
E’ complessivamente uno spettacolo positivo il Boccanegra presentato a Bologna, interpretato per l’occasione del nostro ascolto dal cast alternativo , tra luci e ombre.
Simon Boccanegra è senza dubbio una pietra miliare della produzione verdiana per l’intensa e sublime analisi che viene fatta dell’animo umano nel contempo del potere, in un contesto in cui la musica e il teatro si intrecciano e si innalzano verso un risultato che ancora oggi incanta ogni melomane.
Il Teatro Comunale di Bologna sceglie di riportarlo in scena in questa stagione con la regia di Giorgio Gallone. Regia che, va detto, non convince particolarmente nel complesso a causa dell’eccessiva essenzialità e vuotezza delle scene di Guido Fiorato, autore anche dei costumi, questi ultimi invece godibili. Sul palco oltre ad un bella pavimentazione in mosaico inclinata e ad una antica stampa raffigurante Genova sul fondale, c’è poco e niente e si nota la pressoché totale assenza di elementi che riconducano quantomeno alla ricchezza di una corte se non almeno a qualche riferimento che permetta di distinguere le diverse ambientazioni e atmosfere, di atto in atto.
Migliore è il lato musicale. Sotto la bacchetta attenta ed autorevole di Andriy Yurkevych l’Orchestra del Teatro Comunale è in grado di offrire le giuste tinte e sonorità, con tempi sempre pertinenti e attenzione alla cura del suono e ai giusti equilibri. Positiva anche la prova del Coro, preparato da Andrea Faidutti.
Sotto il profilo vocale va detto che il cast ascoltato per l’occasione è quello alternativo, che vede nel ruolo del protagonista un non sempre a fuoco Stefano Antonucci. Voce molto chiara, di stampo quasi tenorile nel timbro, risulta più volte disomogenea nell’emissione a tratti, ma la prova complessiva soddisfa il pubblico in virtù di un buon fraseggio e di una discreta cura interpretativa (in crescendo nel corso dell’opera) dovuta all’esperienza. Si può tollerare la caduta sul “E vo’ gridando amor!” ma è l’intera performance a risultare poco brillante.
Alessandra Marianelli dal canto suo si destreggia bene nel ruolo di Amelia per tenuta vocale, pur non eccellendo per bellezza di timbro e palesando spesso una tendenza a “prendere la rincorsa” prima delle note acute, sparate con eccessivo slancio.

Luiz Ottavio Faria, Jacopo Fiesco, è un basso dallo strumento di pregio, scuro e suggestivo, sempre a fuoco e sicuramente tra i migliori del cast.
Sergio Escobar, Gabriele Adorno, è una voce tipicamente spagnola che a tratti ricorda facilmente quella del grande Placido Domingo. Il giovane tenore possiede mezzi sicuramente rilevanti per volume e spessore (forse un po’ troppo in confronto agli altri, tant’è che nelle scene d’insieme la sua voce svetta sopra ogni cosa) e quando si possiede una Ferrari e la si deve guidare in città occorrono sempre cautela e bravura nel dosaggio, cosa che egli dimostra di saper fare meglio di altre occasioni in cui lo si è sentito. Tuttavia il bel timbro caldo e mediterraneo, di grande fascino, necessiterebbe di un tocco maggiore di gusto e raffinatezza interpretativa in alcuni passaggi.
Leon Kim, Paolo Albiani, è senza dubbio l’interprete più completo e solido della produzione. Baritono di indubbio talento, dalla voce piena e potente, dizione e fraseggio buoni, tecnica a posto, eleganza nel porgere: quello che si dice un gran bravo baritono.

Positive anche le prove di Luca Gallo, Pietro, di Rosolino Claudio Cardile, un capitano dei balestrieri e di Aloisa Aisemberg, una ancella di Amelia.
Il pubblico risponde ed accoglie con grande favore lo spettacolo, con applausi convinti, talvolta anche durante lo svolgimento.
Grigorij Filippo Calcagno
Bologna, 14 aprile 2018