Il 6 febbraio “Otello” tornava in scena al Teatro Filarmonico di Verona per la seconda recita, con un cast del tutto rinnovato per quanto riguardava i tre ruoli principali. Il pubblico è accorso numeroso anche in questa seconda serata, da notare in particolare la grande presenza di studenti e classi intere con in propri insegnanti.
Lo spettacolo di Francesco Micheli, qui ripreso da Giorgia Guerra, si riconfermava problematico. Problematico era lo spostamento delle masse e l’individuazione dei caratteri psicologici di ogni personaggio, superficialmente ritratti e non colti propriamente nella loro essenza. La perplessità aumentava nel finale, dove ancora una volta non convince la soluzione della resurrezione di Otello e Desdemona, che camminano mano, nella mano, verso il fondo. Otello è storia di odio, di senso di colpa e di rimorso. Non convince neanche l’uso del velario, che potrebbe anche funzionare efficacemente, ma usato nella maniera corretta. Qui rovina i due momenti più attesi dell’opera: il celebre Esultate e l’altrettanto celebre Credo di Jago. Peccato perché qualche idea ci sarebbe, come la gabbia in cui vive Desdemona, ma in cui vivono anche tutti gli altri. Peccato non tutto sia ben sviluppato. Belle le scene di Edoardo Sanchi e bellissimi i costumi di Silvia Aymonino.

Antonino Fogliani dirigeva un Otello teatrale e dal ritmo ben serrato. L’orchestra suonava con timbriche lussureggianti e eccellente rifinitura strumentale. Le sonorità sono più contenute rispetto alla prima, ma ancora troppo sovrastanti sul canto, forse per un eccesso di entusiasmo che gli perdoniamo volentieri.
Tra i ruoli di fianco Giovanni Bellavia (un araldo), Nicolò Ceriani (Montano), il bravissimo Romano Dal Zovo (Ludovico) e i bravissimi Alessia Nadin (Emilia) e Francesco Pittari (Rodrigo).
Mert Süngü è un Cassio di bellissimo nitore timbrico e di ottime qualità musicali. Non vediamo l’ora di poterlo apprezzare come Percy in “Anna Bolena”, ruolo sicuramente più grato e soddisfacente, a maggio sempre in questo teatro.

Ivan Inverardi è uno Jago che rientra in una tradizione interpretativa più legata alla scuola verista, “alla” Tito Gobbi per intenderci. Vocalmente utilizza numerose finezze vocali, ma è più attento all’effetto vocale che a quello interpretativo. In questo senso è attore intenso, ma non coglie l’essenza del personaggio. Jago non dovrebbe ridere in faccia ad Otello, dovrebbe simulare sincerità, se no il rischio è quello di farlo sembrare parente di Tonio de “I Pagliacci”. Comunque Inverardi convince con la sua robusta vocalità, e un indubbia bellezza di colore vocale.
Ian Storey ha una vocalità timbricamente disomogenea, l’acuto non sempre è felice, la dizione manca di italianità…ma, ma, ma….ma il personaggio è davvero convincente. Lo è per l’accento sempre pertinente, per la capacità di sfruttare i difetti in pregi, è capace di essere commosso e commuovente nei momenti con Desdemona, nei limiti della sua vocalità stentorea. A questo si aggiunge una presenza attoriale non indifferente. Quindi tutto si può dire, ma Storey è un artista.

La vera rivelazione della serata era Karina Flores. Avevamo apprezzato il soprano già nella sua partecipazione al concerto di VeronaLirica del 28 gennaio (qui la recensione), ma con questa Desdemona ci ha conquistati. Un bellissimo timbro e una tecnica ottimale, che le permette di essere pugnace e di essere al tempo stesso tremendamente femminile. Domina il concertato del finale III atto, donando la giusta forza alle frasi “E un dì sul mio sorriso fioria la speme e il bacio…”. Il quarto atto è praticamente perfetto, e infatti l’applauso dopo l’Ave Maria è il più convinto della serata.
Lodiamo ancora la prestazione del Coro dell’Arena di Verona diretto da Vito Lombardi e il coro di voci bianche A.Li.Ve. diretto da Paolo Facincani.
Alla fine un grandissimo successo.
Francesco Lodola
Verona, 6 febbraio 2018