La prima assoluta di uno spettacolo è il test apicale di intense settimane di prove. Il vero momento per testarne la forza è tuttavia quello della ripresa. Molto spesso una produzione che alla prima vince la prova, alla prima ripresa sembra inevitabilmente invecchiato, e i suoi meccanismi antiquati. Ciò non è accaduto al Nabucco formato da Arnaud Bernard, che ha aperto il Festival dell’Arena di Verona del 2017. Questo allestimento che trasporta la vicenda di Nabucodonosor durante le cinque giornate di Milano, è destinato a diventare uno dei grandi classici della spettacolarità areniana. Non si tratta di uno spettacolo facile, poiché richiede dinamicità di movimento, ritmo teatrale praticamente inarrestabile e colpi di teatro di sicuro effetto. Pensiamo per esempio all’apertura sull’interno del Teatro alla Scala, che scatena un grande applauso, segno di grande presa sulla “suggestione” degli spettatori. E’ uno spettacolo che risolleva anche l’orgoglio patriottico, con sfoggio di tricolori e simbologie risorgimentali, che in questo momento di storia italiana, danno un effetto benefico. Fortunatamente lo stesso Arnaud Bernard riprendeva lo spettacolo e dunque il ritmo serrato del “discorso” scenico non perdeva la sua nervatura e energia. Come sempre bellissime le scene di Alessandro Camera, così come i costumi disegnati dallo stesso Bernard.

Sul fronte musicale le cose non andavano sempre per il verso giusto e la responsabilità era principalmente della direzione d’orchestra di Jordi Bernàcer. Il direttore, che abbiamo apprezzato in “Anna Bolena” al Filarmonico e poi solo due settimane fa nella prima areniana di “Aida”, faceva delle scelte che nuocevano alla tenuta musicale e teatrale complessiva. Se da una parte abbiamo apprezzato la ricerca di tempi piuttosto “garibaldini”, ben adatti allo spettacolo, dall’altra parte questi vanno assolutamente a discapito delle esigenze del canto, spesso soffocato e sacrificato. Ne soffrono i concertati e le battagliere cabalette, segnate da un costante “inseguimento” tra buca e palcoscenico. Probabilmente poche sono state le prove concesse e date le circostanze sarebbe stato meglio orientarsi verso una concertazione più lineare.

Chi ne soffre di più è l’Abigaille di Susanna Branchini, che conquista per l’energia e il coraggio di buttarsi in questa impervia scrittura, ma a cui non viene dato il “tempo” di sfoggiare tutto il potenziale della sua vocalità personale, di timbrica affascinante e di indubbia personalità, anche nella sua grande scena e aria. Convince comunque, anche se non per sua responsabilità, non raggiunge la sua interpretazione dello scorso anno.

Amartuvshin Enkhbat è un Nabucco di imponenti e lussureggianti mezzi vocali, straordinari per timbratura e rotondità di suono, di grande scuola vocale, che ricorda i fasti di Capuccilli e ancor di più di Bruson. Con il suono scultoreo, sicurezza e totale omogeneità di colore e suono in tutta la gamma risolve il ruolo e convince il pubblico.

Rafal Siwek è uno Zaccaria di suono imponente, ieratico fraseggio e giusta statura. Anche lui soffre i tempi scatenati, ma regge con grande sicurezza e aplomb.
Felicissimo debutto per Luciano Ganci, che riesce a brillare nell’ingrato ruolo di Ismaele, sfoggiando voce autenticamente all’italiana, volume importante e vivo fraseggio, oltre che una energica partecipazione teatrale.

Geraldine Chauvet è una delle migliori Fenena udite in Arena negli ultimi anni. Le giova una naturale eleganza scenica, per ritrarre una donna regale dal carattere determinato ma al contempo delicato. È una delle poche che sa incarnare nella sua piccola aria (“Oh dischiuso è il firmamento”), quel levigato belcantismo di ascendenza rossiniana e ancor più belliniana.
Squillante e in ben evidenza la Anna di Elisabetta Zizzo, così come pugnace Il gran Sacerdote di Belo di Nicolò Ceriani. Accanto a loro Roberto Covatta nel ruolo di Abdallo.

Il vero trionfatore della serata è però il coro diretto da Vito Lombardi, composto da grandi professionisti, grandi attori e attrici, che di buttano a capofitto in questo spettacolo, diventandone unici e imprescindibili protagonisti.
Alla fine un caloroso successo.
Francesco Lodola
Verona, 7 luglio 2018
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona