1520936207_SM279Lo scorso 27 aprile è stato lanciato sul mercato il nuovo album della stella internazionale Elena Moșuc, “Verdi Heroines” (Solo Musica/Sony) in cui la cantate svizzero rumena si è cimentato in alcuni non facili ruoli verdiani. L’album alterna opere ed arie di due tipi; le conferme e le novità. Cosa è che accomuna entrambe? L’intelligenza con la quale l’interprete risolve i passaggi più scabrosi di queste meravigliose pagine operistiche, e il taglio personale che rendono non scontati questi pezzi rievocanti i grandi miti del passato.

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©Paulo César

Ma entriamo ora nel dettaglio: tra le conferme troviamo arie tratte da due opere del repertorio della Moșuc, La Traviata e Il Trovatore, ma fra queste potremmo annoverare anche l’aria de “ I Vespri Siciliani”, appartenente a quel canto di coloratura di cui il soprano è maestra. Partiamo proprio da “La Traviata”, opera che la Moșuc ha cantato in innumerevoli produzioni, dalla Scala all’Arena di Verona, sempre con grandissimo successo. Ciò che sorprende è come la cantante abbia trovato la soluzione del celebre dilemma secondo cui per cantare Violetta sarebbero necessari tre diversi soprani. Questa soluzione è, per il soprano, lo stile belcantista, le cui cifre sono la precisione musicale, le agilità scolpite, e gli acuti brillanti, che come sempre per la Moșuc comprendono uno sfavillante Mi bemolle al termine della cabaletta dell’aria del primo atto “Sempre libera”. A questo si aggiunga l’ottimo controllo del fiato, espressione e attenzione parola, quest’ultime evidenti soprattutto nell’aria del terzo atto.

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©Paulo César

La sezione del Trovatore presenta tutta la scena di Leonora della parte IV, da “Timor di me”, passando per la grande aria “D’amor sull’ali rosee”, il Miserere e la meravigliosa cabaletta “Tu vedrai che amore in terra”. Queste arie sono sempre più spesso inserite nei concerti della Moșuc, che ha debuttato il mese scorso a Belgrado, ottenendo un trionfo personale, coronando così la trilogia popolare verdiana. Nel canto traspare una morbidezza che solo un’interprete abilissima del belcanto più maturo può avere. Brillante e frizzante risulta l’interpretazione di “Mercè dilette amiche”, eseguita con gusto e anche qui con l’aggiunta del vincente Mi naturale a fine aria.
Nella seconda categoria, le scoperte, ossia vediamo la diva romena impegnata in un repertorio per lei inedito e che rappresenta la vera sfida , ovviamente superata brillantemente e con maestria. Le opere e le arie eseguite sono tratte da “Don Carlo”, “I due Foscari”, “Attila”, due rarità come l’Aroldo e il Macbeth versione 1847 e per concludere la “Messa da Requiem”.
Don Carlo (“Non pianger, mia compagna”) è risolto con sagacia ed estremo gusto, dimostrando la prontezza verso un repertorio più drammaticamente lirico. La cavatina di Odabella dell’Attila (“Santo di patria/Da te questo or m’è concesso”) è brillante, assolutamente magnifica. L’ascolto non può non rievocare la celeberrima incisione di Joan Sutherland, alias La Stupenda, per le variazioni , simili a quelle della diva australiana, e la freschezza delle agilità. Ma l’incisione della Moșuc ha una ricchezza d’accenti che la registrazione della Sutherland non ha e che in Verdi è determinante. Anche la difficile scena da “I due Foscari” (“Tu al cui sguardo onnipossente/O patrizi tremate”), è cantata con gusto, intelligenza e precisione di espressione, impresa non facile poiché la vocalità di quest’opera è molto simile a quella di opere come “I Lombardi alla prima crociata” e “Nabucco”.

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©Paulo César

Aroldo e Macbeth sono delle vere rarità: la prima aria “Ah, dagli scanni eterei/Ah dal sen di quella tomba”, poiché è tratta da una delle opere meno rappresentate di Verdi, la seconda perché l’aria eseguita è “Trionfai!” dalla prima versione del Macbeth, del 1847, sostituita nella seconda versione da “La luce langue”, più comoda per un soprano drammatico che abbia le sue carte migliori nel registro centrale. Queste due opere sono accomunate da una estrema difficoltà esecutiva , che definirla impervia sembra, anzi lo è, riduttivo: le agilità, l’intensità del volume orchestrale, e la tessitura richiedono una autentica voce di drammatico d’agilità che solo una personalità artistica completamente matura può affrontare. La Moșuc dimostra pienamente di reggere all’impegno, sempre con grande personalità.
L’album si conclude con il “Libera me, Domine” dal Requiem, già affrontato qualche anno fa e che ci porta a sperare di poterla sentire presto in Italia nel grande capolavoro verdiano.

Ricordiamo anche la magnifica prestazione della Zagreb Philarmonic Orchestra, compagine dal suono lussureggiante, diretta dall’ottimo Ivo Lipanovic. Accanto a loro non demerita l’Academic Choir diretto da Ivan Goran Kovacic. Efficace il contributo ne “La Traviata” e ne “Il Trovatore” del tenore Paulo Ferreira.

Questo album di così piacevole ascolto, ci fa capire la direzione che il repertorio della Moșuc sta prendendo,  grazie ad una vocalità che ha raggiunto la propria maturità tecnica ed espressiva, e che ci fa sperare di sentirla presto in teatro con tale repertorio.

Paolo Mascari

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