Dmitry Korchak è uno dei più grandi nomi del Belcanto mondiale, protagonista sul palco dei più prestigiosi teatri del mondo, che può vantare nella sua carriera collaborazioni con direttori d’orchestra come Daniel Barenboim, Riccardo Chailly e Riccardo Muti. Lui stesso ha studiato direzione d’orchestra e in questi ultimi anni si è imposto come bacchetta autorevole, diventando direttore ospite principale al Teatro dell’Opera di Novosibirsk e al Teatro Mikhailovsky di San Pietroburgo. In questi giorni il suo impegno è tutto tenorile, con il ruolo del Conte Almaviva ne “Il Barbiere di Siviglia” all’Arena di Verona, occasione nella quale abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo.
Com’è nata la tua passione per l’opera e per il canto?
Sono nato nell’epoca dell’Unione Sovietica, e ogni famiglia amava la musica, e si vendevano le cose utili per la vita, per educare i bambini alla musica, e per comprare un pianoforte. La musica era in tutte le case. Mio padre non era un cantante professionista, ma conosceva tutte le opere, ma in russo. A quei tempi al Bolshoi e negli altri teatri russi si facevano “La Traviata” o “Carmen” in russo. Mi ricordo che un’Estate siamo andati in vacanza a Varna, in Bulgaria, dove c’era un Festival in un teatro all’aperto. I cantanti che si esibivano erano tutti dell’Est, e poi c’erano dei cantanti ospiti stranieri, e ognuno cantava nella propria lingua: italiano, francese, russo. D’altronde è molto famosa anche la “Carmen” del Bolshoi con Irina Archipova e Mario Del Monaco, in cui lui cantava in italiano e lei rispondeva in russo. La gente conosceva a memoria la musica di queste opere, e capiva, conoscendola nella propria lingua, tutto ciò che accadeva in palcoscenico. Fin da bambino ho iniziato a frequentare questo centro in cui si poteva “giocare” con la musica, con le note, con il solfeggio, imparando le canzoni. All’età di sette anni sono andato a studiare in una scuola di canto corale per bambini e da lì è cominciata la mia vita musicale.
Il tuo percorso però è nato dalla direzione corale e la direzione d’orchestra…
Si, il canto è arrivato in una fase successiva. Il mio professore di direzione mi chiedeva, come anche a tutti gli altri, di cantare qualcosa come solista, nei concerti. Lui trovava i brani adatti ad ognuno e alle capacità di ciascuno. E’ lui che mi ha incoraggiato a studiare canto, intuendo le mie doti. Mi ha dato la possibilità di poter continuare a studiare contemporaneamente direzione d’orchestra e canto. Quando ho finito l’Accademia avevo in mano due diplomi. Poi ho iniziato a fare concorsi, audizioni e ho ricevuto i miei primi contratti da tenore. Il mio professore mi disse che era molto importante lo studio di direzione d’orchestra, perché prima di cantare ero musicista, e questo mi avrebbe aiutato molto nella professione. Sarebbe arrivato prima o poi anche il momento di tornare a dirigere, con già un’esperienza professionale. E’ così è stato. In questo momento sto lavorando molto, perché è come quando ho iniziato a cantare: ogni contratto era nuova musica da studiare e imparare. Certo, dopo anni di carriera ho già un bagaglio notevole di esperienza e di repertorio, così che titoli come “Il Barbiere di Siviglia”, non mi richiedono uno studio totale, ma come direttore d’orchestra devo studiare moltissimo, perché vivo tutte le cose da un altro punto di vista. Le esperienze che ho avuto in palcoscenico negli ultimi quindici anni, mi aiutano a capire il mestiere del direttore d’orchestra e inoltre respirare con il cantante.
Avendo questa duplice esperienza come cantante e come direttore, c’è stato qualche Maestro con il quale hai cantato che è stato particolarmente significativo nella tua crescita musicale?
