
Proporre un musical al Teatro San Carlo poteva rivelarsi una scelta azzardata e assai pericolosa. Il tempio napoletano dell’opera lirica si è trasformato in un palcoscenico di Broadway per ospitare una delle commedie musicali più famose al mondo: My Fair Lady. Fortunatamente per il San Carlo, questa decisione non è stata così rischiosa, anche se i problemi non sono mancati. Una delle difficoltà più avvertite è stata certamente la scelta della lingua inglese sia per le parti cantate che per quelle recitate. Molti spettatori durante il I atto hanno abbandonato il teatro, forse perché poco propensi a recite del genere, a leggere i sopra titoli in italiano e contemporaneamente a cercare di seguire gli attori in scena. La preferenza dell’inglese è stata dettata quasi dalla necessità non solo perché si tratta di un musical americano, ma anche per la scommessa al centro della storia che riguarda un particolare tipo di inglese – quello cockney, per intenderci –, difficilmente traducibile in italiano.

La storia è quella conosciuta del film My Fair Lady con Audrey Hepburn e Rex Harrison del 1956, ispirato a sua volta dall’opera Pigmalione di George Bernard Shaw. La decisione di portare in scena un musical tratto da un film tanto celebre potrebbe essere stato un altro dei motivi del suo successo al Teatro San Carlo. Certamente, trattandosi di un musical, cambiano non solo le coordinate per una recensione, ma anche i tempi, i movimenti, la recitazione e le voci: tutto è più veloce e al contempo lontano da quel mondo “incantato” dell’opera lirica.
Il musical in II atti ha potuto vantare la conduzione di due importanti direttori d’orchestra, Donato Renzetti e Maurizio Agostini (quest’ultimo per le recite del 9 a cui abbiamo assistito). La regia è stata affidata a Paul Curran, già al San Carlo per Cenerentola nel 2015 e grande conoscitore di musical.

Il I atto di My Fair Lady ha rappresentato il banco di prova per questo musical sul palcoscenico del Massimo napoletano. Dopo aver superato lo “shock” iniziale dell’inglese recitato e cantato, il pubblico si è abituato ai tanti personaggi in scena, molti dei quali parte del coro del San Carlo coordinato dal Maestro Marco Faelli. Sin dalle prime scene le voci dei cantanti sono risultate molto gradevoli e i protagonisti si sono fatti apprezzare per la loro recitazione, a tratti coinvolgente proprio come in un film. Tutti gli interpreti in scena hanno convinto (e divertito) il pubblico sancarliano: Nancy Sullivan nei panni di Eliza Doolittle, la volgare fioraia; Robert Hands, ossia Henry Higgins, il professore che per scommessa insegna ad Eliza a comportarsi e a parlare come una nobildonna; John Conroy, il gentile e borghese Colonnello Pickering e Martyn Ellis, il padre della protagonista, una vera forza della natura con i suoi coinvolgenti balletti.

Dunque, in questo primo atto nulla è dispiaciuto: le canzoni allegre e molto lontane dall’atmosfera dell’opera lirica, i balletti trascinanti, i costumi di Giusy Giustino e soprattutto le bellissime scene di Gary McCann, un trionfo di prospettiva e colori che hanno rappresentato al meglio l’Inghilterra eduardiana di inizio Novecento.
Una delle scelte del regista è stata quella di eliminare la scena del ballo all’ambasciata, centrale nel film con Audrey Hepburn. Tutto ciò che è accaduto durante quell’evento, il pubblico lo conosce soltanto all’inizio del II atto, forse meno divertente del I – durante il quale il momento più spassoso è stata sicuramente la celebre scena all’ippodromo – e più riflessivo: qui Eliza si ribella al suo insegnante, di cui però si è innamorata. Ciò che ha colpito di più di questo II atto è stata l’esibizione del Corpo di Ballo del San Carlo, dai movimenti quasi acrobatici. E infine, non può mancare il plauso per l’Orchestra del San Carlo, che si rivela sempre più versatile e pronto a tutto, anche ad un musical della lontana America!