
Meritato tripudio al Comunale di Bologna per il capolavoro Pucciniano nella nuova produzione Mariotti-Vick che apre la Stagione 2018.
E’ un successo largo e meritato quello che “La Bohème” di Giacomo Puccini raccoglie nel teatro felsineo in questo inizio di Stagione che vede l’affermarsi di un cast eccellente e di uno spettacolo nel complesso ben ideato e realizzato.
Un’Opera celebre, quella del compositore toscano, che in passato ha visto in questa sala grandi nomi contribuire ad acuirne la fama e la popolarità e che, si può dire, vede in questa edizione un punto di riferimento per il futuro.
Graham Vick supera la prova non facile di non stravolgere senso e struttura pur ricorrendo a un’attualizzazione della vicenda. Lo fa curando in maniera minuziosa e certosina, con un risultato impeccabile, la caratterizzazione di ogni personaggio in scena, lavorando sulla recitazione, sugli sguardi, sulle movenze senza tralasciare alcun dettaglio. Ogni indicazione degli autori viene rispettata e nel complesso tutto fila con senso logico e senza contraddizioni.

Non vi sono tracce di fastidiose trovate volte a scandalizzare, stupire o sottolineare qualcosa che è frutto della mente del regista e di questi tempi è cosa rara. Insomma, ogni gesto è pensato per essere naturale e quasi pare che La Bohème sia stata scritta per essere così, una storia universale ma al tempo stesso perfettamente verosimile a tante storie di oggi, reale. E soprattutto cruda, lontana da una visione macchiettista, mielosa e sdolcinata. Di grande interesse e impatto il finale, in cui Rodolfo scappa via, quasi a volersi liberare di Mimì e del suo ricordo, una parentesi infelice, un incubo che non ha più la forza di reggere. Lei rimane lì, sdraiata e sola in quel desolante vuoto appartamento, con le ultime toccanti e sofferenti note degli archi.
Le scene sviluppate in orizzontale e i costumi, entrambi di Richard Hudson, in questo senso sono ben fatte e contribuiscono all’obiettivo, così come le luci, ben studiate, di Giuseppe Di Iorio. Funzionali gli allievi della Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone”.

La magia di questa Bohème deriva pero’ dalla sinergia delle parti per il tutto.
Michele Mariotti, al debutto nel titolo, dirige in maniera sublime. Le sue sono autentiche pennellate di suono che trasmettono le medesime emozioni, spontanee, profonde. L’attenzione è massima sotto ogni punto di vista: espressività, dinamiche, colori e tempi, vanno mano nella mano con i cantanti, con la regia e con lo spettatore e le sue sensazioni in quello che è un vero e proprio rapimento. Complice di tale miracolo è l’Orchestra del Teatro Comunale. Ottimi risultano anche il Coro e il Coro di Voci Bianche, preparati dai Maestri Andrea Faidutti e Alhambra Superchi.
Gli interpreti, lo si può affermare con fermezza, sono tra i migliori sulla scena internazionale, sotto il profilo vocale, musicale, interpretativo. La sensazione è quella che questi giovani siano essi stessi i personaggi della trama, per la naturalezza espressiva e l’età media che li contraddistingue.

Francesco Demuro è un Rodolfo assai convincente che troviamo migliorato anche rispetto alle ultime prove. Sempre attento a colori e dinamiche, il suo è un canto argenteo e sincero, uniforme ed equilibrato in ogni registro, che svetta particolarmente bene in acuto e ci regala pagine di grandi emozioni dalla celebre “Che gelida manina” al drammatico finale. Emergono in lui le contraddizioni di un ragazzo che sogna e soffre e che alla fine cede al peso delle vicende che lo sommergono.
Mariangela Sicilia: che sorpresa! La sua Mimì incanta con una voce piena, ricca, fresca, di rara bellezza, per certi aspetti non lontana come timbro da quella della grande Mirella Freni. Tecnicamente solida, anche sotto il profilo interpretativo la sua è una prova encomiabile. Ognuna delle splendide arie che le competono smuove il pubblico in un crescendo che la porta ad un finale da brividi.

Hasmik Torosyan, affascinante Musetta, non sconfina mai nello scimmiesco eccessivo cui tante ci hanno costretto, è esattamente la ragazza capricciosa, esuberante e viziata e al tempo stesso l’animo sensibile del quarto quadro. Protagonista assoluta al Cafè Momus, anche dal punto di vista vocale si disimpegna distintamente.
Nicola Alaimo è una conferma grandiosa: il suo talento attoriale sul palcoscenico è irresistibile e trova, in questa produzione, possibilità di essere pienamente espresso. Anche sotto il profilo musicale la bellezza del timbro, la padronanza del personaggio e la naturalezza ne fanno un interprete eccezionale.
Molto bene lo Schaunard di Andrea Vincenzo Bonsignore, perfettamente credibile nella sua parte che lo vede particolarmente coinvolto emotivamente nel quarto atto, quando sembra l’unico realmente vicino alla morente Mimì, mentre tutti gli altri si dileguano di fronte alla dura realtà.

Evgeny Stavinsky è un Colline dalla suggestiva voce calda e ben dosata. La sua “Vecchia Zimarra” è da manuale. Infine completano dignitosamente il cast Bruno Lazzaretti (Benoit/Alcindoro), il giovane Guang Hu (Parpignol), Michele Castagnaro (Sergente dei doganieri), Raffaele Costantini (un doganiere), Martino Fullone (un venditore).
Pubblico entusiasta e grande successo generale per quella che è stata sicuramente una delle più riuscite Bohème degli ultimi anni nel panorama nazionale e non, oltre che una delle migliori produzioni del Teatro bolognese. E chi ben comincia è già a metà dell’Opera!
Grigorij Filippo Calcagno
Bologna, 21 gennaio 2018