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©Nicola Malnato

É emozionante vedere un’interprete commuoversi raccontando i personaggi che “vive” sul palcoscenico: vedere i grandi occhi di Elisa Balbo lucidi e brillanti, mentre descrive gli stati d’animo di Violetta Valery. Il soprano ligure rappresenta una delle più promettenti interpreti italiane sui palcoscenici internazionali. Dopo un’estate all’insegna di tre importanti debutti “tragici” (Anna in “Maometto secondo”, Violetta Valery e Liù), ha recentemente debuttato al Teatro Filarmonico di Verona il ruolo di Hanna Glavari ne “La Vedova Allegra”. Proprio in quell’occasione abbiamo avuto il grande piacere di intervistarla e di parlare dei suoi personaggi e dei progetti futuri….

Com’è nato il tuo amore per il canto?
Quando avevo quattordici anni suonavo in una band rock, e il mio lavoretto estivo era suonare nei locali del ponente ligure il rock anni ’70 (Deep Purple etc…) fino alle tre del mattino. Mi piaceva cantare e nel momento in cui dovevo andare all’università (ho frequentato la Bocconi, quindi già un anno prima dopo i test, sapevo di doverci andare), ho cercato una scuola di musica a Milano, per avere una distrazione dallo studio. Ne ho cercata una su internet, e la prima che ho trovato era il Conservatorio “G. Verdi”. Mi informo sul conservatorio è vedo che gli unici corsi sono di canto lirico e che c’è bisogno di fare un esame di ammissione, un’audizione con un programma specifico. Per me era una cosa assurda. Sono andata dunque in una scuola di Sanremo e mi sono preparata, soprattutto sul solfeggio, di cui ho dato l’esame da privatista prima di andare a Milano. Quando andavo in conservatorio vedevo tutte questi ragazzi che studiavano tantissimo, io invece avevo uno spirito più libero, mi divertivo ad andare a lezione e ad imparare le trame delle opere. Mi sono innamorata. Mi sono laureata alla triennale, ho fatto la specialistica e dopo un master in Cina per studiare Economia Internazionale e avevo già in programma di fare un dottorato. Ho avuto però un mese di crisi totale, in cui mi sono chiesta se davvero volevo fare quello per cui avevo studiato, o fare qualcosa che mi divertiva. Ad un certo punto mi sono detta: voglio fare la cantante lirica! L’opera lirica ti ubriaca talmente tanto, che diventa una forma di dipendenza

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©Sergio Alberto Gonzalez

Il tuo ultimo debutto è stata Hanna Glavari ne “La Vedova Allegra”: un ruolo da vera Diva.
Assolutamente sì. Me la sono goduta molto, non essendo io molto diva. E’ stato difficile entrare in quello stato psicologico di Hanna del farsi ammirare da tutti, con quello stile da grande Diva “alla Wanda Osiris”. Non essendo una regia nata e montata su di me, il lavoro è stato doppio. In questi casi ti devi plasmare su qualcun altro, perché anche gli altri personaggi si aspettano di vedere e di avere da te una determinata presenza con determinati gesti, che non fanno parte del “mio” sentire dell’essere Diva. Se io penso al mio essere diva trovo sempre una certa freschezza che fa parte della mia personalità. Il distacco “altezzoso” non fa parte di me, anche se io nella vita non sono forse molto espansiva. Qui si cercava qualcosa di diverso. All’inizio per me è stato molto complicato entrare nell’ottica del personaggio, perché pur immergendosi in esso, non è mai facile distaccarsi da sé stessi. Ho cercato di interpretare qualcun altro, portando però me dentro. Piano, piano mi sono accorta che il personaggio lavorava dentro di me e riusciva a venire fuori con le mie caratteristiche personali e con una “mia” vena di freschezza. Ho deciso di divertirmi, come se fossi ad una festa, dove c’è il ragazzo di cui sono innamorata, e devo fare di tutto per far sì che sia lui a venire da me e non viceversa. Alla fine ho creato una “mia” Hanna Glavari, giovane e smaliziata, una versione 2018. D’altronde le donne sono uguali in tutte le epoche: cambiano gli abiti, ma i sentimenti sono gli stessi. Hanna è poi assolutamente smaliziata, una ragazza di campagna che è diventata miliardaria: sa perfettamente come funziona il mondo e sa che tutti pendono dalle sue labbra perché è diventata ricca. Quello che pensa è che prima di diventare ricca nessuno l’ha mai considerata, non le hanno fatto sposare il ragazzo che amava a causa del divario sociale. Ora sono tutti ai suoi piedi e lei vuole divertirsi e riscattarsi. Penso sia modernissimo, anche se ovviamente il riscatto di Hanna non è lo stesso di noi donne del 2018. E’ una donna che si è fatta da sola e che vuole prendersi quello che vuole.

