In occasione dei 150 anni dalla morte di Gioachino Rossini e in concomitanza con l’ormai imminente inaugurazione del Rossini Opera Festival, abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei più celebri tenori rossiniani sulla scena mondiale, Maxim Mironov, che prossimamente sarà protagonista, proprio a Pesaro, di una nuova produzione de “Il Barbiere di Siviglia”, un’opera che sta molto a cuore al tenore. Un grande piacere dunque poterlo intervistare e poter scoprire il suo amore per la musica e per il Belcanto.
Com’è nata la sua passione per il canto?
La mia unica vera passione è la Musica. Il canto è la mia professione.
Ho avuto la fortuna di avere dei buoni insegnanti. Iniziando dalla scuola dell’obbligo, dove avevamo le ore di storia dell’arte e della musica. La professoressa ci metteva ad ascoltare i vinili con la musica classica e poi anche i primi CD. Lei sì che aveva la passione per la musica e l’ha saputa trasmettere a noi allievi. Per questo le sarò eternamente grato. Poi, esattamente venti anni fa, per puro caso ho visto in TV il concerto dei Tre Tenori da Parigi, prima della finale del campionato del ’98. Ed è lì che sono stato colpito dalla bellezza del canto. Pavarotti, Carreras e Domingo cantavano i brani più popolari dell’opera e sono stato completamente stregato da quell’evento. Quel concerto l’hanno visto più di un miliardo di spettatori, ma forse solo uno di loro ha deciso di dedicare la sua vita al canto. Poi, ho avuto anche la fortuna di ringraziare il Maestro Pavarotti in persona. Sono andato a trovarlo nella sua villa a Pesaro e ho cantato per lui. Che emozione! E con il Maestro Domingo ci siamo visti a marzo di quest’anno a Los Angeles, dove ho cantato L’Orphée di Gluck. La vita a volte è piena di sorprese meravigliose.
Come affronta lo studio di un nuovo ruolo dal punto di vista scenico e musicale? E in quale modo la tecnica e l’interpretazione cooperano al risultato finale?
Il mio metodo di studio di un nuovo ruolo è quello di June Anderson. Lo so, perché un giorno ho letto una sua intervista dove lei rispondeva alla stessa domanda e mi sono detto: non è male come metodo. Dunque inizio prima a vedere e a studiare le arie. Poi duetti, terzetti, quartetti e così via fino ai gran finali. Non ci metto molto per studiare a memoria. Ma ripeto ancora molte volte per scoprire le sfumature, i colori, gli accenti. Per me, studiare è la parte più bella del mio “mestiere”. Quando apro uno spartito nuovo mi sento come un archeologo che ha appena aperto la tomba, piena di tesori incredibili, di un faraone. Che privilegio poter sfiorare queste gemme musicali! E per poterle mostrare in tutto il loro splendore al pubblico serve la tecnica e l’interpretazione. La tecnica ti permette di fare tutte le note scritte, con le nuances e gli accenti giusti: gli acuti e i sovracuti, in diminuendo o piano, le colorature legate o staccate, i trilli, le variazioni, le frasi lunghe, i recitativi scolpiti. E l’interpretazione, unita alla conoscenza dello stile, dà vita a tutto ciò.

Cosa vuol dire essere un interprete moderno del Belcanto?
Negli ultimi anni il Belcanto ha subìto una specie di renaissance dovuta un pò ai nuovi interpreti e alle loro capacità, un pò alla discografia di questi interpreti e alla sua grande diffusione, un pò anche al fatto che il Belcanto tutto sommato è lo stile dei giovani. Se ci pensiamo, Rossini, Donizetti, Bellini erano giovani quando scrivevano le loro opere, e le scrivevano per i giovani interpreti come Malibran, Pasta, Rubini o Tamburini. Ai giorni nostri, i nuovi interpreti portano con sé la freschezza e la voglia di fare. Con una certa bravura irrompono e rompono gli stilemi precedenti, arricchendo e ringiovanendo lo stile in generale. Tutto ciò porta ad una grande concorrenza. Il mercato operistico è avido di nomi nuovi, di facce nuove, di voci nuove. Per esempio, dopo l’esordio di Juan Diego Florez con i suoi CD c’è stata una vera esplosione di tenori rossiniani. Tant’é che adesso nel mondo è più facile trovare un interprete per l’Otello di Rossini che per quello di Verdi. Il Belcanto però non è uno stile facile. Lo si può fare mediamente bene. Ma per brillare bisogna avere doti canore non comuni, unite all’intelligenza, alla curiosità e alla voglia di approfondire. Adesso questo è molto più facile rispetto a quindici-venti anni fa grazie all’accesso a internet. Lì si trovano facilmente gli spartiti, le masterclass, le registrazioni, i libri, i contatti con la gente che ne sa “a pacchi” ed è felice di condividere la sua sapienza. Basta avere solo la voglia di essere il migliore e di studiare.

