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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Mario Martone scrive nelle sue note di regia che “Le Nozze di Figaro”, come tutti gli altri titoli della trilogia Mozart/Da Ponte non mettono in scena la vita, ma “sono vita”: mettono in scena l’esistenza umana, con i suoi vizi e le sue maschere (ovviamente non maschere pirandelliane che sono tutt’altra cosa). Susanna, Figaro, Il Conte, Rosina e Cherubino siamo tutti noi, è la nostra vita, con le sue fasi: il tormentato e ormonale amore dell’adolescenza, quello liliale della giovinezza e l’amore in crisi della maturità e l’amore complice della vecchiaia. Martone crea uno spettacolo che segue quasi alla perfezione le unità teatrali aristoteliche, con una scena unica (firmata da Sergio Tramonti) sormontata da un grande porticato e due scalinate. Al centro un grande tavolo apparecchiato a festa. La buca dell’orchestra è circondata da pedane, che scendono al centro della platea, dove si svolgono numerose scene. Le arie sono cantate sempre verso il pubblico, come avveniva anticamente. La regia era ripresa da Raffaele Di Florio. Splendidi i costumi di Ursula Patzak. Eleganti le coreografie di Anna Redi e il disegno luci di Pasquale Mari, ripreso da Fiammetta Baldiserri. Uno spettacolo che possiamo definire, senza esagerare, un capolavoro.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Sul podio, dopo il debutto nel recente concerto sinfonico (qui la recensione), Sesto Quatrini, si impone per una direzione trasparente e una concertazione che mette in giusta evidenza ogni dettaglio strumentale. Le sonorità sono contenute, ma è giusto così. È corretto togliere a Mozart tutte quelle incrostazioni che la prassi “romantica” gli ha appiccato addosso. Questa è una musica senza tempo, ma allo stesso tempo “figlia” di esso nelle sue forme e strutture. Aggiungiamo anche alle lodi quella di aver eseguito l’opera integralmente. Brillante la prova dell’orchestra così come quella del coro diretto da Vito Lombardi.

Tra i ruoli di fianco troviamo Dario Giorgelé (Antonio) e il bravissimo Paolo Antognetti (Don Curzio). Corretto il Don Basilio di Bruno Lazzaretti, anche nella sua aria (“In quegl’anni in cui val poco”). Bravissima per caratterizzazione e vocalità la Marcellina di Francesca Paola Geretto, alle prese con la sua tutt’altro che facile aria “Il capro e la capretta”, affrontata con grande aplomb e verve. Come sempre grande interprete e irresistibile attore l’ormai mitico e storico Bruno Praticò (Don Bartolo). Brava pure la Barbarina di Lara Lagni, voce delicata e graziosa presenza scenica.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Aya Wakizono è un Cherubino brillantissimo: presenza scenica vulcanica, senso dello stile e della tecnica. “Non più cosa son, cosa faccio” è meravigliosamente “colorata” e la pausa tra i versi “E se…non ho…chi m’oda…E se” è davvero sospirosa. Allo stesso modo l’arietta “Voi che sapete che cosa è amor” con le piccole fioriture intessute è esempio di raffinatezza e di bel cantare.

Christian Senn è un Conte Almaviva di bel rilievo, non dotato forse di timbro privilegiato, ma di grande musicalità e senso del fraseggio, sia nei recitativi che nelle arie, morbidamente languente o nervoso e furente.

 

 

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

La sua consorte è interpretata da Francesca Sassu, che ritroviamo in un ruolo che corrisponde assai meglio alle sue caratteristiche vocali, rispetto ad alcuni recenti cimenti. La parte centrale della vocalità (pur con qualche oscuramento di troppo) rimane di bellissima timbratura. Ci dispiace che il fraseggio sia tuttavia piuttosto monotono e qualche suono non sempre ben controllato. Comunque il personaggio è “dipinto” in maniera convincente.

Il Figaro di Gabriele Sagona è nobilissimo, nella vocalità ben timbrata e di bel colore. Il nitore vocale è accompagnato da una presenza scenica del pari elegante e lineare. “Non più andrai, farfallone amoroso” è interpretata con ottimo spessore vocale, ma è in “Aprite un po’ quegl’occhi” che raggiunge il punto più coinvolgente della sua interpretazione.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Siamo colpevoli di esserci innamorati della Susanna di Ekaterina Bakanova: così femminile, delicata, simpatica e ingegnosa. Teatralmente è irresistibile per l’energia vitale che sprigiona, e vocalmente è praticamente perfetta, in ogni accento pieno di colori. Sentire il silenzio durante “Deh vieni non tardar” per capire il rapimento di tutto il pubblico. Di più non sappiamo che dire.

Alla fine un grandissimo trionfo, in un teatro praticamente esaurito.

Francesco Lodola

Verona, 31 marzo 2018

Foto Ennevi  per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona

Qui la selezione video:

 

 

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