ballo-2011_0004.jpgLa nobiltà, l’eleganza, un timbro di puro velluto: sono queste le caratteristiche che hanno fatto di Vladimir Stoyanov uno dei più eccellenti baritoni dei nostri giorni. Quando canta Père Germont ne “La Traviata” l’opera potrebbe pure cambiare nome in “Germont”, tanto è l’identificazione con il personaggio. In questi giorni veste i panni di un altro emblematico personaggio verdiano: Jago in “Otello” al Teatro Filarmonico di Verona. Un ruolo per il quale possiede il fascino e il “saper dire” necessario per renderlo tanto odioso, quanto mellifluamente irresistibile. Durante le prove siamo riusciti ad intervistarlo e a parlare di questo difficile e del suo rapporto con il Padre Verdi.

Com’è nato il tuo amore per l’opera?
Da che mi ricordi ho sempre cantato e suonato. Fin da molto piccolo si vedeva che possedevo un talento, ero molto musicale. Appena trovavo un pianoforte mi mettevo a suonare, inventavo delle melodie e poi aggiungevo la mano sinistra. I miei genitori hanno intuito che c’era qualcosa da sviluppare e mia mamma mi ha incoraggiato a far lezione di pianoforte. Poi mi hanno preso nel coro della scuola e successivamente in un coro più grande della mia città. Così piano, piano mi sono avvicinato alla musica.

Savonlinnan OopperajuhlatCome ti ha aiutato lo studio di uno strumento musicale e il cantare in un coro nell’esperienza successiva?
Sono cose che arricchiscono davvero tanto, soprattutto lo studio dello strumento. Il pianoforte è uno strumento fondamentale per la cultura musicale in generale, sviluppa la creatività, anche il pensiero immaginativo che fa parte anche del canto. Suonando uno strumento il cervello elabora un “quadro” molto ricco. Per me il canto è sempre un’immaginazione, un quadro ricco di colori, di sfumature, di luci e di ombre. A parte ci sono le cose basilari per il mestiere: le note, l’armonia, la polifonia….elementi basilari per la musica. Molti pensano che cantare un’aria dia la possibilità di poter fare una carriera, ma invece è un percorso molto lungo. Per preparare una carriera ci vuole tantissimo tempo, e non solo nella musica, ma in tutti i campi. Per il canto è una preparazione particolare, perché è uno strumento che non si vede e non si può toccare: non è un violino e neanche un pianoforte, è uno strumento che bisogna  immaginare , super sviluppato e allo stesso tempo sconosciuto. Noi dobbiamo conoscerlo immaginando la sua esistenza e la sua posizione. Per questo motivo un cantante lirico dovrebbe fare un percorso molto serio e molto lungo. Non basta un mese, un anno…neanche cinque anni di conservatorio. I frutti che ti dà il canto arrivano molto molto lentamente, ed a volte non è nemmeno detto che arrivino. Il contatto con il canto è molto affascinante. E’ una magia. Per me è stato così e continua ad esserlo.

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©A.Chakalov/V.Levi “Studio Chale”

Il tuo paese, la Bulgaria, è una terra di grandi voci (Boris Christov, Ghena Dimitrova etc…): in che modo la vostra cultura è legata a quella dell’opera italiana?
La Bulgaria ha dato tantissimi grandi cantanti al mondo, e io ho avuto la fortuna di conoscere Ghena Dimitrova, Nicolaj Ghiaurov, Raina Kabaivanska, Anna Tomowa-Sintow. Io dico sempre che gli italiani e i bulgari sono molto diversi, ma molto simili come cultura e sensibilità e il modo di vedere e il gusto. La Bulgaria appartiene ad un altro ceppo linguistico ma c’è una vicinanza con l’Italia. I cantanti bulgari sono sempre riusciti ad essere molto presenti ed apprezzati nei teatri italiani, e nel mondo per il loro modo di cantare, il loro colore e il modo di interpretare la musica e il testo. Questo mi ha dato sempre grande fiducia e grande speranza andando avanti nel mio mestiere.

