
In questi anni la grande scuola di canto italiano sta vivendo una rinascita, e stanno “salendo” alla ribalta voci importanti e di grande sapienza stilistica: Raffaella Lupinacci è indubbiamente una di queste. Chi frequenta il Rossini Opera Festival ha imparato a conoscere la sua vocalità privilegiata sotto l’aspetto timbrico e ideale per i personaggi rossiniani, così come per le perlacee vocalità del repertorio belliniano e donizettiano. Domani il mezzosoprano di Acri (Cosenza) sarà Cherubino al Teatro Filarmonico di Verona, dopo il bellissimo successo ottenuto nella recita del 3 aprile, e tra le recite abbiamo avuto il grande piacere di poterla intervistare…
Devo dire grazie alla sensibilità della mia famiglia verso la musica. All’età di sei anni ho iniziato a studiare pianoforte e poi, come spesso accade nelle piccole città – sono di Acri, un antico e suggestivo centro in provincia di Cosenza – ho fatto parte del coro polifonico del paese e piano piano ho incominciato a scoprire il magico mondo dell’ opera. Il vero amore, però, è letteralmente scoppiato con l’ascolto della voce di Maria Callas: una rivelazione che si è rafforzata anche grazie al fascino magnetico di questa donna e artista straordinaria. Ne sono stata travolta.
Affronti ruoli di mezzosoprano, ma anche parti con tessitura contraltile: come descriveresti la tua vocalità ad una persona che non ti ha mai sentita?
La mia è una vocalità da mezzosoprano di agilità, ma il colore piuttosto brunito nel registro centrale mi permette di affrontare con facilità anche un repertorio più contraltile. Una fortuna!
Grande è il tuo legame con Rossini: oggi nel 150esimo dalla morte del Cigno di Pesaro, qual è la connessione che senti con questo autore e con i suoi personaggi?
Io sono particolarmente legata a Rossini, ho iniziato la mia carriera con Rossini. Mi sento totalmente a mio agio nel repertorio rossiniano e sono particolarmente attratta da tutto il Rossini serio. In effetti, trovo tutto il repertorio Colbran perfettamente congeniale alla mia vocalità. Sul piano drammatico, sono incantata dall’astrazione della scrittura vocale rossiniana che esalta la profondità dei personaggi, sia di quelli tragici che dei buffi. È meravigliosamente complesso, straordinariamente bello.

Pesaro per me è stato tutto, ha dato i natali alla mia carriera artistica. Sarò sempre grata alla città di Rossini! L’ Accademia di Pesaro è stato il mio inizio e il mio trampolino di lancio allo stesso tempo. Lì mi sono formata come cantante, artista e persona. Lì ho imparato lo stile rossiniano e ad approcciarmi al Belcanto, avendo oltretutto la fortuna di ascoltare, osservare e assorbire dai migliori interpreti rossiniani dei nostri giorni.
Il legame con il Maestro Zedda è molto forte, ancora non riesco a parlarne al passato…. Il Maestro ha creduto in me da subito, non dimenticherò mai il giorno della mia audizione per l’Accademia Rossiniana. Ricordo come se fosse ora l’emozione che ho provato, indescrivibile. Dopo avere cantato “Di tanti palpiti” mi disse immediatamente che mi avrebbe voluta in Accademia, gli debbo l’inizio della mia carriera. Mi ha insegnato a fare musica, a “fare l’amore con la musica”, l’attenzione per la parola, il gusto di cantare le agilità con flessibilità ma all’interno di un perfetto meccanismo ritmico. Per me è stato un grande punto di riferimento non solo musicale, sento forte la sua mancanza.

Quali sono i ruoli del repertorio rossiniano che ti piacerebbe affrontare nel prossimo futuro?
Mi piacerebbe affrontare i ruoli Colbran: Semiramide, Ermione, Elena (La donna del lago), questo è il mondo rossiniano che sento mio. Lo stesso Maestro Zedda mi offrì Semiramide ed Ermione, ma avevo appena iniziato la mia carriera e non me la sentii di lanciarmi subito in questo repertorio. Adesso ho la maturità necessaria, sia artistica che umana: sto aspettando l’occasione giusta.
Cherubino l’ho debuttato qualche anno fa al Teatro dell’ Opera di Roma con la storica e bellissima regia di Strehler. È un personaggio che mi diverte e affascina, del quale ora sento la straordinaria complessità psicologica. In questa produzione ho avuto la fortuna di lavorare con un grande uomo di teatro, Raffaele di Florio, che ha ben ripreso l’allestimento di Mario Martone, e di fare musica con il Maestro Sesto Quatrini. Sono in sintonia con la sua visione, così attenta alla verità della scrittura mozartiana e così esigente dal punto di vista della dizione. Una bella lezione di stile che è stata molto apprezzata, e non solo da noi cantanti. Sono felice, perché abbiamo un altro giovane direttore italiano su cui puntare.

Prossimamente canterai Romeo in “Giulietta e Romeo” di Vaccaj al Festival della Valle d’Itria: come ti stai preparando a questo debutto? quali sono le difficoltà e quali i vantaggi di cantare un’opera di rarissima esecuzione e quindi senza meno paragoni?
Sono immensamente lusingata di inaugurare un festival così prestigioso e ho accolto con grande gioia ed entusiasmo questo invito! Il ruolo di Romeo è estremamente affascinante sia da un punto di vista vocale che interpretativo. Vaccaj era uno che conosceva benissimo le voci, vedi il suo sempre attuale Metodo pratico di canto! Oltre allo studio dello spartito, sto leggendo tutto il possibile per poter entrare al meglio nel personaggio e nello stile. Il libretto è di Felice Romani ed è una fonte di suggerimenti anche musicali. Non voglio passare per presuntuosa ma, per un’opera come questa, da presentare a un pubblico esigente e preparatissimo in questo tipo di repertorio, quella di avere pochi termini di paragone è una sfida stimolante che ho accettato volentieri.