Il mio primo professore di direzione d’orchestra era il famosissimo Viktor Popov, che era il fondatore dell’Accademia dove io ho studiato. Ho preso anche lezioni di direzione d’orchestra negli ultimi anni con diversi maestri, ma il più importante per me è Riccardo Muti. Ora vengo proprio da Ravenna, dove sono stato ospite della sua Accademia, dove si è lavorato su “Macbeth”. Con il Maestro è interessante “fare” musica, scoprire il suono dell’orchestra, capire cosa dice il cantante, la parola, e quello che è scritto dietro le note.
Anche dal punto di vista teatrale ti sei trovato a lavorare con tantissimi registi importanti…c’è un regista con il quale si è instaurato un rapporto di ricerca particolare?
Negli ultimi ho lavorato con un grandissimo regista, Graham Vick, con il quale abbiamo fatto a Pesaro “Mosé in Egitto”, una produzione grandiosa, quasi da Arena di Verona. Ci sono oggi registi che sanno leggere la musica, che conoscono quello che fanno…

Recentemente hai anche collaborato con Damiano Michieletto, in occasione di “Guillaume Tell” al Teatro Massimo di Palermo…
Si, conosco Michieletto fin da “La Gazza Ladra” di Pesaro, ormai qualche anno fa, e lui cominciava in quel periodo. Il pubblico non lo conosceva e subito non è stato compreso. Era uno spettacolo moderno, fresco, ben fatto, con tutti gli elementi che venivano da un’idea chiara e bella, che il pubblico non si aspettava. La critica lo ha premiato, così come ha premiato Vick per il suo Mosè con il Premio Abbiati, nel 2011. Sono spettacoli che possono piacere o non piacere, ma nei quali il regista ha creato veramente qualcosa di importante, utilizzando benissimo le proprie conoscenze.

Veniamo al tuo debutto all’Arena di Verona…quali sono le emozioni di quest’esperienza e quali le difficoltà?
L’anno scorso ho cantato il Conte Almaviva ne “Il Barbiere di Siviglia” al Metropolitan e avevo deciso di non cantare più questo ruolo, perché sono passato ad un repertorio diverso, come il Rossini serio, il Belcanto lirico di Donizetti e Bellini e il repertorio francese. Diciamo che è un ruolo che mi “costa” e in qualche modo non lo trovo così facile come dieci anni fa. Non ho accettato per esempio l’invito di Ernesto Palacio per l’edizione del Rossini Opera Festival di quest’anno, nonostante io sia stato molto grato ed onorato. Però non ritenevo di essere nelle perfette condizioni per cantare quest’opera nella città di Rossini. Qui all’Arena non facciamo “Cessa di più resistere”, che invece a Pesaro bisogna assolutamente fare. A questo si aggiungeva anche la possibilità di poter debuttare in questo luogo magico. Spero proprio che sarà un bel debutto. Fortunatamente ho un po’ di esperienza e cerco di non mettermi in testa la paura dello spazio e della gente. L’altro giorno ho visto Aida e sono rimasto impressionato dal tanto pubblico. E’ facile dire che bisogna cantare come si canta al chiuso, bisogna averlo anche in testa. Ho capito che si può fare quest’opera all’Arena e benissimo. Basta scegliere i cantanti giusti e un direttore d’orchestra giusto. Devo dire che con Daniel Oren mi sono trovato benissimo e quest’opera brilla anche all’Arena di Verona. Per noi cantanti c’è un’altra difficoltà che non si trova nelle altre opere areniane. Mentre Aida per esempio è molto statica, nel Barbiere ci sono tanti movimenti, devi giocare e devi reagire. Il palcoscenico è grandissimo per cui i tuoi gesti devono essere grandi e le tue corse sul palcoscenico sono più lunghe. Interviene anche il caldo e quindi queste sono le difficoltà! Però è un momento per me molto emozionante, stare su quel palcoscenico e vedere questo posto unico. All’Aida dell’altro giorno c’era un po’ di pioggia e anch’essa fa parte dello spettacolo, del profumo e dell’atmosfera di questo luogo.