 

Il cantante bulgaro che però ha un posto speciale nel tuo percorso è Nicola Ghiuselev: un ricordo di questo grande artista.
Ghiuselev ha veramente un posto speciale, perché stato il mio maestro. Nicola è stato per me una persona molto importante, non solo dal punto di vista canoro, ma soprattutto come essere umano, amico, come una figura maschile di riferimento. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto molto profondo nella mia memoria e nella mia vita. Tra le tante cose che mi diceva, non mi dimenticherò mai di una: “Vladimir, devi ricordare sempre che la carriera di un cantante non si misura in altezza, ma in lunghezza!”. All’inizio non mi rendevo conto, ora capisco cosa voleva dire. Aveva ragione: un cantante dovrebbe costruire la propria carriera in modo che duri il più possibile e dovrebbe cercare di essere sempre costante, senza grandi sbalzi. Non è semplice farlo, ma bisogna seguire questa “formula”, perché nel nostro percorso arrivano proposte interessanti, che ti danno la possibilità di guadagnare tanti soldi in un breve periodo di tempo. Il successo immediato, tanto affascinante quanto pericoloso, proposto dai mass media in televisione e internet  in tutte le salse. Il successo “facile” che a  lungo termine potrebbe creare dei problemi tecnici alla voce, di salute, e anche alla psiche, che per un cantante è fondamentale. Più penso alle parole di mio maestro e più capisco quanto aveva ragione.

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Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Hai avuto anche la possibilità di studiare alla Scala con Magda Olivero. Cosa ricordi di quell’esperienza?
Ho fatto un masterclass con lei, breve ma intenso, stando accanto ad una grande artista. Lei era una fine intenditrice del linguaggio, della pronuncia, della finezza del fraseggio, anche parlato. Mi ricordo che anche avendo un’età avanzata, cantava sempre e benissimo, sul fiato. E’ stata un fenomeno vocale e artistico. Dovrebbe essere sempre un esempio per noi, per la serietà con cui ha costruito la sua carriera, senza mai eccessi o ruoli sbagliati: una cantante eccezionale e veramente una grande artista. Sono felice di aver avuto la possibilità di avere un contatto così stretto con lei.

Questa attenzione alla parola la ritroviamo anche in Verdi…che è il compositore che più contraddistingue la tua carriera…
Mi è sempre piaciuto il cantare legato, come elemento fondante del canto e ho scoperto che il fraseggio verdiano era molto adatto alla mia vocalità. Per questo il mio baritono preferito di sempre è Piero Cappuccilli, un vero maestro del fraseggio. L’ultimo grande baritono della grande tradizione italiana. Non perché non ce ne sono stati e non ce ne saranno altri, ma perché, secondo me, ovviamente, con lui è finita un’epoca classica. Abbiamo perso il modo “bello di cantare” perché spesso viene richiesto di caricare i personaggi con un’impronta verista. Per me Giuseppe Verdi è un maestro del Belcanto.  Mi è sempre piaciuto Cappuccilli nel suo essere come artista, cantante, fraseggiatore, interprete. Delle volte lo imito mentre studio certe arie e certi ruoli, ma non copiandolo, è diverso. Ho iniziato ad approcciarmi a Verdi con Rodrigo in “Don Carlos”, Giorgio Germont ne “La Traviata”. Ho cantato 19 opera verdiane. Ci sono poche opere verdiane che mi mancano e con calma le affronterò, sempre andando in profondità, scavando e cercando di trovare altre sfumature e altri colori dentro i personaggi dentro il canto e dentro la musica. E’ un lavoro senza fine: ogni nuova produzione ti dà la possibilità di creare qualcosa di nuovo, di trovare e di cercare. Cerco di essere sempre sereno nel mio percorso. Le delusioni certo ci sono, ma cerco di superarle sempre con serenità e fiducia nel futuro.

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©Roberto Ricci/Teatro Regio di Parma

Parlando di Verdi si parla delle grandi figure paterne…però dei padri che non sono modelli di comportamento positivo…
Più vado avanti con gli anni e con l’età e più posso esprimere in questi ruoli: Rigoletto, Miller, Guy de Monfort, Giorgio Germont….la paternità è stata una cosa importante nella vita sfortunata di Giuseppe Verdi. Una vita piena di tragedie, la paternità praticamente mancata che probabilmente è stato il fattore che ha dato la spinta per creare questi personaggi insuperabili. E’ fenomenale: Verdi che non è stato praticamente mai padre, di capire la sensibilità della paternità in maniera così profonda, è un genio, sovrannaturale, divino. La paternità è un fenomeno particolare. Essendo padre so che è un conflitto di odio/amore (soprattutto con i figli adolescenti!). Ho un figlio di diciassette anni e posso dire che ogni giorno è un rapporto diverso. Nei personaggi verdiani ovviamente questo va molto oltre: pensiamo ad Amonasro, o a Rigoletto che ha un amore malato verso Gilda, Miller che è un padre/padrone. Rigoletto praticamente uccide sua figlia. L’amore paterno è sempre “strano”, diverso da quello materno che solo un padre può capire.

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©Cory Weaver/SFO

Giorgio Germont è quasi sicuramente il tuo cavallo di battaglia…come vedi questo personaggio?
Ogni volta che canto Germont scopro e cerco di aggiungere ulteriori sfumature. A dicembre quando l’ho cantato a Salerno è stato molto emozionante, perché il pubblico era assolutamente entusiasta dopo la grande aria (“Di Provenza, il mar, il suol”). Basta una nota, un piccolo accento, un diminuendo, un pianissimo per vivere grandi emozioni. E’ molto bello, cantando spesso lo stesso ruolo, aggiungere colori, dinamiche, in un gioco che può andare all’infinito.. Quando senti la reazione del pubblico è il massimo, perché crei un’empatia con il personaggio. Questo è il nostro compito, quello di sbloccare e di aprire i “cassetti” del cuore del pubblico. Ed è  in quel momento che succede la magia. Germont è un personaggio che può essere interpretato in mille modi, e tutti giusti! in qualsiasi contesto, anche registico. E’ emblematico perché è la struttura principale per tutti gli altri personaggi, la pietra d’appoggio per tutta la costruzione. Senza Germont la vicenda non potrebbe funzionare. E’ il punto di riferimento per Alfredo, suo figlio, ma anche per Violetta. E’ lui che accelera o ferma la situazione. Quando arriva alla festa di Flora per esempio, accelera la situazione, già abbastanza tesa. Lui arriva e c’è una risoluzione. Non è un ruolo molto lungo, ma come intensità è fortissimo. Parte dall’essere un padre/padrone ad essere il padre pentito nel finale. Sinceramente lui è dispiaciuto per la morte di Violetta, non è falso. Iniziando il secondo atto in modo molto brusco, si capisce il cambiamento che subisce davanti ad una persona molto sensibile e buona com’è Violetta. All’inizio è un personaggio che non è molto simpatico al pubblico, ma riesce a creare un’empatia con il pubblico, con il punto culminante dell’aria e del finale. Lui è costretto a fare quello che fa, non vorrebbe in nessun modo perdere suo figlio. A volte però, come dicono i grandi psicologi, lasciando andare una persona, questa diventa più attaccata e affezionata a te, invece che tenendola stretta, mentre con la mente ci si allontana. Il compito di un padre è proprio quello di lasciare il figlio, perché lui poi ritorni indietro da solo. Sono personaggi che vanno studiati tutta la vita, utilizzando il proprio strumento, che è diverso per ognuno: può essere più bello, meno bello, ricco o meno ricco, ma sempre aggiungendo la nostra sensibilità al personaggio. Io cerco sempre di farlo e spesso il risultato è positivo, altre volte non tanto, ma anche questo fa parte della strada.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Veniamo a parlare di un altro personaggio dalla psiche contorta, Jago, che interpreterai al Teatro Filarmonico di Verona…
Jago per me è una persona molto intelligente, un creativo, che utilizza questa dote indirizzata male, in una direzione distruttiva. E’ un personaggio per me molto affascinante. Facendo Jago, voglio evitare di fare un personaggio cupo come è classicamente raffigurato. Jago è anche un uomo brillante, con un cinismo molto sviluppato, con la battuta facile e doppi, tripli sensi. E’ un uomo che è avanti, un sognatore. In questi giorni sto rileggendo il dramma di Shakespeare e sto scoprendo cose nuove, che nel libretto non sono presenti. Tutti descrivono Jago come un cattivo, la personificazione del male assoluto. Ma spesso la cattiveria non nasce dal nulla, va spiegata. Spesso il cattivo è un “ex buono”. Uno che ha subito tanti torti e ingiustizie, umiliazioni. Jago è un uomo molto ferito, che pensa che sua moglie sia andata a letto con Otello e Cassio. Un uomo sessualmente ed emotivamente molto frustrato. E’ anche ambizioso e molto capace, e queste sue caratteristiche creano una miscela esplosiva. Lui vorrebbe far provare ad Otello la stessa gelosia che ha provato lui, scoprendo che sua moglie, Emilia è stata con uno molto più potente di lui. A questo poi si aggiunge anche il razzismo. L’essenza della cattiveria di Jago è nel suo voler distruggere Otello perché ha sofferto del tradimento di sua moglie. Nell’opera tratta malissimo Emilia, le dice che è una “schiava impura” di Jago. Perché è impura lo si capisce nel dramma, dove è spiegato che non è stata una moglie fedele.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Molto spesso si discute sul fatto che Verdi sia stato capace di cogliere la cifra drammaturgica di Shakespeare. Qual è il tuo parere?
Secondo me sì, anche se il libretto e il dramma sono due cose diverse, Verdi è riuscito assolutamente a cogliere l’essenza della vicenda. Le opere verdiane che amo particolarmente sono Macbeth, Otello e Falstaff, i titoli in cui dalla “collaborazione” tra Verdi e Shakespeare nasce un capolavoro! Ci sono tante opere di Verdi dove la musica come sempre è meravigliosa, ma il libretto risulta più debole. Il mio Jago non sarà solo cupo e scontento, ma sarà un uomo aperto al mondo, un uomo che colpisce con la parola, con il cervello, che inganna in modo brillante e intelligente. Non è un codardo anche se alla fine dell’ opera è costretto a fuggire… E’ uno, Jago, che inizialmente piace al pubblico, affascinandolo, anche se dopo ovviamente compie tantissime cattiverie, ma resta un uomo simpatico nella sua perfidia, che il pubblico ama, perché capisce la sua infelicità. L’uomo che secondo me porta la ferita dei non amati e dei delusi. Combina e prepara la morte, la mette in scena: è il regista di una tragedia! Ovviamente bisogna rispettare l’ambiente e la regia, ma dalla mia personalità vorrei aggiungere queste caratteristiche al personaggio: un bon vivant, a cui piace la festa, piace il bere, le donne. Il brindisi per esempio è una delle pagine più geniali. Nel personaggio di Jago, scolpire le frasi come “il mio velen lavora” oppure “è un’idra fosca, livida, cieca”  è fondamentale per far capire al pubblico la perfidia e la complessità del personaggio. E che dire del “Sogno di Jago”? Pagine di assoluta genialità. Dell’aria, “Credo”, forse è superfluo aggiungere qualsiasi cosa…un monologo superbo che per l’ennesima volta sottolinea il genio di Verdi.