Per una cantante del 2018 indossare anche gli stupendi panni di Hanna (disegnati da William Orlandi) è un sogno…
E’ girata per il dietro le quinte una vignetta molto divertente, con i tre vestiti di Hanna abbinati a tre cioccolatini. Questo è uno spettacolo davvero stupendo, dalla regia, alle magnifiche scene che davvero ti trasportano nell’atmosfera della Belle Époque. È davvero magico anche per il pubblico. Mi sono sentita affascinante e corteggiatissima. Mi sono divertita moltissimo a fare lezioni di danza.

20171021_120647Non abbiamo ancora parlato del lato musicale del personaggio…che comprende anche il passaggio dal canto al parlato…
Non dirò che sia stato facile il passaggio al parlato. Ho dovuto prendere le “misure”, soprattutto all’inizio, essendo io abituata a cantare, e quindi con una drammaturgia creata dal compositore e dalla sua musica. Nel canto devi mettere la tua interpretazione emotiva e vocale, nel parlato non c’è la difficoltà del canto, ma quella della creazione del “tuo” tempo, che se non l’hai mai fatto devi veramente prenderne le misure, anche nel confronto con gli altri. Ci deve essere un’intesa nel parlato, che è meno immediata rispetto a quella del canto. All’inizio dovevo capire come gestire la mia voce parlata, senza rischiare di risultare una “ragazzina”, proiettando invece la voce nel modo giusto. Ogni giorno era dunque una sperimentazione e poi conoscendo i colleghi e capendo come loro proiettano la loro voce, li segui e rispondi a loro, sempre più spontaneamente, perdendo la macchinosità della sequenza teatrale. Diventa tutto più spontaneo e naturale: come se quelle frasi non escano da un copione ma siano reali e immediate. La prima settimana tornavo a casa e davanti allo specchio ripetevo le batture, cercando di ricreare la scena e di capire il gesto che si accompagnava alla parola. Con la musica questo è onestamente molto più facile, perché è lei stessa a suggerirtelo: penso ai grandi valzer della Vedova…ti viene naturale aprire le braccia ed essere una Signora! Nel parlato nessuno veramente ti aiuta, devi creare tutto tu! Non importa se è un ruolo che è considerato per una Diva avanzata: non ho sofferto nessun confronto con chi mi ha preceduto. E’ un ruolo che ha una tessitura che scende spesso nel registro grava, ma il segreto è non spingere. Il grande regalo è la romanza della Vilja: frasi lunghissime con fiati lunghissimi, dove si può giocare con i forti/piano, ritenuti. Con il Maestro Alapont c’è stata una bellissima intesa, e durante le recite mi allungava i tempi per lasciarmi libera di fare i bellissimi filati che in questo genere sono assolutamente concessi. E’ un personaggio che mi mancherà: finalmente non sono morta (ride)!

