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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Debuttare un ruolo con a disposizione una sola recita, è come fare bungee jumping: un rischio esaltante, ma pur sempre un rischio. Mettiamo pure che il ruolo in questione sia uno dei più complessi e ricchi del repertorio sopranile. Ne risulta una sfida davvero ardua.
Madina Karbeli però è riuscita a vincere tutto questo e a ritrarre una Salome di grande spessore. Conoscevamo già il soprano georgiano, per aver interpretato ruoli di fianco sia al Filarmonico che in Arena. Ricordiamo ancora la sua brillante Lisa ne “La Sonnambula” di due anni or sono. Ora ritrovarla nei panni della principessa giudaica è davvero sorprendente. La sua voce ha dei tratti metallici, un po’ “astrali”. La sua è una fanciulla piena di sfumature, pianissimi e filati, accenti sussurrati, ma anche frasi stentoree e imperiose “cascate” di suono. La Karbeli sfrutta la sua interessante vocalità (come faceva Catherine Malfitano) per ritrarre una creatura fatalmente insinuante. A questo si aggiunge una presenza scenica perfetta, minuta, fragile, ma dal fascino mortale. Usciamo da teatro con il desiderio di ascoltarla ancora.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

 

Accanto a lei emerge ancora una volta la regale Erodiade di Anna Maria Chiuri, voce di ottimo spessore e temperamento. L’Erode di Kor-Jan Dusseljee è vocalmente e teatralmente spigliato, così come il solido Narraboth di Enrico Casari. Debole invece Bélen Elvira nei panni del paggio di Erodiade.

Fredrik Zetterström è uno Jochanaan di robusta vocalità e di fraseggio ben articolato.

Ottimo il quintetto degli ebrei, capitanato da Nicola Pamio e composto da Paolo Antognetti, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Oliver Pürckhauer. Tra i due Nazareni emerge Romano Dal Zovo.

Ricordiamo inoltre i due soldati di Costantino Finucci e Gianfranco Montresor, l’uomo della Cappadocia di Alessandro Abis e lo schiavo di Cristiano Olivieri.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Si conferma ottima per eleganza e cura delle masse sonore la direzione di Michael Balke, assecondato a meraviglia dall’Orchestra dell’Arena di Verona.

Efficace lo spettacolo di Marina Bianchi, lineare nei movimenti e per la immediata chiarezza drammaturgica. Sobrie le scene di Michele Olcese (direttore degli allestimenti scenici di Fondazione Arena) e i costumi di Giada Masi. Minimali i movimenti mimici curati da Riccardo Meneghini. Interessante la soluzione per la danza dei sette veli, che a differenza della prima, finisce con Erode che sfila a Salome la sua veste, facendola rimanere a seno nudo.

Alla fine un successo caloroso, in particolare alla protagonista, da parte di un teatro con qualche vistoso vuoto di pubblico.

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