La Reggia di Turandot si chiude e l’Arena di Verona scoppia in un fragoroso applauso. Non si può desiderare di meglio per l’ultima recita dell’opera pucciniana nell’anfiteatro veronese. Una serata fatta di grandi conferme, prima di tutto la magia dell’allestimento di Franco Zeffirelli, sempre così incredibile nel catturare l’attenzione e la sorpresa del pubblico. Un’atmosfera autenticamente pucciniana, che nonostante gli orpelli, gli ori, le ballerine che agitano veli e ventagli, coglie nel modo più semplice e più sincero, l’atmosfera di tutte queste creature venate da tragedie interiori e da profonde malinconie.

Vero sacerdote di quest’opera è Daniel Loren, perfetto conoscitore di questa partitura, di tutti segreti delle melodie e dei ritmi che ne compongono l’architettura. L’orchestra dell’Arena di Verona sotto la sua guida suonava in maniera travolgente, pur senza dimenticare le mille cromature di questo capolavoro.
A dare voce al Principe di Persia è sempre Ugo Tarquini, mentre l’Imperatore Altoum è ancora una volta ricoperto dal veterano Antonello Ceron, così come Gianluca Breda è un solido Mandarino.

Nelle tre maschere/ministri Ping Pong e Pang splendono le voci e le specifiche personalità artistiche di Federico Longhi, caratterizzato da voce importante e perfetta scansione, che presto sarà Amonasro, Francesco Pittari, che dipinge un personaggio simpaticamente cinico, e le notevoli doti attoriali di Marcello Nardis.
Puccini ha sempre dedicato alla voce del basso le frasi segnate dalla commozione più profonda, più interiore. Pensiamo a Colline de “La Bohème“ e appunto a Timur. Giorgio Giuseppini coglie perfettamente il sentimento di poesia estrema del suo personaggio, dando intime vibrazioni alla scena della morte di Liù.

Brilla di luce propria la Liù di Eleonora Buratto, che incarna perfettamente il significato di belcanto, in quanto utilizza la propria morbidissima voce di soprano lirico, per dare trepidazione emozione questa fanciulla così impavida e così fragile. Il soprano mantovano, al suo debutto areniano, colpisce per la perfezione della linea vocale, la sicurezza dei filati che riempiono il teatro e l’autentica bellezza di un timbro privilegiato.

Murat Karahan è il Calaf perfetto, che coniuga con incredibile consapevolezza il carattere eroico e quello che squisitamente romantico e orientale. Il suo “Nessun dorma” è interpretato in maniera personale, e per questo assolutamente vincente. La gloriosa puntatura finale è il risultato di una lettura che utilizza tutte le sfumature possibili e quindi crea un senso di attesa e di crescendo emotivo davvero raro da sentire.
Magnifica protagonista era Anna Pirozzi, la quale dimostra di essersi impossessata idealmente del personaggio. L’intelligenza della cantante sembra aver assimilato alla perfeziona sia la lezione della Turandot astrale Karajan/Ricciarelli che quella delle grandi principesse monumentali, da Ghena Dimitrova, all’italianissima Giovanna Casolla. Il suo personaggio non rinuncia alla varietà delle dinamiche, prodigandosi in un fraseggio cangiante e ben colorato, pur non trascurando l’impeto passionale, anche violento, delle frasi pucciniane, grazie ad una vocalità che si esalta nell’acuto e che ha nello squillo una delle sue armi vincenti.
Alla fine come si è detto un grandissimo trionfo da un’arena gremita.
Francesco Lodola
Verona, 26 agosto 2018
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona
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