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©EM Soós György

L’ultimo debutto è stato il tragicissimo ruolo di Liù..
Ho fatto un’estate tragica (ride): a luglio ho cantato Anna in “Maometto secondo” di Rossini a Bad Wildbad, poi Violetta ne “La Traviata” e infine Liù in “Turandot” a Sassari. Quest’ultimo è un personaggio che mi dà moltissime soddisfazioni. A Sassari cantavo accanto a Walter Fraccaro, che è un grandissimo Calaf, e Rebeka Lokar, che è una grandissima Turandot. Io mi sentivo la “piccolina” del gruppo in tutti i sensi (ride). Walter un giorno con il suo accento veneto, mi ha detto: “menomale che mi hanno messo questo “Nessun dorma” se no andavamo tutti a casa”. Il ruolo di Liù sarà forse breve, ma parla al cuore ed è il vero amore di Puccini. Ha veramente tutto, a partire dalla sua infinita dolcezza. L’ho sentito molto affine a me, perché io ho molta di questa dolcezza e fragilità, anche sulla scena, essendo molto minuta riesco anche fisicamente ad esprimere una certa delicatezza, unita però alla forza interiore. La dolcezza non è mai una forma di debolezza interiore, ma può essere invece una grande forza. Liù è la summa di tutto questo sentire. Lei salva tutti con la sua dolcezza: non aveva altra arma se non questa. Vocalmente ha tutto, con questi filati bellissimi su cui adagiarsi. Ha una vena drammatica, sempre contenuta dalla sua dolcezza e dal suo lirismo: in contrapposizione piena con Turandot. E’ stata una grande soddisfazione, soprattutto quando c’è stata la prima aperta ai giovani: quando sono uscita urlavano in coro “Liù! Liù!”.

P1790333Violetta è il ruolo dei sogni per tutti i soprani…raccontaci di questo debutto.
La Traviata è l’opera del sacrificio: Violetta dice che Dio perdona, mentre gli uomini no, soprattutto l’uomo che lei ama. E’ un’opera che contiene una grande tristezza: è una piccola donna che ha una grandezza d’animo incredibile. Non è una regina o una figura storica. E’ una donna semplice che capisce la profondità di come si muove il mondo. Il mondo non ti perdonerà quello che tu farai nella tua vita, mentre Dio sì. E’ fortissimo tutto questo. Il primo atto, quello più frivolo se vogliamo, ha l’aria e la cabaletta, che sono uno scoglio per una cantante, ma l’opera vera inizia nel II atto, anche se l’inquietudine di Violetta è già presente, fin dal primo atto. Pensiamo a quante volte muore Violetta: forse è già morta, perché la società e il contesto umano non la lasciano vivere, e poi anche la malattia le impedisce di vivere. Quando arriva Papà Germont e lei canta “Ah, dite alla giovine” muore una prima volta. E’ condannata. La seconda morte è quando Alfredo le tira addosso i soldi: lei ha sacrificato tutto per lui, che non l’ha capita e non l’ha lasciata vivere. La terza morte è quella fisica. Nella sua piccolezza come donna è un personaggio di una grandezza commuovente. A fine recita ti senti completamente esausta, con il cuore a mille pezzi. Un vero calvario, che l’interprete vive. Ci sono poche opere che hanno questa forza, e che contengono un tema così grande come il sacrificio. Violetta credo che sarà un ruolo che lascerò in un angolo a maturare, perché mi tocca tantissimo e mi dà forti inquietudini. Credo che io debba sedimentarlo per poter avere la capacità di toglierlo dal mio cuore, per poter trovare la freddezza di interpretarlo: il pubblico si deve commuovere, ma tu devi avere il controllo.

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©Andy K. Photography

Torniamo però al tuo primo ruolo rossiniano: Anna del “Maometto secondo”….
Una donna che si suicida con una scena di grande pathos, che va creata con un cura, perché c’è sempre il rischio di rovinare la scena candendo nel ridicolo: l’opera più difficile che io abbia mai fatto. Come tutte le cose belle è arrivata anche questa per caso. Ero a Bologna e passa di lì il Maestro Antonino Fogliani, che io credo sia un musicista eccezionale che vi invito ad andare ad ascoltare. Mi ha detto di andare da lui per fargli ascoltare qualcosa, mi ha chiesto se avevo qualcosa di Mozart pronto. Poi mi ha chiesto se io sapessi qualcosa del “Maometto secondo”: io non ne conoscevo una nota. “Tu la puoi fare!” mi ha detto. Eravamo nel mese di maggio. Mi telefona il mio agente e mi rassicura sul ruolo, dicendomi che non è così difficile e che confermava al teatro. A giugno iniziavano le prove della produzione di Bad Wildbad. Sono andata a casa con lo spartito e ho letto la parte: per un mese e mezzo non ho dormito, andavo a letto con lo spartito, mentre mi facevo la doccia ripassavo le agilità. Non avevo mai cantato Rossini ed è stata una delle cose più belle che mi siano capitate: mi ha aperto un mondo. L’opera è lunghissima, il ruolo è lunghissimo, ma ho capito davvero che con lo studio e con la tenacia non ci sono limiti. Avevo poi dei colleghi straordinari, come Mirco Palazzi nel ruolo di Maometto. Ne hanno fatto anche un DVD. Hanno vinto Fogliani e il mio agente con il loro intuito e io con me stessa. Quest’anno che è l’anno rossiniano ho molti impegni rossiniani. Vorrei indirizzare dunque la mia carriera verso il belcanto serio, partire da Rossini per poi affrontare anche titoli di rara esecuzione, di cui non esiste (o quasi) un’incisione discografica, e quindi non ci sono paragoni e c’è la libertà di creare il “tuo” personaggio.