Se ti proponessero di tornare all’Arena per dirigere un’opera, hai già un titolo in mente?
Sicuramente Aida! L’ho già diretta al Festival del mio teatro, il Teatro dell’Opera di Novosibirsk, con cantanti europei molto bravi. Amo quest’opera da morire. Se ci sarà qualche titolo del mio repertorio, mi piacerebbe anche tornare a cantare qui…si può cantare tutto! Non vedo e non sento problemi. Non penso che Il Barbiere per esempio sia troppo “cameristico” per l’Arena…bisogna trovare le condizioni adatte, gli artisti giusti.
Nella tua carriera attualmente è molto presente il repertorio francese…Werther, Robert le Diable, Nadir de “Les pêcheurs de perles”…Qual è la diversità nell’approccio musicale, anche in fatto di emissione?
Porterò in questa stagione Werther alla Wiener Staatsoper, dopo averlo debuttato a Tokyo, in tournée proprio con il teatro viennese. In quell’occasione venne il sovrintendente Dominique Meyer, che mi invitò appunto a fare quest’opera a Vienna. Io ho cominciato la mia carriera con un repertorio molto più leggero e acuto, e adesso sono passato ad un repertorio diverso, non più centrale, perché se pensiamo a personaggi come Guillaume Tell, parliamo di un ruolo acutissimo. Però è un repertorio che richiede più “carne” nella voce, anche perché c’è un organico orchestrale più imponente. La musica francese è scritta per delle voci speciali, che hanno due anime. Nicolai Gedda diceva che se puoi usare due voci diverse puoi cantare questa musica. Penso a Nadir, in cui nell’aria puoi usare un bel falsettone pieno, mentre nel resto dell’opera tutto dev’essere molto forte, eroico. Se sei in grado di dare l’atmosfera da sogno di quell’aria, puoi cantare il ruolo. La stessa cosa avviene in Faust, dove anche lì la grande aria è molto più acuta rispetto a tutta la tessitura del ruolo. A gennaio ho cantato anche Hoffmann a Tokyo, e anche quello è un ruolo dove le voci drammatiche e scure non riescono a dare il giusto effetto a certe richieste musicali. C’è molta musica leggera e morbida in quell’opera. Così anche in Werther. Storicamente è un personaggio giovanissimo. Uscendo dal repertorio francese, questo vale anche per Lenskij di “Eugene Onegin”, anche lui un giovane ragazzo. Non puoi cantarli quando la voce non è più giovane e fresca. Io non ho pensato di cambiare repertorio, ho solo seguito la mia voce, che naturalmente e fisiologicamente si evolve. E’ anche interessante studiare cose nuove. Ho fatto tantissime volte il Conte Almaviva e credo ci siano tantissimi giovani che possono affrontarlo benissimo. Per quanto riguarda l’emissione io non cambio nulla nella mia voce. Sono ruoli che cantavano tenori come Kraus e Gedda e che anche tenori drammatici affrontano ed hanno affrontato. E’ importante anche il ruolo del direttore d’orchestra, che deve aiutarti nel trovare nella musica le risposte. Per questo se delle volte mi propongono Werther, io chiedo chi è il direttore. E’ arrivato il momento, visto che la mia voce ha preso più corpo, di allargare il mio repertorio. Sono arrivato circa a sessantadue titoli, un bel numero.
Tornando a Rossini, quest’anno ricorre l’importante anniversario dei 150 anni della sua morte…come ti spieghi la RossiniMania che si è scatenata (fortunatamente) negli ultimi venti, trent’anni?
