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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Nel 2007 al Teatro Filarmonico di Verona il Belcanto aveva vissuto un momento di grande euforia, con il debutto di Mariella Devia nel ruolo di “Anna Bolena”. Per quella preziosa occasione, nacque l’allestimento di Graham Vick, nato in coproduzione tra Verona e il Teatro Verdi di Trieste. Uno spettacolo che è nato fortunato fin dalla sua nascita e che è stato ripreso su tantissimi altri palcoscenici (Firenze, Palermo, Lisbona, solo per citarne alcuni), ottenendo sempre un trionfo.

Vick è un genio del teatro, e questo lo si sa. Discutibile per alcuni, straordinario per altri, ma comunque sempre in grado di trasmettere un messaggio teatrale ben preciso, e con l’arte di saper muovere le masse e i cantanti (dote rara in quest’epoca di metteurs en scène intellettualoidi, ma poco pratici negli spostamenti). L’artista britannico ci racconta la vicenda di Anna Bolena, trasmettendoci l’atmosfera della sua prigione dorata, la lentezza dello scorrere del tempo e la freddezza nella quale sono costretti i suoi sentimenti. Si pensi alla scena della caccia, in cui i due sovrani appaiono sui propri destrieri (dorato quello di Enrico e argento quello di Anna). Tutto è fermo e dall’alto scendono dei fiocchi di neve: il gelo delle emozioni, la morte dell’amore. Grande colpo di teatro la lunga pedana del finale, la strada di Anna del patibolo, ma anche la strada della primadonna verso l’abbraccio del suo pubblico. Eleganti le scene e i sontuosi costumi di Paul Brown, figura di spicco del mondo teatrale, che ci ha lasciato da poco.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Sul fronte musicale, avevamo l’ottima direzione di Jordi Bernàcer, pulita e lineare, in grado di portare l’orchestra dell’Arena di Verona ad una lettura di eccellente spessore, senza momenti di cedimento di tensione (un’edizione praticamente integrale) e con ottimo nitore delle sonorità, che spesso in Donizetti, lasciano il passo alla genericità. Alla ragguardevole prova orchestrale, si aggiunge quella del coro, come sempre magistralmente diretto da Vito Lombardi.

Sir Hervey era il prezioso Nicola Pamio, che si faceva notare per la sonorità del suo strumento e l’indubbia sicurezza. Accanto a lui sempre di ottimo livello la prova di Romano Dal Zovo (Lord Rochefort).

Una forte forma influenzale costringeva Martina Belli a rinunciare alla recita, e quindi abbiamo avuto il piacere di poter sentire nei panni di Smeton, Manuela Custer, cantante di grande esperienza e artista di notevole sensibilità, che si faceva notare per l’intelligenza del fraseggio e la trepidante presenza scenica.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Mirco Palazzi è un buon Enrico VIII, soprattutto dal punto di vista musicale, grazie ad una linea vocale elegante e ben controllata, anche se con una vocalità non di grande volume. Con una più assidua frequentazione del ruolo assumerà, siamo certi, anche l’autorevolezza scenica necessaria. Una prova convincente.

Irina Lungu è più incline a dare voce ad Anna, che non alla Regina, privilegiando una visione del personaggio più elegiaca, legata ad un belcantismo belliniano, ricordandoci a tratti la sua Giulietta dei Capuleti della scorsa stagione (che forse le è più vicina come temperamento) e trascurando talvolta il lato regale e di Primadonna assoluta. Le frasi cantabili, sono il suo momento migliore, dove può sfoggiare il suo timbro cremoso e morbidamente ambrato.

Entrambi debuttanti nei loro ruoli Antonino Siragusa e Annalisa Stroppa sono indubbiamente i migliori della serata. Il tenore messinese non aggira nessun ostacolo del ruolo di Riccardo Percy, un ruolo terribile per tessitura e per richiesta di controllo vocale. Affronta ogni difficoltà, grazie ad indubbia competenza tecnica e vince per lo squillo, la precisione musicale e la sapienza del fraseggio.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

All’inizio della serata veniva annunciato che nonostante il perdurare di una forma influenzale, Annalisa Stroppa avrebbe cantato ugualmente. Un annuncio quasi vano, poiché la prova del mezzosoprano bresciano è stata di enorme valore. Una vocalità di timbro nobile, omogenea dal grave all’acuto e con grintosa personalità sia nel canto che nella recitazione. La sua Seymour ci ha totalmente convinti per la facilità tecnica con cui era affrontata (un ruolo terribile, di tessitura praticamente sopranile) e per la forte espressività. Poche Seymour si “mangerebbero” la cabaletta “Ah! pensate che rivolti terra e cielo han gli occhi in voi” con la facilità con cui l’ha fatto la Stroppa.

Alla fine un calorosissimo successo.

Francesco Lodola

Verona, 29 aprile 2018

Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona

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