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©Andy K. Photography

Ci sono dei titoli che hai già in mente?
Sono tantissimi: fra molti anni il mio “sogno proibito” sono le regine di Donizetti. La prima potrebbe essere Anna Bolena. Un’altra Anna che mi piacerebbe fare è la Donna Anna di “Don Giovanni”. Un’altra opera che io ho nel cuore, e che spesso non viene apprezzata abbastanza, è “I Capuleti e i Montecchi”. L’aria di Giulietta (“Oh, quante volte”) la canto spesso nei concerti. Molti la considerano un’opera noiosa, ma è una delle mie preferite perché c’è tantissima sensualità, che molto spesso viene dimenticata. Un personaggio dolcissimo, nel quale mi rispecchio molto, una dolcezza, mista a sensualità. Nell’aria dice che aspetta Romeo, che ogni rumore e ogni soffio di vento, le sembra il suo sospiro, il brivido di piacere del respiro di Romeo sul collo. Nel recitativo dice “Ardo” non “lo attendo” per esempio. Ci si dimentica in questo personaggio fanciullesco il suo aspetto di grandissima sensualità, perdendo la metà dell’essenza dei personaggi, perché anche Romeo lo ha. Penso anche alla seconda aria di Giulietta “Morte io non temo”: c’è così tanto coraggio e così tanta passione. Sono opere che vanno riscoperte in una “chiave 2018”. La stessa cosa vale anche per la Juliette di Gounod: lì è l’apoteosi della sensualità, penso al duetto dell’allodola e dell’usignolo (“Va! Je t’ai pardonné”); Una Juliette all’Arena sarebbe un sogno!

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©Domenick Gilberto

Il ruolo che forse hai cantato di più è Mimì ne “La Bohème”….qualche altro ruolo pucciniano all’orizzonte?
Ho cantato sia Mimì che Musetta. La prima è un altro di quei personaggi dolcissimi e fortissimi: la donna lirica di Puccini. Ho pensato che siccome mi piacerebbe intraprendere diciamo questo “tour” belcantistico, e premesso che Puccini è l’amore della mia vita, potrei affrontare ancora “La Bohème”, “Turandot” e magari aggiungere “La Rondine”, ruolo che ho studiato e con il quale mi sono laureata. E’ un ruolo che mi piace tantissimo, che mi permette di “sguazzare” in questi filati e queste sfumature. Magda è un’Hanna Glavari incrociata con Violetta. E’ una donna totalmente pucciniana. Nonostante i balli, la scena del travestimento per andare da Bullier, non è affatto un’operetta. Nel primo atto ha già due arie, la prima (“Chi il bel sogno di Doretta”) il pubblico la aspetta ed è come una “spada di Damocle”. Mi piace tantissimo cantarla con tutte le sue morbidezze, ma amo follemente la seconda “Denaro…nient’altro che denaro”, in cui lei si rivolge alle sue amiche. Lei è una mantenuta, ma ha nostalgia della gioventù, dell’incontro con un ragazzo. E’ il gusto delle cose non vissute, quelle emozioni che non hai provato, perché considerate folli e fuori dagli schemi e dai dettami della società da inseguire.