C’è un ruolo che ritiene più affine al suo carattere?
Credo che il Conte del Barbiere di Rossini sia quello che mi è più consono. È una grande e rara fortuna fare un ruolo così complesso che sembra di farne quattro allo stesso tempo: il Conte all’inizio è quello un po’ timido e incapace, che grazie all’aiuto di Figaro si traveste in soldato e fa un gran scompiglio a casa di Bartolo, ma poi si traveste in un maestro di musica e ha la licenza di avvicinarsi alla Rosina, infine si trasforma in Conte-Vincitore con il grande rondò da trionfatore. Insomma, un ruolo ricco e pieno di soddisfazioni che rispecchia perfettamente il mio stile di vita: divertirsi e ottenere ciò che vuoi divertendoti. Ma non posso non citare un altro ruolo rossiniano che mi è particolarmente caro: il principe Ramiro della Cenerentola. E’ il ruolo che ho cantato di più in assoluto. Ramiro mi accompagna fin dagli inizi del mio studio e ha alcuni versi nel libretto che continuano a stupirmi ancora oggi. Per esempio quando ordina a Dandini di esaminare le figlie di Don Magnifico: “del volto i vezzi svaniscon con l’età, ma il core…”. È un principe degno allievo del suo maestro Alidoro, saggio e filosofico. E in questo mi trovo vicino a lui.

Oggi impera la filologia, soprattutto nel repertorio belcantista: Qual è la sua attitudine verso le variazioni e in che modo avviene la loro creazione?
Direi che ultimamente è stata fatta una grande ricerca nell’ambito del repertorio belcantistico. Alcuni studiosi del calibro di Alberto Zedda o Philipp Gossett, con i quali ho avuto la fortuna di collaborare, hanno contribuito alla scoperta dello stile. Il Maestro Zedda mandava sempre un fascicolo di variazioni prima di iniziare la produzione, ma non erano affatto d’obbligo. Non potevano esserlo perché lui stesso, essendo un grande musicista e interprete, sapeva perfettamente che non si può imporre una variazione ad un musicista. Ma puoi fargli vedere le possibilità e le varianti. I musicisti intelligenti usavano questi suoi suggerimenti per creare le loro variazioni personali, adatte alle loro voci e alle loro capacità interpretative. Quelli meno intelligenti studiavano tutto quello che lui mandava loro. Mi ricordo certe scene quando Alberto fermava la prova chiedendo: “Ma chi ti ha fatto queste variazioni? Non funzionano affatto!” E l’interprete, intimidito e sconcertato, gli rispondeva: “Voi, Maestro!” E lui scoppiava in una bella risata, spiegando come intendeva usare quel materiale. Ah, Alberto! Uomo grandioso. Ci manca profondamente.

Riguardo al suo prossimo impegno a Pesaro con “Il Barbiere di Siviglia”, ci racconti chi è il “suo” Conte d’Almaviva e quali sono le aspettative per questa nuova produzione firmata da Pier Luigi Pizzi.
Aspetto con una grande impazienza questa collaborazione. Per me questo ruolo, come sapete, non sarà un debutto. L’ho fatto già molte volte in vari teatri del mondo. Ma per Pier Luigi è la prima volta che fa il Barbiere come regista. Ho avuto già la possibilità di fare delle working session con lui e l’ho visto super ispirato e pieno di idee brillanti! Incredibile, come questo artista di 88 anni può dare a tutti una lezione di vita. Ammiro la sua capacità di rimanere giovanissimo nelle idee e nel modo di trasmetterle. La sua ispirazione è contagiosa. Ha le idee ben chiare, bellissime, quasi d’avanguardia ma allo stesso tempo classiche. Personalmente desidero fare un Barbiere mai fatto prima, un Barbiere privo di incrostazioni centenarie di solite “caccole” e pagliacciate usate con l’unico scopo di divertire a tutti i costi. Voglio far scoprire al pubblico il lato divertente dello spartito e del libretto ormai completamente offuscati. Voglio fare riflettere e se qualcuno uscirà dal teatro pensando: “Però, quel Figaro/Bartolo/Rosina/Conte/Berta/Basilio un po’ sono anch’io!”, potrò dire che sono riuscito a fare quello che volevo.

-Parliamo del suo ultimo cimento discografico, “La Ricordanza” dedicato al repertorio cameristico belliniano: qual è lo studio necessario per affrontare queste pagine, quali sono le difficoltà e le diversità tecniche nell’approccio a pagine non operistiche?
Questo progetto mi è molto caro e ringrazio per questa domanda. Tutto è nato in Sicilia, a Catania, quando ho visitato la casa-museo di Bellini. Là si trovano due strumenti che appartenevano a Bellini. Sono in uno stato pietoso e non si può sentire la loro voce. Ma mi sono chiesto: cosa sentiva Bellini, componendo su questi strumenti, e come il suono e il timbro dello strumento d’epoca ha influenzato la sua musica? Da queste domande è partita una ricerca interessantissima e divertente che mi ha portato alla conoscenza di persone meravigliose. Francesco Cesari, un musicologo che ha lavorato sulle edizioni critiche di musiche da camera di Bellini, ha contribuito con consigli utilissimi e gli articoli per il booklet. Antonino Rappoccio è una figura mitica nel mondo degli strumenti d’epoca, che con la sua arte di restauratore e accordatore ha preparato due strumenti da sogno con i quali abbiamo realizzato questa registrazione. La casa discografica tedesca Illiria Productions (https://www.illiria.de/) ha reso possibile la pubblicazione di questo album, disponibile non solo in una versione limitata in CD ma anche su tutte le piattaforme digitali come Spotify, iTunes etc. È un prodotto unico e con un certo orgoglio posso dire che l’edizione limitata a 500 copie è stata quasi tutta venduta e ad acquirenti di ogni parte del mondo. Per prepararlo mi è stato di grande aiuto il Maestro Richard Barker, un mio amico di vecchia data, musicista raffinato e specialista accompagnatore. Con lui abbiamo affrontato le difficoltà canore facendo delle scoperte incredibili non solo su come meglio cantare e interpretare questi brani, ma anche su come suonarli sugli strumenti d’epoca.
La musica da camera richiede maggiore attenzione alla parola e alla colorazione del suono. Non avendo i timbri orchestrali, sta al cantante presentare le sfumature più sottili all’ascoltatore. Tutto ciò vale anche per il pianista. Ma lui ha difficoltà diverse legate proprio allo strumento e alla sua meccanica. Per illustrare questo, abbiamo inciso alcuni brani su due strumenti differenti per dare all’ascoltatore la possibilità di sentire le sfumature di due strumenti differenti.
– Quali saranno i suoi prossimi impegni e debutti?
Dopo Pesaro, continuerò a studiare la parte di Tonio per il mio debutto a novembre nella Figlia del reggimento di Donizetti. Da tanto tempo aspettavo l’occasione per farlo. Poi vado a Barcellona per fare il mio debutto al Liceu con “L’italiana in Algeri”. Dopodiché mi aspetta ancora una volta La Scala per “La Cenerentola”. Sarà bello tornare su quel palcoscenico con uno di miei ruoli preferiti. Poi sarà la volta della Staatsoper di Berlino, pronta a riaccogliermi nelle mura del teatro restaurato con la produzione storica del “Barbiere” di Ruth Berghaus. In mezzo a tutto ciò, farò vari concerti e registrazioni di nuovi progetti discografici. Sono molto presente on-line. Tra il mio sito ufficiale e i social come Facebook, Instagram e Twitter cerco sempre di fornire le ultime notizie su ciò che faccio, pubblicando periodicamente degli annunci ma anche dei concorsi per i miei fan con i quali si possono vincere un nuovo CD o anche un biglietto in platea!

Che consigli si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere la carriera del cantante d’opera?
Consiglio di studiare molto, non solo il canto ma anche la storia dell’arte e della musica e le lingue. Consiglio di andare sul palco solo dopo aver trovato quello che vogliono dire al pubblico e di credere in sé stessi e in quello che fanno fino a fondo.
In bocca al lupo a Maxim Mironov e Grazie per la disponibilità!
Sara Feliciello e Paolo Mascari