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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

La parola “Diva” oggi è diventata antipatica, sinonimo di vanteria, di capricci e di orpelli. In realtà la Diva è una creatura che si erge sopra le altre, che possiede quel carisma, quella forza dello spirito che si traduce in magnetismo, in quell’aura di immaginifica luce. “Anna Bolena” è scritta per un’artista così, per una Primadonna che brilli di luce propria, all’epoca di Donizetti questa figura era ben incarnata da Giuditta Pasta, e ora da Elena Moșuc che possiede queste caratteristiche. Fin da quando entra, colpisce per la naturalezza del regale portamento, per lo sguardo fiero, tradito dalle ferite dell’anima, ma mai domo, nella sua alterigia. Lo sguardo azzurro che si tinge di profonda malinconia, ma anche di furore e rabbia. Vocalmente è praticamente perfetta, coniugando il timbro trasparente e pastoso, ad un raro virtuosismo drammatico, con sovracuti folgoranti, variazioni superbe e soprattutto accenti brucianti, così come morbidi abbandoni.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Il soprano rumeno svizzero creava quel climax vocale e tensivo che è il vero tòpos del Belcanto, in particolare di quello donizettiano. La tensione cresce e cresce ancora, per dopo esplodere in fuochi d’artifici canori ed espressivi (il finale I ne è un esempio). Visconti diceva durante le prove: ” quando comincia l’aria, fate come gli antichi, andate al proscenio e cantate per il pubblico” e la Bolena/Moșuc fa proprio così: per cantare “Al dolce guidami, il soprano si sdraia, sulla pedana che Vick posiziona sopra l’orchestra, e ti “schiaccia” sulla tua poltrona per il tanto accumulo di tanta bellezza, la purezza di quei filati rapinosi, per poi infiammarti del tutto con la cabaletta “Coppia iniqua”, chiusa da un trillo infinito e un Mib fulminante. Se c’è una lista di Bolene storiche, il nome della Moșuc deve essere lì.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Ma la replica del 6 maggio non si riduce solo ad una grandissima protagonista. Accanto a lei ritroviamo Annalisa Stroppa, degna rivale di cotanta sovrana: voce piena, fraseggio insinuante, coloratura drammatica precisa e brillante e tecnicamente dominata magistralmente. A questo si aggiunge la totale comprensione di un ruolo bipolare o quanto meno “trifronte” (il desiderio di fama, l’amore per il Re e l’amore per Anna). Scenicamente poi si caratterizza per la presenza scenica elegante, ed appassionata, mai dimentica della nobiltà del personaggio.

Mirco Palazzi è un ottimo Enrico VIII, possiede le caratteristiche vocali del ruolo (nonostante un volume non imponente), e si distingue per evidente cura e conoscenza dello stile. Gli manca probabilmente la “grandeur” del ruolo, che conquisterà sicuramente con la maturità e l’esperienza con il personaggio.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Martina Belli ha dovuto per una forte forma influenzale rinunciare a tutte le recite del ruolo di Smeton, e veniva sostituita da Manuela Custer, artista di notevoli doti belcantiste e soprattutto di grande cura espressiva. Da lodare anche il suo impegno scenico nel tratteggiare un paggio delicato e pieno di tenero amore giovanile.

In questa recita avevamo anche il piacere di ascoltare il Riccardo Percy di Mert Süngü, tenore turco di notevoli qualità, quali un bel timbro pieno e soprattutto un’immensa facilità nelle agilità. Gli unici difetti sono un vibrato, che se ben controllato, potrebbe diventare una peculiarità (come lo è nel caso di Joseph Calleja), e il registro acuto e sovracuto, che dovrebbe essere tecnicamente meglio impostato. Comunque dobbiamo dire che il ruolo non risparmia nulla al tenore (ma Donizetti non perdona anche agli altri) e infatti loderemo l’interessante fraseggio, ricco di spunti e di sfumature.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Benissimo il Lord Rochefort di Romano Dal Zovo, così come Nicola Pamio, che nel suo Sir Hervey, si fa notare per l’importante caratterizzazione.

Jordi Bernàcer dirigeva con eleganza, assecondando il canto e stendendo un giusto tappeto di suono nei momenti estatici e infuocando i grandi finali. Era ben assecondato dalla sempre ottima compagine orchestrale di Fondazione Arena. Benissimo il coro diretto da Vito Lombardi, in particolare la sezione femminile, così dolente ed espressiva nel raccontare la sofferenza di Anna.

Resta da dire dell’allestimento di Graham Vick, che va considerato un capolavoro di teatro, per la linearità del movimento e della narrazione, ma anche per la capacità di creare la situazione drammatica, con piccoli gesti e cenni. Preziosi i costumi di Paul Brown, così come le scene, che delineano una vera prigione per l’anima di Anna.

Grandissimo successo e trionfo personale per Elena Moșuc e Annalisa Stroppa.

Francesco Lodola

Verona, 6 maggio 2018

Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona

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