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©Nicola Malnato

E’ assolutamente attuale: quante persone inseguono il denaro e il successo e poi stanno a ripensare per anni, a quel momento di pura magia in cui hanno incontrato quella persona che gli ha fatto girare la testa, ma a cui hanno rinunciato per la loro vita professionale o per la comodità del loro status e non hanno così vissuto l’avventura con questa persona. E’ un ricordo che rimane per sempre. Ci sono infinite possibilità: come essere un albero in cui imboccato o tagliato un ramo, non si può più tornare indietro. Lei ha nostalgia di sé stessa. Si è innamorata di quello che non è più e per questo che non funziona. Il finale è completamente aperto, perché l’opera mette in scena la vita. Non ci si può aspettare che un film abbia sempre un finale chiuso. Un po’ “alla” Woody Allen: il film sembra finito, ma c’è un qualcosa che rimane aperto. Non sappiamo cosa succeda a Magda e Ruggero alla fine dell’opera, magari si rimetteranno insieme, chissà! E’ assolutamente geniale. E’ come quando si dice che bisognerebbe alzarsi da tavola sempre con un po’ di appetito, per dopo avere fame la sera: ecco la Rondine ti lascia l’appetito. E’ un’opera meravigliosa. E se qualcuno la vuole chiamare operetta non è affatto dispregiativo: la musica è sempre musica! L’importante è come la si renda. Ci si può emozionare con una piccola canzone, così come con i “Vier letze Lieder” di Strauss, che ho cantato ed amato.

Tornando all’operetta, ci sarebbe qualche altro ruolo di questo genere che ti piacerebbe affrontare?
Il limite sta nella lingua, perché non parlo il tedesco, non lo capisco e non riesco ad impararlo! Parlo francese, essendo nata sul confine, e c’è un vasto repertorio in quella lingua che mi piacerebbe affrontare! I tre sogni sono Thaïs, Juliette e Manon. Quest’ultima un’altra Hanna Glavari, ma nella tragicità più totale. Anche questo un ruolo che ha tutto: la liricità, il dramma, le agilità, la linea vocale francese….un pot-pourri di bellezza!

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©Nicola Malnato

Sei indubbiamente una Diva 2.0, quanto conta oggi l’immagine e il mondo della moda nella lirica di oggi?
Ho indossato qualche abito di Antonio Riva, e ora spesso nei concerti mi veste Chiara Boni, con le sue creazioni di grande femminilità, contemporaneità e assoluta eleganza. L’anno scorso ho vestito Dior per Lampoon, un’importante rivista di moda, e ho cantato a Shangai per Valentino. Nell’opera e nella moda si parla sempre di una cosa: la bellezza. La bellezza ha tantissime sfaccettature, e non è una cosa superficiale. Lo è se la si guarda attraverso gli occhi di uno stereotipo sociale. La moda non è superficiale: pensiamo a Coco Chanel, una donna che ha rivoluzionato il mondo femminile nella società, tutto attraverso la bellezza. Penso che il mondo spesso si dimentichi della bellezza, e non pensa a quanto una persona possa essere felice a trovarsi immerso nella bellezza. Non è una cosa che riguarda lo status sociale, e l’avere oggetti di un certo marchio: quella non è bellezza, è il possesso. La bellezza è creare qualcosa che dia piacere all’anima, e può essere qualcosa di musicale, visivo, sensoriale. La moda è un’arte, e forse rispetto a molte altre arti parla è ancora più comunicativa, più vicina alla gente. Dunque la moda può essere al servizio della lirica: penso ai costumi di Valentino per “La Traviata” al Teatro dell’Opera di Roma. Può avvicinare anche un nuovo pubblico, che non arriva dalla porta principale del teatro, ma attraverso la moda. La moda come la lirica è promozione di arte e di bellezza. Bisogna abbandonare lo snobismo, perché attraverso di esso non si comunica bellezza. Comunicare bellezza, anche attraverso operazioni diverse: io per esempio ho fatto diversi concerti più popolari, cantando sempre l’opera, perché quella è la mia musica, però facendo sentire al pubblico quanto è bello. Magari quel pubblico dopo quella sera andrà in teatro. Conosco tantissime persone che sentono della musica a quegli eventi e mi chiedono da che opera era tratta l’aria che ho cantato e poi vanno in teatro a vedere uno spettacolo. Per me è un successo, e mi rendo conto che allora ne vale la pena davvero. Certo, io voglio affrontare dei titoli in palcoscenico, non sempre popolari, come “Maometto secondo”, ma se ad un concerto canto Delibes e la gente apprezza quella musica “di nicchia”, quell’esibizione acquista un grande valore.

Grazie Elisa per la disponibilità e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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