Quali sono i personaggi che ti piacerebbe affrontare in futuro?
Per esempio spero di fare Simone Boccanegra, un personaggio che mi attira molto, completamente diverso da tutti i personaggi verdiani che ho fatto fino ad ora. In attesa di Simone Boccanegra sto preparando “I due Foscari” che debutterò prossimamente in Italia (di più al momento non posso dire). Un’altra opera che mi piacerebbe fare e che non ho mai fatto, e sembrerà strano, è “Il Barbiere di Siviglia”. Figaro mi manca, non ho avuto mai occasione di farlo, totalmente lontano da tutti i miei soliti ruoli. Credo mi divertirebbe molto dopo tutte le opere serie che ho fatto..

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

E i personaggi baritonali veristi…
Il verismo non lo sento come parte della mia natura, e quindi sono sempre stato cauto. Gerard di “Andrea Chènier” lo canterei volentieri, naturalmente come dicono gli antichi maestri di canto “: cantando sempre con la mia voce, esaltando momenti poetici e nel massimo rispetto della partitura musicale. Al momento eviterei ruoli come Scarpia o Michele de “Il Tabarro”. Voglio seguire la mia strada, senza fare compromessi con la mia vocalità, perché questi sbagli purtroppo prima o poi si pagano.

Prossimi impegni.
Subito dopo “Otello” a Verona, andrò a Napoli per una nuova produzione del mio amato Giorgio Germont ne “La Traviata” con un grande direttore come Daniel Oren, e al Teatro San Carlo che amo moltissimo. Subito dopo farò “Un ballo in maschera” al Teatro Bolshoi di Mosca, un debutto in un’opera in questo teatro dove ho fatto solo un concerto, e quindi sarà un’esperienza nuova e una gioia incontrare un nuovo pubblico ed a fine anno un altro emozionante debutto per me al Covent Garden di Londra con una produzione di Dama di Picche di Tchaikovsky nel ruolo del principe Yeletski, gia’ affrontata con successo di pubblico e critica ad Amsterdam.

Grazie a Vladimir Stoyanov e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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