
Un cappello, i baffetti, gli occhi carichi, stracolmi di emozione: senza neanche nominarlo, si dipinge davanti a noi la sagoma di Charlot e soprattutto il genio di Charlie Chaplin. La parola genio è quella più adatta a descrivere il grande artista britannico: la rivoluzione dell’immagine, la capacità di trasformare il cinema/l’immagine in movimento, in arte emotiva ed espressiva. Riuscire a dare “voce”, anzi corporeità ai grandi temi sociali, raccontandolo in maniera unica. Un eroe senza voce, in un’epoca in cui la voce diventa lo strumento del potere di personaggi come Hitler. “Tempi moderni” (1936) è uno dei film muti che Chaplin continua a realizzare anche dopo l’avvento del sonoro (intorno al 1927). In questa pellicola però sentiamo per la prima volta la voce (cantata) del celebre Vagabondo, in una irresistibile versione di “Je cherche après Titine” di Léo Daniderff. Accanto a Charlot la bellezza straordinaria di Paulette Godard (moglie o presunta tale di Chaplin – la vicenda non è mai stata chiara e chiarita), che fu perfino una delle pretendenti al ruolo di Rossella O’Hara, scippato per un soffio da Vivien Leigh.

“Tempi moderni” è una delle opere simbolo di Chaplin: la storia di un operaio nel pieno della nevrosi “da catena di montaggio”, che riesce a conquistare la felicità soltanto scappando con l’amore della sua vita, la bella monella. La delicatezza con il quale Chaplin affronta temi pesanti e drammatici (soprattutto in quell’epoca post 1929), come la difficile condizione della classe lavoratrice, la povertà e il divario sociale, e il vagabondaggio, ne fanno uno dei più grandi capolavori della storia del cinema. Se ci fosse rimasto anche solo qualche fotogramma della scena finale lo sarebbe: il vagabondo e la monella, che dopo essersi guardati con un sorriso di malinconia “profonda come il mare”, si avviano mano nella mano nel deserto, e lo schermo si chiude a Iris, aspettando un futuro migliore, perché “dopotutto, domani è un altro giorno!”.

Chaplin e la musica da film, con la proiezione di “Tempi moderni” con colonna sonora eseguita dall’Orchestra dell’Arena di Verona, segnavano dunque, ancora una volta, l’eccellente “refresh” della Stagione Sinfonica della Fondazione Arena di Verona, grazie anche, per questo speciale evento, alla preziosa collaborazione con il Teatro Ristori, che ospitava la serata. La pellicola è stata restaurata grazie al lavoro della Cineteca di Bologna, con l’apporto fondamentale di Timothy Brock.
Brock è un direttore e compositore di notevole fama, specializzato nella musica da film, e soprattutto nell’esecuzione di colonne sonore di film muti. Il musicista statunitense riusciva ad esaltare una partitura di notevole qualità compositiva. Certo, è musica legata all’immagine e soprattutto creata per sottolineare il movimento. Tuttavia ci sono alcuni momenti che sono davvero di bellezza unica e svincolata. L’orchestra dell’Arena di Verona si dimostrava eclettica per adesione perfetta alle richieste dello stile della musica da film, con precisione strumentale e cura del suono.
Alla fine un grandissimo trionfo per un’operazione davvero vincente.
Francesco Lodola
Verona, 14 aprile 2018
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona