La sensazione più bella da avere usciti da una recita, è quella di non poter smettere di sorridere, di non poter placare la grande gioia interiore, dovuta ad una serata senza pensieri, in cui tutto sembrava così “facile”, sereno, senza nuvole, un sogno. Così si potrebbe riassumere la prima de “Il Barbiere di Siviglia” all’Arena di Verona. Merito va a Cecilia Gasdia, che da grandissima artista qual è, è riuscita a radunare sul palco un cast di artisti eccezionali, con il risultato che questa serata verrà considerata presto storica, per l’Arena, ma anche per il mondo musicale, operistico, in generale.

Leo Nucci aveva annunciato di non voler cantare più Figaro e di aver definitivamente detto “addio” al palco dell’Arena di Verona. Fortunatamente, grazie a Dio, si è rimangiato tutto ciò ed è ritornato a farsi venerare dal pubblico che tanto lo ama. E noi siamo tra questi. Un miracolo della natura: è spaventosa la scioltezza vocale, la cura degli accenti, ad ogni recita sempre più scavati, la freschezza delle agilità, la forza del registro acuto. È impagabile la recitazione di Nucci, travolgente quanto il suo canto e così straordinariamente giovane. Incessante la richiesta del bis dopo la celebre cavatina, e la ripetizione era ancora meglio. Eternamente giovane ed eternamente Figaro.

L’altra gloria accanto a lui era Ferruccio Furlanetto, il quale era assente da Verona dal 2000. Il basso friulano riempiva l’anfiteatro con la sua voce di “vero” basso, di una scuola che oggi praticamente non esiste più. Il suo è un Don Basilio tonante, serissimo e per questo irresistibilmente divertente.

Dmitry Korchak era un Conte Almaviva principesco: perfetto tanto nei fraseggi languidi e romantici della sua grande aria iniziale “Ecco ridente in cielo”, quanto nelle caratterizzazioni vesti del soldato e di Don Alonso. Figura elegantissima, e canto sostenuto da tecnica sopraffina, con agilità superbe e timbratura lucente. L’aria e rondò finale (“Cessa di più resistere”) venivano tagliati per scelta del direttore, ma questo non diminuisce la grande prova del tenore russo.

Carlo Lepore, arrivato solo alla generale, dopo la cancellazione del previsto Ambrogio Maestri, era un magnifico Dottor Bartolo, di volume importante e soprattutto di eccellente dominio tecnico: pensiamo al sillabato veloce della sua grande aria (“A un dottor della mia sorte”), e a tutte le agilità affrontate con perizia e sempre perfettamente a fuoco. Il personaggio è buffo, ma mai caricaturale, sempre elegante nella sua goffaggine.

Brillantissima prova anche per Nino Machaidze, che nei panni di Rosina, metteva in scena tutta la sua solarità e anche il suo glamour. È spontanea, simpatica, tenera, che ispira subito affetto. La vocalità del soprano georgiano è importante, di timbro scuro, che si riempie di luce nel registro acuto. A metà della cavatina (“Una voce poco fa”), prima del cantabile “Io sono docile”, nel momento sbagliato, il pubblico scoppiava in un applauso, già conquistato dalla protagonista. L’Arena per tradizione affida questo ruolo ai soprani e dopo Virginia Zeani, Cecilia Gasdia e Annick Massis, dovremmo aggiungere meritatamente il nome di Nino Machaidze.

La Berta di Manuela Custer ci ha a sua volta conquistati per la simpatia, la bravura nell’incarnare le mille pulsioni, anche ormonali, e nevrosi di questo irresistibile personaggio. Da grande attrice, consumata, la Custer brillava davvero di luce propria. A questo si aggiunge un’esecuzione dell’aria come è raro sentire, con variazioni fantasiose e piglio esecutivo da grande protagonista, qual è il mezzosoprano novarese.

Nicolò Ceriani interpretava molto bene i ruoli di Fiorello e di Ambrogio, così come Gocha Abuladze cantava convincentemente il ruolo dell’Ufficiale.
Daniel Oren era un’altro dei motivi per cui questa serata entrerà nella storia. Il direttore, beniamino del pubblico veronese, dirigeva per la prima volta l’opera rossiniana in Arena, e lo faceva con la sua energia, ma anche con la sua estrema cura delle dinamiche, dei dettagli strumentali e soprattutto con quell’amore per il canto che lo rende praticamente unico. Si divertiva sul podio, avendo a disposizione una compagnia così compatta, e lo faceva così tanto che concedeva il bis anche del grande finale “Di sì felice innesto”. Eccellente il coro maschile, come sempre ben preparato da Vito Lombardi.

Resta da dire dell’allestimento firmato da Hugo de Ana e ripreso in quest’occasione da Filippo Tonon. Il regista argentino ambientava la storia in un giardino segreto, avvolgendo il tutto di magia, fantasia e splendore. Sotto le gigantesche rose e le farfalle, si muove un mondo danzante, spensierato, immerso nella bellezza e nell’amore. Brillanti come sempre le coreografie e i movimenti coreografici di Leda Lojodice.
Allo spegnersi dell’ultima nota, grande scoppio di fuochi artificiali, e grande trionfo, per una serata che ricorderemo.
Francesco Lodola
Verona, 4 agosto 2018
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona