Rivedendo a distanza di due mesi dalla prima l’allestimento di “Carmen” firmato da Hugo de Ana, lo spettacolo pare aver preso vita e convince molto di più che non nelle prime recite. Resta uno spettacolo un po’ spento, soprattutto nella prima parte, ma non spiacevole e capace di creare alcuni effetti di sicura presa sul pubblico. Certo, continua a mancare il coté danzante che fa del capolavoro di Bizet uno dei capisaldi dei cartelloni areniani.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
Spiace constatare come anche in questa recita manchi la protagonista in grado di reggere la scena e di creare l’aura di magnetismo che deve avvolgere Carmen. De Ana sicuramente non ha aiutato le varie cantanti che si sono alternate e si alterneranno, perché i costumi della protagonista non sono così attraenti, e il pantalone militaresco del III atto non fa altro che sommergere la figura dell’affascinante gitana. Geraldine Chauvet ci aveva totalmente conquistati come Fenena nel recente “Nabucco”, mentre qui in “Carmen” non riesce a sollevare la sua prova da una certa monotonia. Migliora nel III e IV atto, ma la voce viene quasi sempre coperta dall’orchestra. A suo vantaggio c’è la ovviamente perfetta dizione francese, e una certa musicalità, come lo dimostra l’esecuzione dell’acciaccatura della frase “Notre métier ne te vaut rien”, che praticamente tutte le interpreti ignorano. Certo, essendo relegata ad una sola recita, non c’è neanche la possibilità di uno sviluppo e di una presa di confidenza con la produzione, e questo è un peccato.
Convince Massimo Cavalletti nei panni di Escamillo. Premettendo che il baritono arrivava in sostituzione del previsto Erwin Schrott,debuttando così in Arena, nonostante qualche imprecisione, delineava un torero di sicuro piglio e di vocalità di buon volume.
Benissimo la Micaela di Serena Gamberoni, che con vocalità lucente e squillante, delineava una fanciulla tutt’altro che sprovveduta, che si imponeva per la freschezza interpretativa e l’elegante e vivace presenza scenica.
Assoluto trionfatore era Francesco Meli, il più grande tenore italiano del momento, che delineava un Don José memorabile. La voce è sempre splendida, piena di calore italiano e di comunicatività latina. Tecnicamente ha raggiunto una maestria davvero rara. Meli vive in questo momento una maturità artistica ed espressiva che ha dell’eccezionale. Il tenore sa gestire alla perfezione il ruolo, non sporcando mai l’eleganza del suo canto, anzi servendosene per nobilitare questo personaggio. L’apice di tutto questo è l’aria “La fleur que tu m’avais jetée”, che ha davvero del miracoloso nel gioco dei colori, la perfetta smorzatura sul Sib, inguainata in un suono dolcissimo.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
Accanto a loro bene Biagio Pizzuti (Moralès) e Luca Dall’Amico (Zuniga). Compatto il quartetto composto da Roberto Covatta (Remendado), Davide Fersini (Dancairo) e le importanti vocalità di Barbara Massaro (Frasquita) e Clarissa Leonardi (Mercédès).
Si conferma eccellente la concertazione del Maestro Francesco Ivan Ciampa, vero motore dell’interpretazione di questa “Carmen”, che è disegnata con mille colori, mille dettagli strumentali e amore per il canto e per il teatro. L’Orchestra suona benissimo sotto la sua guida, così come eccelle il Coro diretto da Vito Lombardi.
Grandissimo successo, con i toni del trionfo per il Maestro Ciampa, l’Orchestra, il Coro e Francesco Meli.
Francesco Lodola
Verona, 12 agosto 2018
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona