
Cavalleria Rusticana e Pagliacci rappresentano da sempre un matrimonio estremamente felice nel mondo dei teatri d’opera, e non solo perché entrambe sono brevi, ed insieme riescono a coprire la durata di un normale spettacolo teatrale, ma anche per alcune affinità, la struttura musicale ad esempio, la conseguenza fatale della gelosia, il dipinto dell’Italia meridionale ( Sicilia e Calabria ) e dei loro abitanti mossi da passioni profonde e pervasive. Al Teatro dell’Opera di Roma, Teatro dove per primo si levarono le note che compongono Cavalleria, questa scelta di unire i due capolavori veristi non è, contrariamente a quanto affermato, così scontata: le due opere furono infatti presentate insieme l’ultima volta nel 1972; ed è dopo più di 40 anni che la direzione del Costanzi ha deciso di riproporre le due opere insieme. Lo scorso 5 aprile è avvenuta la prima rappresentazione, che ha visto trionfare i due cast vocali, capitanati dalla primedonne Anita Rachvelishvili e Carmela Remigio, il Coro e l’orchestra del Teatro dell’Opera , mentre perplessità e dissenso sono stati creati non tanto dalla regia, ma dalla presenza del regista stesso Pippo Del Bono.

Iniziamo proprio dalla regia: l’allestimento di Cavalleria è stato ripreso dal Teatro San Carlo di Napoli con scene di Sergio Tramonti e luci di Enrico Bagnoli, ambientato in un “non luogo” una grande stanzona buia piuttosto tetra che si animava di personaggi nello sviluppo dell’opera, i costumi di Giusi Giustino erano nella loro semplicità tradizionali. Già questa scelta sarebbe potuta sembrare discutibile; Cavalleria è un’opera verista, non un’opera mentale, ha una ambientazione ben precisa, la Sicilia e, tutta la prima parte dell’opera (la Siciliana, il coro “gli aranci olezzano”) servono propriamente a introdurci in questo mondo meridionale primaverile. Ma non è stato questo a suscitare la contestazione del pubblico romano quanto invece la presenza costante del regista in scena: prima di ogni opera egli leggeva un brevissimo racconto autobiografico sulla pasqua e sul circo, e poi proprio durante l’esecuzione di cori e duetti ad esempio negli “aranci olezzano” egli spargeva petali di fiore sui coristi e poi sul pubblico in platea. Ciò ha provocato, prima dell’inizio di Pagliacci una vivacissima contestazione al regista al suono di “se ne vada via”, per citare solo alcuni dei commenti avvenuti. Questo esito dispiace poiché l’idea di fondo di voler introdurre elementi di realtà nell’opera per permettere al melodramma di confrontarsi con temi attuali era e riamane interessante, sebbene quali temi più attuali oggi di un delitto d’onore o un coniuge che uccide sua moglie? Pagliacci invece, era un allestimento nuovo del teatro dell’Opera, uno sviluppo della scena precedente che però era più credibile e di gusto di Cavalleria e ben rendeva l’idea della rappresentazione nella rappresentazione ed è in questo secondo momento che risultavano squisiti i costumi di Giusi Giustino. Ma passiamo ora ai veri vincitori della serata: i due cast.

Il ruolo di Santuzza era ricoperto dalla stella internazionale Anita Rachvelishvili, debuttante nel ruolo di Santuzza, ha saputo ben esprimere il temperamento di un personaggio attanagliato dalla “vana gelosia” con mezzi vocali straordinari: un enorme volume, un timbro prezioso e pastoso e una lama sia negli acuti che nei gravi. Al suo fianco ha retto bene il confronto il Turiddu di Alfred Kim, sebbene in alcuni punti un po’ distaccato nella recitazione, ha raggiunto l’apice nell’Addio alla madre. Bel temperamento, eccellente presenza scenica e timbro piacevolissimo sono le cifre stilistiche sia del compar Alfio di Gevorg Hakobyan e la Lola di Martina Belli. Infine autorevole e squisita è stata la Mamma Lucia di Anna Malavasi. Passando a Pagliacci, l’unico interprete a rimanere della compagnia precedente è Gevorg Hakobyan nel ruolo di Tonio, come in Cavalleria ha saputo ben rendere il significato del ruolo, sebbene vocalmente sembrava, nel complesso, affaticato dalla rappresentazione precedente.

Carmela Remigio, una delle “colonne portanti” di questo teatro così come è stata definita dal direttore artistico Vlad nella conferenza stampa, ha interpretato una Nedda passionale basando tutto sulla parola e l’accento, sua cifra stilistica vista la carriera belcantistica brillantemente svolta. Fabio Sartori è stato un Canio, superbo, grandissimo volume e timbro bronzeo hanno dato credibilità al suo personaggio, e alla fine della celebre aria “Recitar… Vesti la giubba” ha ottenuto l’applauso a scena aperta più lungo di tutta la serata. Il Beppe di Matteo Falcier e il Silvio Dionisios Sourbis sono stati all’altezza di un cast di così alto profilo artistico. Infine una menzione d’onore va al Maestro Carlo Rizzi, che ha saputo ben animare queste due difficili opere veriste, e al maestro Roberto Gabbiani che ha ben preparato il Coro, che ha dato il meglio in Pagliacci, rispetto a Cavalleria dove era in alcuni punti poco incisivo.
Paolo Mascari
Roma, 5 aprile 2018