29497378_1837077289636760_8896979116208551899_nE’ un trionfo memorabile, con tanto di “bis”, a salutare l’ultima rappresentazione del capolavoro di Ponchielli nella città del Tricolore. Una sfida vinta sotto ogni punto di vista.

Chi è solito leggere negli ultimi tempi la rubrica “Il Loggione Emiliano”, avrà notato come questa pulluli quasi solo di recensioni dai toni entusiastici e del resto anche in quest’occasione il registro non sarà differente. Va detto infatti che nonostante le tante ormai note difficoltà di cui la cultura è preda da anni, i teatri delle città emiliane stanno dimostrando all’Italia (e non solo) di vivere una fase particolarmente felice, in cui ogni sfida, anche la più impensabile, viene superata in maniera invidiabile. Tra i segreti del successo vi è senza dubbio il forte spirito collaborativo che dà vita alle coproduzioni tra i diversi teatri, un vero e proprio circuito virtuoso. Ed è così che i pregiudizi e i luoghi comuni sulla Provincia e sulle sue possibilità cadono uno ad uno di fronte ai colpi di Stagioni liriche caratterizzate da qualità e varietà, anche a costo di rischiare. E con “La Gioconda” il rischio si palesa eccome. E’ noto a molti quanto quest’opera sia poco assiduamente presente nei cartelloni ma forse non tutti sanno che il motivo non è certo lo scarso interesse potenziale quanto invece le difficoltà che un titolo così importante (per lunghezza, complessità e valore), manifesta nella scelta, ad esempio, di un cast all’altezza.

29542972_2059337777677212_6574156749881513071_n.jpgUn plauso dunque al Teatro Municipale di Piacenza che, insieme al Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena e al Municipale “Romolo Valli” di Reggio si è lanciata con coraggio verso una vittoria innegabile.

La regia, per l’occasione, è affidata a Federico Bertolani che con grande rispetto del libretto e della drammaturgia, concentra l’attenzione del pubblico sui caratteri dei personaggi e sulle relative evoluzioni psicologiche, introducendone a mo’ di scena dipinta, alcuni spunti durante l’ouverture. Sullo sfondo una Venezia ormai sempre più lontana dagli sfarzi che l’avevano resa celebre. Coerenti con questa ambientazione sono le scene di Andrea Belli, semplici e lineari. Nel ricreare con grande efficacia le tipiche atmosfere lagunari dominano tonalità grigie e opache sui fondali (rivestiti di pellicole riflettenti), la presenza quasi costante dell’acqua a riempire l’intero spazio scenico con alcune passerelle praticabili ed altri elementi scenici in relazione alle scene dell’Opera. Le uniche note di colore vivo si hanno con i rossi dei drappi dogali. Molto belli anche i costumi di Valeria Donata Bettella, suggestive e ben studiate le luci di Fiammetta Baldiserri.

29342900_1724425690948386_985107504932544532_n.jpgLa presenza dell’acqua in scena tuttavia è solo intuibile e non visibile dalla platea e avrebbe potuto essere maggiormente valorizzata così come qua e là qualche scelta di regia non convince del tutto. Si pensi ad esempio alla presenza, alquanto ingombrante, del letto di morte di Laura Adorno proprio ai piedi dei sei ballerini durante la Danza delle Ore, i quali (Compagnia Artemis Danza) danno sicuramente prova di grande bravura nonostante la coreografia di Monica Casadei strida un po’, nello stile, con il resto dello spettacolo e con il genere di balletto che ci si è soliti attendere in questo autentico esempio di Grand Opera all’italiana, o per meglio dire, alla Ponchielli-Boito. Si tratta comunque di note davvero trascurabili di fronte ad uno spettacolo davvero godibile.

Musicalmente non si può che proseguire in un racconto ricco di fasti.

29356849_1724425927615029_6021088615021629564_n.jpgA partire dalla superba direzione del Maestro Daniele Callegari, il quale con evidente trasporto regala al pubblico una tavolozza di sfumature di rara pregevolezza, traendo dall’Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna quanto di meglio si possa chiedere in termini di bellezza del suono, dinamiche, precisione, espressività, non solo nelle pagine musicali più celebri come la suddetta Danza delle Ore. A momenti pare addirittura di trovarsi di fronte ad una grande orchestra sinfonica. Una direzione che si distingue per la raffinata eleganza e che ha il merito di non sovrastare le voci ma anzi accompagnarle sapientemente e sostenerle con i giusti tempi.