Oggi abbiamo tantissimi cantanti giovani e freschi rossiniani, che una volta erano davvero pochi. Fortunatamente oggi Rossini sta vivendo un’altra vita, e la sua musica vive di grande qualità. La musica di Rossini non è come quella di Verdi o di Puccini, dove anche se canti male, il compositore ha già scritto il suo successo e quindi vince comunque. Invece la brillantezza di Rossini sta nel canto e nel suono. Se in un’opera rossiniana canti benissimo, diventa una perla, se canti male, diventa tutto terribilmente noioso. Rossini per me è una medicina per la voce e per il canto. Ho parlato con tanti cantanti giovani, ma anche con grandi glorie, come Leo Nucci, o Cecilia Gasdia, che è stata una delle migliori cantanti rossiniane e dicono tutti così. Rossini ha scritto per tutte le voci, dal tenore di grazia, al contralto, al soprano di coloratura, al basso…davvero per tutti. Rossini chiede cura vocale, del fraseggio, la purezza della linea, un po’ come Mozart. Tutti devono cantare Rossini, perché ti dà la tecnica, tiene la voce elastica. Se canti solo Puccini non puoi tornare indietro. Per questo io proverò sempre a tenere Rossini nella mia vita. Quest’anno ho fatto moltissimo di Rossini, tra cui dirigere nel mio teatro lo “Stabat Mater” con due importanti cantanti come Lawrence Brownlee e René Pape. Alla fine di quest’anno mi piacerebbe cantare anche un “Guillaume Tell” in versione di concerto.
Qual è l’arricchimento e la gioia di cantare con grandi miti come Leo Nucci e Ferruccio Furlanetto?
Io ho debuttato a New York con Ferruccio Furlanetto e abbiamo fatto insieme “La Sonnambula” e già allora era un momento per me speciale. In questi anni, siccome viviamo entrambi a Vienna, ci vediamo spesso, e abbiamo fatto Onegin alla Staatsoper. Di Leo Nucci ho sentito tantissime recite del suo unico Rigoletto, e questa è la prima occasione in cui ho la possibilità di cantare con lui. A parte la voce che tutti noi conosciamo, lui proviene da un’epoca in cui gli artisti amavano davvero la musica, dove l’essere artisti era importante. Oggi i cantanti perlopiù lavorano e guadagnano. Loro vivevano la musica. Non è colpa solo dei cantanti, ma anche del fatto che il teatro è diventato dominio dei registi (non sempre bravi). Nucci è un artista di un’altra epoca, da ascoltare e studiare. Ieri (alla conferenza stampa), loro erano vestiti eleganti, perché anche alla prova una volta si andava a fare le prove con la cravatta. C’era un profondo rispetto tra l’artista e il teatro. Bisogna imparare molto da questo!
Ricordiamo un po’ dei tuoi prossimi impegni…
Tra le recite veronesi, andrò al Festival di Grafenegg, e poi devo registrare due arie di “Tancredi” a Lugano, per un CD dedicato a Rossini. Dopo l’Arena di Verona andrò a San Pietroburgo, dove dirigerò “La Juive” per l’apertura della stagione al Teatro Mikhailovsky, dove dirigo regolarmente. Poi sarò a Vienna per Onegin e Werther. Ho un Gala rossiniano a Mosca e San Pietroburgo, dove io dirigerò grandi cantanti rossiniani come Erwin Schrott, Olga Peretyatko, Marianna Pizzolato e Sergey Romanovsky che è anche tra i protagonisti del ROF di quest’anno e tanti altri. Canterò Tamino ne “Il Flauto magico” a Valencia, “Orphée et Eurydice” di Gluck ad Amburgo, nella produzione fantastica di John Neumeier, che abbiamo già fatto a Chicago. In mezzo ci saranno tantissimi altri concerti nel mio teatro…Continuerò a cantare, ma cerco sempre nei momenti liberi di dirigere, per costruirmi un bagaglio di esperienza, rapportandomi con i cantanti, dando la mia esperienza vocale, ma dall’altra parte.
Grazie a Dmitry Korchak e In bocca al lupo!
Francesco Lodola