Il balletto classico è sempre stato la forma di spettacolo più elitaria, anche più dell’opera lirica. Nietzsche parlava della danza come la forma artistica d’eccellenza per il Superuomo, e forse la sua difficoltà di accesso sta nella sua assoluta corporeità e espressione plastica. La danza porta l’uomo ad ascoltare il proprio battito cardiaco, che è anche il primo suono che il bambino sente nel ventre della madre. Nella danza c’è tutto questo, che la rende via espressiva forse meno semplice, ma terribilmente affascinante. Tutto questo si amplifica nel balletto classico, dove i gesti sono legati ad una vicenda da narrare e sentimenti da esprimere.

Poche sono le personalità che sono riuscite a portare il balletto classico fuori dal teatro. Il primo è sicuramente stato Rudolf Nureyev, che grazie al suo carisma, alla sua vita tormentata, è diventato un mito, una leggenda, un idolo delle folle di appassionati, ma anche di curiosi e “gossippari”. Come dimenticare Carla Fracci accanto a Raffaella Carrà nell’edizione 1977 di “Milleluci”: l’eterna Giselle che si sveste del suo candore, per scatenarsi accanto alla “Raffaella Nazionale”.

Roberto Bolle è, però, forse il più riuscito esempio di come un’étoile possa uscire dai velluti del Teatro e portare la danza in mezzo alla gente, senza paura di appropriarsi del mezzo televisivo, anzi affidando ad esso la propria arte. Ce lo ricorda bene il successo di “Danza con me”, andato recentemente in onda su Rai Uno con straordinari dati d’ascolto. E con “Roberto Bolle and friends” la grande étoile del Teatro alla Scala e dell’American Ballet Theatre, è tornato il 25 luglio sul palcoscenico dell’Arena di Verona, a cui è molto affezionato, fin dal suo esordio nel 1999, con l’Aida Blu di Pier Luigi Pizzi, e poi La Gioconda nel 2005, in cui l’intervento di Bolle animò una produzione (sempre Pizzi) alquanto palliduccia, e infine l’Aida 2002 firmata Zeffirelli, con le coreografie di Vladimir Vasiliev, finalmente recuperate nella stagione in corso.

Il pubblico che stipava un’esauritissima Arena accoglieva Bolle come una rockstar, con urla festanti e tripudio di applausi. E lui da vera icona pop, sciorinava tutto il suo eclettismo, incarnando perfettamente il ruolo del “padrone di casa” e del trascinatore. Cinque i brani interpretati dal danzatore italiano. Siamo particolarmente rimasti affascinati dal Canon in D Major, in cui sulle note del brano di Pachelbel (rielaborazione di Otto Bubeníček), emergeva in particolare la fluidità di movimento di Gioacchino Starace (Teatro alla Scala). Stupefacente l’intesa tra Bolle e la delicatissima Nicoletta Manni nel pas de deux da “Caravaggio”, in cui l’intreccio melodico del monteverdiano “Pur ti miro – Pur ti godo”, corrispondeva all’unione corporea, quasi “metafisica” dei due danzatori.

Intenso è anche il “Pas de deux da Proust ou Les Intermittences du Coeur” in cui il gioco dello specchio tra Roberto Bolle e Timofej Andreijashenko, si rivela straordinario connubio estetico e artistico. Un capitolo a parte merita “Dorian Gray”, che diventa culmine della serata, in un eccezionale crescendo emotivo. Bellissimo è l’uso di una piccola videocamera con cui Bolle si riprende, simboleggiando l’egotismo dell’uomo attuale e il culto della propria immagine. Siamo tutti Dorian Gray e tutti masturbatori visivi. All’esperienza visiva e concettuale si aggiunge quella musicale, con la partecipazione del violino “metallaro” di Alessandro Quarta, autore della rielaborazione della Passacaglia di H.I.F. Von Biber, capace di potenza sonora quasi violenta e autodistruttiva, proprio come la creatura di Oscar Wilde.

Tantissime le star presenti, e oltre a quelle già citate, vorremmo ricordare Misa Kuranaga (Boston Ballet), che con la sua naturale grazia e la sua pulizia di movimento, brillava nel Pas de trois da “Il Corsaro”, con Andrijashenko e Taras Domitro, per poi innamorare nel Pas de deux de “Lo Schaccianoci” con Angelo Greco; Straordinari sono Nicoletta Manni e Osiel Gouneo nel Pas de deux dal III atto del “Don Quichotte”, dove il primo ballerino del Bayerisches Staatsballet brillava per il virtuosismo dei manège di jeté e ruote russe e l’indubbio carisma, che ben si sposava con il magnetismo divistico della Manni.

Spiace che il balletto ricopra a Verona solo una nicchia nell’immensa programmazione artistica cittadina. Speriamo che ritorni ad essere parte integrante del cartellone Areniano, con edizioni integrali dei grandi classici, come si faceva una volta, con il coinvolgimento di tutte le masse artistiche dell’Arena di Verona, prima di tutto l’Orchestra, tristemente assente in quest’occasione. Il pubblico accorrerebbe, ne siamo sicuri, ma intanto diamo appuntamento a Roberto Bolle e i suoi friends al 16 luglio 2019.
Francesco Lodola
Verona, 25 luglio 2018