Degni di ogni lode sono anche il Coro del Teatro Municipale di Piacenza e le Voci Bianche del Coro Farnesiano di Piacenza, rispettivamente preparati dai Maestri Corrado Casati e Mario Pigazzini.

In quanto alle voci a spiccare sono sicuramente più di una.

29571347_1840191205992035_5344142879642110034_nSaioa Hernandez, Gioconda, è senza alcun dubbio una delle interpreti più interessanti della scena lirica odierna. Impressiona per omogeneità di suono in ogni registro, dalle potenti note medie e gravi di petto agli sferzanti acuti che tagliano la sala sovrastando ogni cosa. Al tempo stesso a lasciare incantati è la bellezza di un timbro rotondo e la disarmante morbidezza, leggerezza e facilità con cui affronta, senza il benché minimo sforzo, la parte. Una naturalezza che le consente di sfoggiare una piena padronanza interpretativa e quindi le necessarie nuances espressive, senza mai perdere di gusto ma anzi valorizzando ogni tinta. Non è solo la celebre aria “Suicidio!” a strappare interminabili applausi ma l’intera prova, dalle arie ai duetti e terzetti, fino agli splendidi concertati. Le caratteristiche vocali e di emissione, piuttosto rare, di questa cantante spagnola (di scuola Caballé) rimandano con suggestione (specie in alcuni passaggi più drammatici) ad alcune grandi voci del passato.

29262070_1724435090947446_8951480217033273218_n.jpgBravissima risulta anche Anna Maria Chiuri nel ruolo di Laura Adorno. La resa del personaggio è assai credibile sia scenicamente che musicalmente dove si apprezzano chiarezza di dizione e nobiltà di fraseggio. La voce è piena e di bel colore, sempre modulata come una vera artista sa fare e la solidità di un’interprete di comprovata esperienza risalta.

Giacomo Prestia, Alvise Badoero, accusa forse un po’ la stanchezza accumulata nelle precedenze recite e la sua prova non infiamma particolarmente, in quest’occasione, né dal punto di vista vocale né da quello attoriale.

Agostina Smimmero è una Cieca di notevole interesse. Contralto profondo dal timbro assai particolare e piacevole all’ascolto per la calda, dolce e piena morbidezza. Una pastosità che non si sfibra nemmeno nel registro più acuto, suggellando un meritato successo personale.

29258423_1724425337615088_6708897257262746936_nStar della serata il tenore Francesco Meli (Enzo Grimaldo) che brilla al suo debutto nel ruolo. Il suo è un timbro luminoso e ampio, forte di una grande tecnica che gli permette di dosare con sicurezza e varietà d’accento ogni suono e di fraseggiare in maniera nobile ed elegante. Autorevole, dolce, eroico, il suo “feeling” vocale e interpretativo con il personaggio non perde mai di credibilità. Se a tratti lo stato della sua voce appare non freschissimo (com’è comprensibile sia alla fine di una sì impegnativa produzione) la sua “Cielo e Mar” è mirabile nella trasognante espressività con cui viene cantata tra mezze voci, sfumature ed acuti sfolgoranti. Una prova che va dritta alle emozioni del pubblico, suscitando tali consensi da costringerlo ad un coraggioso bis.

29357131_1724424994281789_5067205874884244556_n.jpgSebastian Catana è un Barnaba che trasuda tutta la cattiveria di un ruolo che rimanda allo Jago dell’Otello verdiano. La voce è ben proiettata e potente, il timbro incisivo e voluminoso, in sintonia con una visione musicale ed attoriale del personaggio volta ad accentuare i tratti malefici e ringhiosi fino all’ultimo grido rabbioso che conclude l’Opera.

Si disimpegnano positivamente anche i restanti interpreti: Graziano Dallavalle (Zuàne), Nicolò Donini (Un Cantore), Lorenzo Izzo (Isèpo), Simone Tansini (Un Pilota/Barnabotto).

Pubblico in delirio per una chiusura di Stagione superlativa.

Grigorij Filippo Calcagno

Reggio Emilia, 8 aprile 2018

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