Si può dire che sia kitsch, si può dire che sia eccessivo, tronfio, superaccessoriato, ma non si può dire che l’allestimento di Aida di Franco Zeffirelli, nato nell’ormai lontanissimo 2002, non sappia creare il quadro visivo necessario all’Arena, cogliere lo stupore del pubblico con la grandiosità degli elementi scenici, le mille sfumature delle luci, i bagliori dei costumi di Anna Anni e le frenetiche danze coreografate da Vladimir Vasiliev e interpretate da Beatrice Carbone, Petra Conti e Gabriele Corrado. Certo, in alcuni momenti non c’è un minimo spazio sul palcoscenico, ma sembra di stare davanti ad un quadro immobile, in cui si riconoscono le pennellate della genialità zeffirelliana, nella sua innata sapienza estetica, capace di sopravvivere negli anni. Questa è davvero l’ultima Aida che è riuscita a trovare armonia perfetta con questi spazi, sapendo fondere la propria essenza con quella delle pietre veronesi. E lo spettacolo tornava ieri sera (23 giugno), per la sua prima stagionale e come sempre ha entusiasmato, per quel trionfo così colorato e luccicante, ma anche per quell’alternanza di pieno/vuoto (tipica del teatro del regista toscano) sempre emotivamente e visivamente suggestiva.

Sul podio ritrovavamo dopo la recente “Anna Bolena” al Teatro Filarmonico, Jordi Bernàcer, il quale dirigeva con gesto sicuro, ottenendo un ottimo equilibrio tra la buca e il palcoscenico. Ci ha colpito in particolare l’attenzione alle dinamiche, per esempio i quattro “p” previsti in partitura all’entrata di Amonasro (“Anch’io pugnai…), ottenuti davvero con maestria e abbastanza ben assecondati dal baritono. In straordinaria forma l’Orchestra dell’Arena di Verona e il coro, diretto da Vito Lombardi.
Nella parte musicale emergono i due bassi, Romano Dal Zovo nel ruolo del Re (voce e personalità sempre in crescita) e Vitalij Kowaliow, Ramfis autorevole e sonoro.

Luca Salsi disegna un ottimo Amonasro di elegante fraseggio e di notevole quadratura musicale e interpretativa, dominando l’entrata, con accenti vigorosi ma mai “veristeggianti” il duetto con Aida con evidente trasporto nella linea di alcune delle frasi più belle di tutta l’opera (“Pensa che un popolo…”).
Yusif Eyvazov è un Radames in crescita. Nei primi due atti la stanchezza di un periodo probabilmente intenso si fa sentire un po’ e così “Celeste Aida” e i due concertati non possiedono la stessa freschezza e concentrazione che avevamo apprezzato in altre occasioni, ma dal terzo atto dona accenti preziosi e sfumature liriche al suo condottiero. Così che il duetto con Aida del III atto e il finale hanno avuto un buon rilievo nella sua interpretazione.

Prima dell’inizio del III atto veniva annunciato che nonostante il perdurare di un’indisposizione Violeta Urmana avrebbe portato a termine la recita. La grinta della grande interprete e l’essenza della vera artista hanno prevalso su tutto e così abbiamo avuto una vera lezione di come la tecnica possa essere indispensabile e come la sincerità dell’artista nell’esprimere possa davvero essere un’ancora di salvataggio. La Urmana è magnificamente Amneris, posseduta completamente dal suo personaggio e nella scena del giudizio del quarto atto sale in cattedra e dimostra cosa sia essere una vera personalità teatrale.

Anna Pirozzi possiede una voce all’italiana, pulita, limpida, che sembra adagiarsi sul solco di quelle voci d’antan, come Antonietta Stella o Gabriella Tucci, capace di avere grinta e acuto sicuro e brillante, ma anche di un morbido lirismo. Un’Aida di bella sensibilità, capace di reggere con solidità tecnica e schiettezza di fraseggio il difficile terzo atto, controllando perfettamente le sfumature “ad alta quota”.

Buono il veterano Antonello Ceron come Messagero e ottima Francesca Tiburzi come Sacerdotessa.
Alla fine un grandissimo successo, da un’Arena colma e all’inizio del IV atto, con le candeline accese, molto partecipe alle emozioni dell’opera verdiana.
Francesco Lodola
Verona, 23 giugno 2018