e poi perché so che nessuno al di fuori della stanza dove facciamo lezione, perdonerà e regalerà loro mai niente. A me non è stato mai regalato nulla, neanche oggi: ho sempre lavorato e mi sono guadagnata tutto da me, mettendo sempre la faccia. Cerco di insegnare loro questo: non posso dire che diventeranno delle cantanti che saliranno sul palcoscenico, dove tutto sarà meraviglioso. Non è così. Le devo forgiare senza toglierli i sogni. Credo però (a quanto mi dicono loro) di riuscirci. Ogni tanto mi dicono che sono severa, ma anche mia madre d’altronde lo è stata, e lo è, con me. La signora Baker era più “politically correct”, ti diceva le cose con un certo “savoir faire” un po’ anglosassone. Siccome penso di avere avuto delle maestre di rilievo e “giuste”, penso che la severità faccia del bene.
Ricordiamo un po’ i prossimi impegni…
Innanzitutto Norma, che incombe, poi “Fra’ Diavolo” di Auber al Teatro Massimo di Palermo, che sarà il quarto debutto, dopo “Le cinesi” di Gluck, che ho cantato a Valencia con Fabio Biondi, Valencienne, Norma…
Anche Zerlina è un ruolo per una grande virtuosa…
Faremo la versione francese e quindi come a Roma (dove è nata questa produzione) credo che non ci sarà la grande e celebre aria che tante virtuose hanno cantato (in italiano). Il ruolo però nel suo sviluppo richiede molto virtuosismo e agilità, che mi piace sempre molto…
A Palermo ci sarà poi una prima compagnia quasi interamente siciliana…
La Sicilia ha dato i natali a tanti cantanti della mia generazione. Prima di me ci sono stati Vincenzo La Scola, Pietro Ballo, Simone Alaimo, Lucia Aliberti, Salvatore Fisichella, per non parlare di Giuseppe Di Stefano o di Mariano Stabile: sempre tante voci importanti. Io sono stata diciamo una pioniera di questa generazione e mi fa tanto piacere che ci siano tantissimi siciliani nei teatri più importanti del mondo. Voglio ricordare Giorgio Misseri, che è qui a Verona con me, è Camillo de Rosillon: siamo la coppia degli innamorati palermitani (ride)….
Qual è la sensazione di lavorare nel teatro della propria città?
Non riesco mai a vederlo come un luogo di lavoro. Io sono cresciuta al Politeama, perché il Massimo è stato chiuso per più di vent’anni. Io ho riaperto il Teatro Massimo: la prima opera in cartellone era “Aida” e la seconda era “Den Rosenkavalier”, dove io ventunenne cantavo Sophie, un ruolo molto importante e bellissimo. Esiste anche un DVD, con Ildiko Komlosi, una grande anche lei, con la quale formavamo una coppia da sogno. Lei era già grande e io ero una piccola Sophie molto promettente, in questo ruolo scritto in maniera complessa, ma bellissimo.
A proposito c’è qualche ruolo tedesco che ti piacerebbe affrontare?
Ce ne sono tantissimi. Ormai non è più tempo, ma mi sarebbe piaciuto fare Zerbinetta. L’avrei fatta tanto volentieri, ma non è arrivata….
E qualche Mozart?
Con Mozart sfondi una porta aperta! Mi piacerebbe debuttare Donna Anna, Pamina, Susanna e la Contessa. Mozart è stato il compositore che più mi ha contraddistinto nella prima decade della mia carriera, è stato praticamente il mio “compagno di banco”. I teatri forse se ne sono dimenticati ma ho fatto Regina della notte, Konstanze, Blondchen, il Requiem. Mi manca il Mozart italiano, soprattutto Donna Anna che sarebbe ideale per me. L’aria la canterò prossimamente in un recital in Giappone, insieme all’aria della Contessa. Tutto arriva per chi sa aspettare, per cui sono sicura che arriveranno anche questi ruoli….
Grazie a Desirée Rancatore per la disponibilità e In bocca al lupo!
Ieri, Oggi, Domani, Opera! nasce nel 2011 da due giovani studenti veronesi con l'amore per la musica. Dal 2016 si è creata una redazione di giovani da tutta Italia che portano il loro contributo su questa piattaforma che racconta il mondo dell'Opera a 360°, con recensioni dai più grandi teatri italiani e non solo e interviste ai più importanti personaggi del mondo operistico.
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